Scalpiccio di piedi nudi, fruscio di seta, un lieve ansito e la pesante porta di legno cigolò nell’escludere il resto del mondo. Brianna tenne alta dinanzi a sé la torcia, illuminando di luce fioca le scale che scomparivano a strapiombo, curvando intorno al perimetro della torre del castello. A passo deciso, discese lungo i gradini di altezza diseguale, fatti di pietra lavica ormai liscia, consumata dal tempo. Si avvertivano attraverso gli spessi muri i suoni provenienti dalle stanze che la tromba delle scale costeggiava. La donna si soffermò al livello della sala dei banchetti e non resistette alla tentazione di sbirciare attraverso una feritoia. Come aveva immaginato, la festa era già giunta al termine, anche a causa della scarsa quantità di vino dispensata da Kourt. Il nuovo re non aveva voluto attirare le ire della popolazione stremata dal lungo assedio offrendo uno spettacolo di sprechi e bagordi, né aveva voluto correre inutili rischi, consapevole della precarietà della propria posizione. Prova ne erano le pattuglie di ronda in città e le guardie armate poste in alcuni punti cruciali del castello. Uno spiffero gelido le sollevò la lunga camicia da notte, ricordandole che era ora di continuare il percorso verso i sotterranei. Tutto in quel luogo evocava l’antico e non c’era alcuna traccia di vita, come se il passaggio segreto non fosse più stato utilizzato da secoli. Non una ragnatela, o uno dei tanti ratti che abitavano il palazzo, o un pipistrello. Brianna oltrepassò il livello delle cucine e delle dispense vuote, chinando il capo per passare sotto gli archi un tempo ornati di bassorilievi ormai erosi, fino a giungere all’altezza delle segrete. Udì lamenti, borbottii e colpi poco convinti contro i chiavistelli serrati. Lungi dal riempire le celle di ufficiali e fedelissimi di Brianna, Kourt aveva preferito offrir loro titoli, doni, promesse di laute ricompense e un posto di rilievo tra i propri ranghi, anche se non necessariamente in quest’ordine. Nessuno di essi lo avrebbe ammesso volentieri, ma si sentivano tutti molto più a proprio agio nell’obbedire al barbaro piuttosto che alla giovane regina, le cui disposizioni a volte erano sembrate pure farneticazioni, per non parlare del fatto che era in odore di stregoneria. Rimanevano, così, nelle segrete solo ladri e assassini che, a causa dell’attacco subito dalla città, non avevano fatto in tempo a beneficiare dell’intercessione dei rappresentanti della Gilda di appartenenza. Man mano che Brianna percorreva le scale, i rumori si tramutarono ben presto in un ronzio lontano, e ben presto su tutto regnò un silenzio assoluto, interrotto soltanto dal gocciolare dell’umidità sulle pareti e dal rumore dei suoi passi. Inspirò quell’aria stantia che sapeva di muffa e di polvere vecchia, mentre la debole luminosità che proveniva dalla torcia cominciava a vacillare, come se l’ossigeno presente in quel luogo stesse diminuendo o, semplicemente, non avesse più la forza di alimentare la fiamma. Il cuore prese a batterle con un ritmo sempre più accelerato, mentre l’ansia di fare in fretta imprimeva una velocità sempre maggiore alle sue gambe, finché si ritrovò a correre giù per i gradini consunti, ridendo. Anche il fuoco sembrò voler obbedire a quel richiamo irresistibile, come risucchiato dal buio che si trovava in fondo alle scale. Nell’oscurità, mai Brianna incespicò o mise un piede in fallo, né avvertì paura o disorientamento. Procedette con sicurezza, curva dopo curva, finché si fermò di colpo lì dove terminava il percorso, senza portare in alcun luogo, ma semplicemente dinanzi a un muro di mattoni ormai sbrecciati. Sfiorò la parete con i polpastrelli, riconoscendo le singole linee, percorrendo uno schema che mesi prima aveva impresso nella propria mente. Pronunciò alcune parole, a fior di labbra. Per lunghi istanti, semplicemente, non accadde nulla. L’ansia le fece pulsare forte la vena sulla fronte, mentre il bel viso si aggrottava. Riprovò, pronunciando le parole del potere a voce più alta, con decisione. Scricchiolio, goccia che s’infrange al suolo. L’ansia lasciò il posto a una tristezza che era un macigno sul cuore e che spazzò via anche il ricordo del riso di poco prima. Aderì contro la parete, il viso sull’umida pietra, le braccia spalancate come in un sacrificio umano, cercando di costringere le singole cellule del proprio corpo a passare attraverso la materia inerte per andare oltre. Un istante di disperazione rese le sue gambe molli, infine un barlume di comprensione. “Per favore.” La pietra vacillò, ondeggiando intorno a se stessa, gli atomi acquistarono velocità, si riposizionarono obbedendo al richiamo ed essa cominciò a scorrere, sentendosi fluida come acqua, convincendosi di esser divenuta acqua e così Brianna l’attraversò, giungendo in una sala che sembrava essere rimasta sospesa nel tempo all’epoca della sua costruzione. Ansimava, fradicia, con i capelli e la camicia da notte incollati addosso, ma un misto di gioia e di ansia le impediva di avvertire il freddo. “E così torni da me, infine.” Girò su se stessa, improvvisamente disorientata dall’oscurità, cercando di capire da dove giungesse quella voce il cui ricordo era violentemente impresso nelle sue cellule. “Ti sei divertita, Brianna?” Avvertì una nota di derisione nel tono e l’ansia smise di attanagliarle lo stomaco. “Sì… ho giocato con loro come tu giochi con me.” Rispose, sentendosi impudente come una bimba che confessa una marachella. Una risata sommessa, un alito caldo sul suo orecchio e un sussurro: ”Sì, sei un bel giocattolino.” Una pressione sui seni, sulla vita, a scender giù fino ai fianchi, convergendo verso il centro della sua femminilità. Brianna trattenne il respiro, in anticipazione, ma la pressione scomparve subito mentre il soffio caldo prese ad accarezzarle il viso. “Sei come ti ho modellata, libera nella mente e nella forma, creta mutevole sotto le mie dita. La regina strega che non ha mai lo stesso volto, che seduce senza concedersi. Bella come puo’ esser bello il peccato, seducente come una promessa che non hai intenzione di mantenere, innocente come l’acqua.” Una bocca prese a baciare le sue labbra e ad assaporarle come un frutto maturo, la lingua si introdusse spingendosi più in profondità, esplorando, accarezzando. Brianna tese le braccia, ma non c’era nulla da stringere, nulla da accarezzare, non c’era una schiena da graffiare, carne da mordere nella passione, corpo da frugare. Solo buio e vento caldo che pareva violarla, entrandole in ogni singolo poro, possedendola come nessuno aveva mai fatto. E sopra tutto, quella voce che continuava a parlarle, senza passare per il timpano, direttamente nella sua mente, soffiando via i pensieri, riempiendola di sé. Ben presto rinunciò alla ragione, abbandonandosi a un piacere puro ed egoistico, senza una controparte da soddisfare né alcun bisogno di mostrarsi diversa da ciò che era divenuta.
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