Beau si considerava un arrivato: a soli trentadue anni era già saldamente radicato nella stanza dei bottoni. Con pieno merito, oltretutto.Aveva cominciato dalla gavetta, a New York e quando Frank Scalia, quattro anni prima, era stato promosso e inviato a Chicago, aveva chiesto il permesso di portarsi dietro soltanto un paio di persone e una di queste persone era stato Beau. Beau (il cognome non importa) aveva un buon cervello, un fisico da atleta, un volto da dio greco e folti, ondulati capelli neri. Anche gli occhi erano neri. Di un nero vellutato quando si trattava di calamitare gli sguardi delle donne, di un nero duro e brillante quando era il caso di intimorire gli uomini. Era simpatico, accorto, elegante senza ostentazione e sapeva stare al suo posto. Tranne in quel momento.In quel momento Beau non stava al suo posto, stava al posto di Frank Scalia, nel soggiorno di Frank Scalia dove, sul divano di Frank Scalia, stava scopando la donna di Frank Scalia. Peggio: stava scopando la moglie di Frank Scalia. Infatti Molly, un paio di mesi prima, aveva insistito perchè Frank regolarizzasse la cosa in municipio e Frank, in un momento di debolezza, l’aveva accontentata.Così ora, si poteva ben dire che Beau stesse scopando la signora Scalia.A questo punto, siccome Frank era il principale di Beau, si potrebbe osservare che Beau era un idiota a mettersi con la moglie del suo boss, dal momento che non gli mancavano donne (fanciulle e spose tutte di prima qualità) che si sarebbero scannate fra loro per un posto nel suo letto.Si potrebbe anche fare qualche osservazione sulla scarsa moralità della signora Scalia che, in quel momento, stava per venire una seconda volta sotto Beau. Ma prima di giungere a conclusioni affrettate di condanna, bisogna ricordare che sia Molly che Beau, potevano beneficiare di scusanti di un certo rilievo.Molly, ogni volta che udiva pronunciare il nome di Beau, cadeva in preda a un disordinato e apparentemente irragionevole aumento delle pulsazioni. Se poi, si trovava addirittura alla sua presenza, le si ammollavano le ginocchia, i capezzoli si irrigidivano e sentiva inumidirsi il cavallo delle mutandine. Una cosa irresistibile, insomma. Ed era stata costretta a sedurlo, qualche giorno prima, o sarebbe impazzita.Essendo di mediocre bellezza e trentaduenne era consapevole che non sarebbero state sufficienti un bel paio di poppe e due belle gambe a sedurre Beau, così s’era industriata a fargli aprire la patta dei pantaloni con altri sistemi, ricorrendo ad un comportamento che un giudice (e qui stava la scusante di Beau) avrebbe definito estorsione.In sostanza aveva pazientemente accumulato, una dietro l’altra, prove sufficienti ad accusare Beau di malversazione nei confronti di Frank Scalia. Quando le aveva ritenute sufficienti aveva costretto Beau a calare i pantaloni. In quel momento lui stava appunto pagando una rata di prezzo su un divano del grande soggiorno e lei stava riscuotendo con gran soddisfazione…Mentre scopava con regolarità Beau pensava a come avrebbe potuto uscire da quella maledetta situazione e senza lasciarci le penne. Scopare la moglie di Scalia era come scopare la moglie di Cesare: si correva il rischio di essere cancellati dall’anagrafe con procedura d’urgenza. Non scopare la moglie di Scalia significava essere accusato di avere intascato i soldi di Scalia e, ad intascare i soldi di Scalia, si correva il rischio di essere cancellati dall’anagrafe con procedura d’urgenza.Un ritornello monotono, se volete, ma terribilmente reale.Beau pompava e continuava a pensare. Ma non vedeva una via d’uscita. Per il momento l’unica via era di entrata, nella vagina di Molly…Lei era già venuta una prima volta e lui sentiva che fra qualche momento sarebbe arrivato anche il suo momento di arrivare all’orgasmo. Le impastò con forza le mammelle. – Porca! Stai godendo ancora! – le ansimò sulla bocca e lei rispose con una serie di piccole grida strozzate che precedettero l’urlo liberatorio. – Oh!… Oooh!… Aaaaah!… – – Anch’io! – ruggì Beau, prendendo ad agitarsi scompostamente dentro di lei.Frank Scalia, seguito dai guardaspalle Sam e Rocky, entrò nella stanza proprio in quel momento ed ebbe uno dei suoi, leggendari, terribili sogghigni mentre gli occhi sporgenti, da rospo, fissavano la scena. Beau si accorse di lui proprio nell’istante in cui l’intima sua lava stava acquistando velocità lungo le rampe di lancio. Fu come ricevere nella schiena un dardo di ghiaccio. Si ha un bel dire che certi processi sono irreversibili: in Beau tutto si fermò, tutto si fece di gelo e il magma, un attimo prima ribollente in fase di eruzione, si arrestò a metà del condotto. – Dunque, dunque, dunque! – esordì Frank Scalia.Beau non disse niente. Gli s’era gelata anche la lingua. Sam e Rocky, non sapendo quale comportamento scegliere, tacquero giudiziosamente. Però era come se avessero parlato dal momento che entrambi impugnavano il cannone. Erano imbarazzati, ma non al punto di scordarsi come si usava. – Dunque, dunque! – ripetè Frank Scalia e Beau non lo trovò affatto monotono. Frank, simile a un grosso rospo in abito gessato, roteò gli occhi sporgenti in direzione di Molly che stava appena riemergendo dal mondo colorato dell’orgasmo e ancora non si era resa conto di niente. – Dio, quanto ho goduto! – sospirò Molly, l’incosciente. – Oddio, credevo di non riuscire a sopportarlo, Beau… – – Dunque! – concluse Frank Scalia, cacciandosi le mani nelle tasche dell’abito gessato e tutti, meno Molly, capirono che si trattava del dunque conclusivo, persino Beau nel suo cervello surgelato. Frank volse il testone da rospo in direzione di Sam. – Così avevi ragione, dopotutto, – osservò cupamente. – Hai corso un bel rischio, sai? Avrei potuto giungere a pensare male di te se avessimo trovato Molly intenta ad incipriarsi semplicemente il naso… -Sam, un omone dal cranio pelato e gli occhi porcini, rabbrividì. Quando Frank Scalia pensava male di qualcuno, costui poteva già ordinarsi la cassa da morto: correva il rischio di essere cancellato dall’anagrafe con procedura d’urgenza…Sul divano Molly finì per prendere coscienza di inquietanti presenze nella stanza. Ma era ancora sotto Beau e, incredibilmente, ancora impalata da lui: a Beau era rimasto il pene rigido e solidamente infisso per tutta la sua lunghezza nella vagina accogliente di Molly. – Be’, che facciamo capo? – gracchiò Rocky, che trovava la situazione scandalosamente paradossale. Rocky pareva il gemello di Sam ma, a differenza di costui, era turbato da ciò che vedeva sul divano perchè Molly gli piaceva e l’uccello gli stava tendendo pericolosamente la patta dei calzoni. Guai, se Frank se ne fosse accorto. Ma Frank non stava guardando la patta dei calzoni di Rocky. Comunque, rilevò la sua domanda e stava aprendo la bocca da rospo, per rispondere, quando Molly, resasi conto appieno, emise un gemito disperato e tentò di sottrarsi al bastone di carne che la teneva infilzata. – Frank!!… Dio mio, Frank!!! – implorò terrorizzata. – Credimi, Frank, io non volevo… – – Silenzio! – la zittì Frank. Stava pensando e, quando pensava, non voleva essere disturbato. Ovviamente, stava pensando alla punizione da infliggere ai due. Ma Frank non era mai riuscito a pensare a due cose alla volta. Per questo Beau gli era stato tanto prezioso. – Non riesco a pensare due cose alla volta, – annunciò onestamente. – Adesso penserò a Beau. Dunque… -Tutti restarono in attesa. Frank stava pensando. Ci volle quasi un minuto. Infine Frank disse: – Per prima cosa tirati fuori da lì, Beau. Tirati fuori e rivestiti. -Beau abbassò gli occhi e realizzò in quale posizione si trovava. Cristo, non s’era accorto d’essere rimasto dentro! Meccanicamente si ritrasse. Frank, Sam e Rocky fissarono, stupiti e vagamente ammirati, il grosso e lungo pene rigido che usciva pian piano dalla fessura di Molly. Pareva che non finisse mai di uscire, mentre Beau si ritraeva. Infine la grossa cappella turgida uscì con un plop! (chiaramente Molly stringeva…) e il pene restò rigido e impennato. Beau, tenendo d’occhio Frank e l’artiglieria di Sam e Rocky, iniziò, giù dal divano, uno spogliarello alla rovescia. Calzini, mutande, camicia, pantaloni, scarpe, cravatta, giacca. Il tutto in pochi secondi. Quando fu vestito risultò, senza dubbio, il più elegante tra gli uomini che erano nella stanza. Soltanto l’enorme gonfiore sul davanti dei calzoni guastava l’aplomb della sua figura impeccabile. – Sto pensando a qualcosa di raffinato… – mormorò Frank. – Gliene seghiamo un pezzo, capo? – propose Rocky, accennando al gonfiore, ma Frank scosse la testa. – Metodi sorpassati, – osservò con lieve accento di rimprovero. – Metodi che non si usano più. Ho detto qualcosa di raffinato, Rocky. – – Frank, caro, posso rivestirmi anch’io? – chiese Molly con voce piagnucolosa. – Quel porco di Rocky mi sta guardando in un certo modo che… – – Zitta! – impose Frank. – Non seccarmi mentre penso! – – Perchè non lo diamo in mano ad Ahmet, capo? – suggerì Sam.Beau, al sentire il nome di Ahmet, si fece forza per nascondere il turbamento che lo aveva invaso: Ahmet era un turco famigerato, bandito fra i più terribili a Chicago, padrone di un ristorante e pederasta incallito. Ahmet, inoltre, era dotato di un membro spaventoso. Più di una, tra le sue vittime, ne era rimasta sbudellata. Il pene di Beau si afflosciò immediatamente. Ma Frank scosse la testa. – No, – disse considerando pensosamente Beau. – Finirebbe per abituarsi e magari Ahmet si innamorerebbe di lui. No, ho pensato a qualcosa di meno appariscente, per il nostro Beau. Di meno appariscente ma di tutta efficacia. Intanto, perquisitelo. -Beau non oppose resistenza mentre Sam lo perquisiva espertamente. Poco dopo gli averi di Beau erano sciorinati su un basso tavolo di cristallo: un portafogli di coccodrillo con gli angoli d’oro; una biro d’oro; un portasigarette d’oro; un accendino Dupont d’oro; un orologio di marca Rolex d’oro con bracciale d’oro; centoventi dollari in banconote di tagli diversi, trattenute insieme da un fermaglio d’oro; un’agenda con gli angoli d’oro; un mazzo di chiavi infilate in un anello d’oro; un fazzoletto profumato, leggermente macchiato di rossetto.Nel portafogli c’erano due banconote da cento dollari e il libretto degli assegni. Frank lesse il saldo, meticolosamente annotato da Beau sulla matrice dell’ultimo assegno: quarantottomila dollari e trecentoquaranta. Sorrise ammirato: – Caspita, se ne hai fatti, di soldi, amico. Bene, compila un assegno per quarantottomilatrecentoquaranta intestato al mio nome e firmalo. -Beau compilò l’assegno, lo firmò e lo porse a Frank. – Dunque, – disse Frank, prendendo le chiavi e facendole ballare nel palmo della mano. Sembrava soddisfatto dell’idea che stava rimuginando. – Dunque, Beau: tu sei uno schifoso fetente. Farò in modo che te ne ricordi per tutta la vita, perciò niente soluzioni sanguinose. Mi limito a mandarti via dalla città con gli stessi soldi con i quali ci sei venuto, ossia niente. Mi limito ad avvertire tutti che sei un verme. Non troverai più lavoro, Sam e Rocky ti accompagnano all’aeroporto e ti prendono il biglietto per il primo aereo in partenza. Non importa la destinazione, purchè sia il primo aereo. Addio, Beau. -Beau non credeva di avere osservazioni da fare. Non ne fece. Uscì dal superattico di Frank, con Sam e Rocky incollati ai fianchi. Presero l’ascensore che scendeva direttamente al piano terra, uscirono e si diressero verso la Cadillac di Scalia, posteggiata dietro la Jaguar di Beau. – Chissà se il capo mi darà la tua auto, Beau, – sospirò Sam. – Mi è sempre piaciuta. -Beau sedette con Sam sul sedile posteriore mentre Rocky si metteva alla guida della Caddy. – A me piacerebbe sapere che cosa farà, il capo, di Molly, – borbottò Rocky mentre l’auto si staccava silenziosamente dal marciapiede. – Per me la spedirà a New Orleans, in un casino per negri, – opinò Sam. – Non doveva mettersi con Beau. – – E Beau non doveva mettersi con Molly, – sentenziò Rocky.Beau non disse niente. Sapeva che sarebbe stato come parlare al muro. Tre quarti d’ora dopo Rocky posteggiò la Cadillac davanti all’ingresso delle partenze nazionali del “O’Hare”.Dentro, risultò che il primo aereo in partenza era diretto a Baltimora. Rocky prese il biglietto mentre Sam sorvegliava Beau. I due uomini restarono ad osservare Beau attraverso l’ampia vetrata. Lo videro salire con gli altri passeggeri e quando l’aereo prese a rullare per portarsi sulla pista di decollo se ne tornarono alla Cadillac. – Per me Beau non doveva mettersi con Molly, – osservò Sam. – E Molly non doveva mettersi con Beau, – aggiunse Rocky.E fu tutto. No, non avrebbe dovuto. Si muoveva come un sonnanbulo nella grande aerostazione di Baltimora. Non aveva bagagli, nè documenti, nè denaro. Neppure gli spiccioli per una telefonata a New York. Se avesse potuto telefonare a New York e parlare con Dolan, oppure con Morgan, loro avrebbero potuto inviargli un vaglia telegrafico. Si rendeva conto di essere ancora in stato di shock, quasi incapace di riflettere. Poichè aveva sete, ogni tanto i suoi passi si muovevano macchinalmente in direzione di uno dei bar, sinchè non ricordava di non avere denaro e tornava indietro.Finalmente ritenne di avere risolto il proprio problema e si meravigliò di non averci pensato prima, tanto era semplice. Entrò nell’ufficio postale e chiese ad una delle ragazza in divisa blù se era possibile chiamare il signor Dolan, New York, Hotel Bellevue, chiamata a carico del destinatario. La telefonista era bionda, giovane, carina. Guardò Beau e subito sentì ammollarsi le ginocchia, le s’inturgidirono i capezzoli e le si inumidì il cavallo delle mutandine. Lui dovette ripetere la domanda, tanto era imbambolata.Sì, era possibile. Aveva il numero? No? Ebbene l’avrebbe cercato lei sull’elenco. No, nessun disturbo. Il nome del richiedente? – Sarà sufficiente Beau, – le sorrise lui. – Si scrive alla francese. – – Oh, capisco, – disse la bionda e sul modulo scrisse Boh. Armeggiò con le spine e, due minuti dopo, indicò a Beau una cabina.Mentre lui telefonava stette ad osservarlo, trascurando altre richieste, e si chiese come fosse possibile che un uomo, anche se bello come quel Boh, potesse provocare un simile effetto su una ragazza come lei che, alla fin dei conti, aveva più richieste di appuntamenti di quante ne potesse soddisfare.Quando tornò al banco il signor Boh le sorrise e la mise a parte di un problema. Da lì a mezz’ora avrebbe ricevuto un vaglia telegrafico di cinquecento dollari ma, purtroppo, aveva dimenticato a Chicago denaro e documenti: non avrebbe potuto garantire per lui con la collega dell’ufficio cassa?La biondina avrebbe garantito per lui anche se avesse avuto ragione di sospettare che si trattava di Al Capone redivivo. Il signor Boh non doveva preoccuparsi. Molto gentile, rispose Beau, dedicandole un altro dei suoi sorrisi. Il suo aereo per New York non sarebbe partito che alle ventidue e zero sei: mancavano più di due ore e… non avrebbero potuto cenare insieme, per ripagarla della cortesia?La ragazza si umettò le labbra con la punta della lingua, come se gli occhi vellutati di Beau avessero avuto il potere di oltrepassare le sue mutandine ed ora stessero accarezzandole magnificamente il clitoride che lei sentiva eretto e turgido fino allo spasimo… – Oh, be’, io smonto giusto fra mezz’ora, – balbettò perduta nello sguardo di lui. – Lei è veramente molto gentile, signor Boh, non vedo perchè non dovrei accettare… – – Allora è cosa fatta, – stabilì lui, in tono definitivo. – E… non avrebbe una sigaretta, per caso? -Lei gli diede la sigaretta e, quando fece scattare l’accendino di plastica, fu compensata dalle mani di lui che si chiusero a coppa sulla sua. Poi Beau se ne andò a gironzolare per l’atrio partenze, prenotò un posto per il volo delle ventidue e zero sei e quando, mezz’ora dopo, tornò all’ufficio postale, il vaglia era arrivato e la biondina lo attendeva per farglielo riscuotere all’ufficio cassa. Si chiamava Linda, glielo disse mentre prendevano, finalmente, un buon aperitivo al bar. – Sei un tesoro, Linda, – dichiarò Beau. – Qual’è il miglior locale che tu conosca nei pressi? – – Be’, avrei pensato al “Panda Room”, – disse lei appoggiandogli come casualmente una mano sul braccio e ricavandone una scossa squisitamente intima. – E’ un buon locale, a due passi da qui e… ed è vicinissimo a casa mia… – – Allora è quanto di meglio, – acconsentì Beau, ma qualcosa gli diceva che i gusti di quella Linda, in fatto di cibo, non avrebbero collimato con i suoi.Il “Panda Room” era realmente a due passi dall’aeroporto e in questo lei non aveva mentito. Inoltre non era il momento di pretendere Tournedos à la Rossini, ma l’hamburger con cipolle che fu costretto a trangugiare insieme alla torta al formaggio ed a una scadente qualità di birra, gli ricordarono amaramento il suo repentino stato di decadenza, stato che avrebbe potuto divenire irreversibile se il fato e la sua inventiva, in un prossimo futuro, non si fossero dimostrati in grado di ribaltare quell’orribile situazione in cui l’aveva precipitato Frank Scalia. Per giunta, il ginocchio rotondo di Linda contro il suo, sotto la tavola, non gli dava alcuna sensazione. La ragazza avrebbe potuto essere il dolce correttivo di una giornata funesta, dal momento che era giovane, carina, ottimamente carrozzata e totalmente disponibile. Forse, si disse mentre uscivano da quell’abominevole luogo, si trattava dello shock di Chicago, quando Frank era entrato nel soggiorno dove lui stava scopando Molly. Non poteva trattarsi d’altro.Neppure sulla vicinanza della sua casa Linda aveva mentito. Era appena ad un isolato di distanza dal ristorante e, davanti al portone, c’era un parcheggio di taxi, caso mai avesse fatto tardi. Presero l’ascensore. Linda abitava al diciottesimo piano. Al quarto si appese al collo di Beau ed ebbe in premio le sue labbra. Il bacio la portò, attraverso i restanti quattordici piani e la sapiente lingua di Beau, a un punto assai prossimo all’orgasmo. Mentre tentava di infilare la chiave nella serratura le sue mani tremavano a tal punto che lui le tolse l’iniziativa, altrimenti rischiavano di rimanere sul pianerottolo a tempo indeterminato.Una volta all’interno non vi furono attese o periodi di transizione. Linda, incontenibile, lo aggredì trattandolo al limite della violenza carnale. Quando approdarono al letto di lei erano, praticamente, ancora vestiti. Fu sufficiente che Beau l’accarezzasse un poco con le dita mentre le esplorava con la punta della lingua l’interno del piccolo orecchio color rosa e Linda venne con un lungo gemito, mentre il pene di Beau se ne restava pigramente arrotolato dentro gli slips.Dopo l’orgasmo lei rimase tranquilla per uno spazio temporale valutabile intorno ai quaranta secondi, dopodichè, riacquistata la lucidità necessaria ai suoi precisi programmi, si sfilò le mutandine, sganciò il reggipetto e, soltanto pro forma, chiese a Beau: – Tesoro, vorresti bere qualcosa, forse? – – Mi andrebbe un Jack Daniels, – ammise lui. – Ne hai per caso? – – Cos’è un Jack Daniels? – chiese Linda, in buona fede. – Oh, lascia perdere, cara, – sospirò Beau. – Hai del whisky? – – Ho del gin, – disse Linda un po’ mortificata e un po’ impaziente. – Potrebbe andar bene, – si rassegnò lui. – Con un po’ d’acqua. -La osservò filare a culo nudo in direzione della cucina ed approfittò della sua momentanea assenza per spogliarsi del tutto. Ordinò accuratamente gli abiti sulla spalliera di una seggiola e tornò a sdraiarsi sul letto. Era corretto per natura e pensò che avrebbe dato a Linda ciò che lei si aspettava. Lei rientrò in camera da letto, reggendo un bicchiere di gin allungato con l’acqua e, alla vista di Beau nudo sul letto, le corsero gli occhi al membro che, pur in stato di riposo, mostrava dimensioni di tutto rispetto e ottima fattura. Le luccicarono gli occhi e quasi rovesciava il contenuto del bicchiere sul petto muscoloso di Beau. Nè potè trattenersi mentre lui, dopo aver cautamente odorato la bevanda e ne ingollava un paio di sorsi, dal carezzare quel magnifico pene, così simile a un grosso serpente che riposi tra l’erba.Beau le porse il bicchiere semipieno e lei, dopo averlo posato sul tavolino da notte, gli fu addosso. Era frenetica, implorante, umile, esigente. A Beau parve che avesse quattro mani, due lingue e un numero imprecisato di seni, tutti belli, rotondi, sodi, ognuno voglioso d’essere palpato succhiato e strapazzato. Siccome non era nato per la passività rovesciò Linda sotto di se e le gravò addosso, succhiandole la lingua e impastandole i seni come lei desiderava. La sua sinistra scese lungo il corpo morbido di lei, le dita a spartire il pelo folto e umido del monte di venere, a sfiorare proditoriamente il clitoride mentre allargavano la fessura umida e frugavano dolcemente il tenero meato, per poi penetrarlo insinuanti e carezzevoli…La bocca di Beau sulle labbra, la lingua maschile che lambiva voluttuosamente la sua, le dita che la frugavano così deliziosamente nell’intimo, portarono rapidamente la ragazza a un nuovo orgasmo, proprio nel medesimo istante in cui Beau, decisamente perplesso, si rendeva conto di non provare il minimo desiderio di lei: mentre Linda si agitava scompostamente, all’apice della voluttà, il membro di Beau restava immobile ed assente, pigramente riposando sui testicoli.Linda veniva intanto con lunghi gemiti, invocando il suo nome. – Oh,… Boh!… Boh!!… Booooh!!!… Ecco che vengo di nuovo, amore!… Boooooh!!!… – Linda stralunava gli occhi e gli si accasciava tra le braccia, la serica pelle madida di sudore, e lui? In nome del cielo che cosa faceva lui? Scosse la testa, preoccupato e fissò con cipiglio il membro renitente alle solite amate cose: se ne stava languido ed imbelle, totalmente estraneo agli accadimenti.Okay, pensò con un sospiro di comprensione, certamente si trattava del maledetto shock relativo alla fottutissima giornata. Una buona dormita, a New York, e tutto sarebbe tornato a posto, da quel lato. Magari una notte di sonno avesse potuto cancellare anche tutto il resto…L’orologio elettrico sul tavolino da notte segnava le ventuno e quaranta. Il volo per New York era alle ventidue e zero sei. Si sciolse con ferma dolcezza dall’abbraccio umido di Linda e, prima che lei potesse tornare sulla terra, stava già annodandosi la cravatta. Il taxi sbarcò Beau, alle una e trenta del mattino, all’angolo della Settima Sud con la Lincoln street, in Greenwich Village. L’aspetto del Bellevue era ancora più brutto di quanto ricordasse. Un piccolo hotel di ruffiani, puttane, ladri, ricettatori, piccoli spacciatori. Ma i vecchi clienti come Dolan avevano un trattamento di riguardo, i poliziotti giravano alla larga, i prezzi erano ragionevoli e la direzione faceva credito alle persone conosciute. Nolan abitava al Bellevue da quando Beau lo conosceva.Dietro il bancone il portiere di notte dormiva e, nell’atrio maleodorante e scarsamente illuminato, un ruffiano sprofondato in una poltroncina sgangherata era intento a leggere una rivista sportiva in attesa della sua donna e non degnò Beau di uno sguardo mentre lui si dirigeva verso le scale. Dolan abitava al primo piano, stanza numero sette e non v’era ragione di credere che avesse cambiato stanza in quegli anni: Dolan era un abitudinario.Al primo piano girò la maniglia della porta contrassegnata col sette e la porta si aprì. Un’altra delle abitudini di Dolan era quella di non chiudere mai a chiave le porte. Beau entrò. La stanza era fiocamente illuminata ma riconobbe ugualmente le bianche natiche di Dolan che si muovevano al ritmo più antico del mondo. La ragazza, una bruna dai fianchi larghi, stava carponi sul letto e, dietro di lei, Dolan andava scavandole l’ano a colpi profondi e regolari. Nessuno dei due si accorse del suo ingresso. La ragazza aveva il volto contro il cuscino e Dolan, che ansimava leggermente, era troppo concentrato nel suo compito per accorgersi che la scena contava uno spettatore. Beau chiuse delicatamente la porta e sedette su una poltroncina ai piedi del letto. Naturalmente non era il caso di battere un colpetto sulla spalla nuda di Dolan e dirgli cose come “eccomi qua vecchio mio”, o simili. Non era neppure il caso di accendere una sigaretta, anche se ne avrebbe avuto voglia, per cui si limitò a starsene zitto, in attesa del naturale epilogo.Nel frattempo l’ignaro Dolan continuava a pompare con bella regolarità e Beau fu soddisfatto di trovarlo in piena forma. In aereo aveva riflettuto a lungo circa il futuro prossimo e le sue conclusioni coinvolgevano Dolan e Morgan. Certo, erano passati degli anni e la gente cambia. Se Dolan e Morgan erano cambiati non ci sarebbe stato niente da fare. Avrebbe dovuto pensarne un’altra oppure rivolgersi altrove. Ma lui sperava che non fossero cambiati. – Dai, uomo, che aspetti? – si lamentò la ragazza, evidentemente desiderosa che Dolan finisse. – Non farmi fretta, Ginger! Lo sai che mi infastidisce! – grugnì lui di rimando. – Ah, ti infastidisce? – replicò Ginger polemica. – E che dovrei dire io? Oggi è il mio giorno di libertà, ti faccio un favore pensando che si tratti di una sveltina prima di andarsene a letto e invece mi ritrovo alle prese con uno sportivo che vuole battere un nuovo record di durata! Ti rendi conto che mi stai inculando da mezz’ora? – – Ragazza mia, – ribattè Dolan, senza smettere di pompare, – io so soltanto una cosa: che ce l’hai nel culo e te lo tieni finchè non avrò finito. Dunque, sta’ zitta o, se proprio vuoi parlare, incitami con frasi erotiche. Può darsi che il mio aspersorio ne tenga conto, non si sa mai… – – Ma vaffanculo! – lo ingiuriò lei senza convinzione e Beau pensò che mai ingiuria era stata più incongrua, data la situazione. Meccanicamente accese una sigaretta e, senza rendersene conto, sbuffò il fumo in direzione del letto. – Ah, questa poi! – s’indignò Ginger. – Ti metti anche a fumare, adesso? Ma per chi mi prendi? – – Buona! – intimò Dolan, senza rompere il ritmo. – Come vuoi che mi metta in testa di venire se fai osservazioni strampalate? Nessuno fuma, in questa stanza. -Beau si strinse nelle spalle. A giudicare dal ritmo di Dolan la cosa avrebbe potuto durare ancora a lungo e lui si sentiva stanco. Aveva voglia di fare una doccia e di stendersi sul letto. Si alzò, scosse la cenere della sigaretta e trasportò la poltroncina a fianco del letto. – Chiedo scusa gente, – intervenne in tono amabile, – sono io che fumo. Come va, Dolan? Ti vedo abbastanza in forma… -Dolan smise di colpo il va e vieni nell’ano di Ginger e il suo volto simpatico si allargò in un sorriso felice. – Beau! Non ti aspettavo così presto! Un minuto che mi tiro fuori di qui e… – – Prego, prego, – lo interruppe Beau, sorridendo a Ginger che, appoggiata sui gomiti, lo osservava con interesse. – Queste son cose che, quando uno le comincia, deve finirle. – – Okay, allora, – disse Dolan, strizzandogli soddisfatto un occhio. – Vedrò di stringere i tempi. Ehi, Ginger, questo è Beau. Ti ho parlato molte volte di lui… – – Altrochè, – ammise Ginger che, continuando a guardare Beau, si sentiva le ginocchia molli, i capezzoli irrigiditi e l’interno della vagina deliziosamente umido. – Da quando ti conosco non hai fatto altro che parlare di lui… -Beau le sorrise e lei provò ad immaginare che il pene rigido e deciso che aveva ripreso a scavarle il condotto posteriore, fosse quello del bellissimo giovane che se ne stava seduto a fianco del letto, accarezzandola con occhi vellutati. Le sfuggì un gemito di piacere che fece salire su di giri Dolan. – Ti sta pompando proprio bene, eh? – osservò amichevolmente Beau e lei rispose con un altro gemito, senza staccare gli occhi dai suoi. – Perchè non ti carezzi, cara? – le propose, insinuando una mano a stringerle adagio un capezzolo, tra pollice e indice. – Oh!… Oh!!… Si!…Si!!… – mugolò Ginger, mentre il rigido pene di Dolan aumentava il ritmo e l’intensità degli affondi all’interno del suo retto. Portò la mano tra le cosce e, mentre Beau le palpeggiava una mammella, iniziò una forsennata carezza sul clitoride, gli occhi fissi in quelli di Beau. – Cristo! Io vengo! – digrignò Dolan, afferrando con forza i fianchi della donna. – Anch’io!… Anch’io!!… – gridò Ginger, accelerando col dito. Gli occhi di Beau, dolcemente imperativi, rappresentavano il mare di voluttà nel quale stava sprofondando. – Ginger!… GODO!!!… – urlò Dolan, piantandole il pene nel budello sino ai testicoli e irrigidendosi in una serie di spasimi che esplosero in altrettanti caldi schizzi di sperma e, contemporaneamente, la donna arrovesciò gli occhi e, la bocca contro il guanciale, gridò parole smozzicate e inintellegibili, mentre la mano di Beau le stringeva forte un seno…Quando Ginger giacque prona, con Dolan che le gravava addosso ancora infisso in lei, Beau ritirò la mano con delicatezza, carezzò la tempia madida della donna. – Oddio come ho goduto! – si lamentò lei con voce soffocata. – Cristo, come ho goduto! – – Un’inculata favolosa, davvero, – le fece eco Dolan, dopo un lungo sospiro. – Sei proprio in gran forma, amico. Realmente. – commentò Beau a sua volta.Con un sogghigno soddisfatto Dolan si tirò finalmente fuori dal culo di Ginger. Scivolò giù dal letto e infine lui e Beau scambiarono una calorosa stretta di mano. – Cristo, Beau! Non sei cambiato per niente, in questi cinque anni! Io e Morgan siamo felici che tu sia tornato. Non ce la passiamo male ma… tu sei un’altra cosa, Beau! – – Hai telefonato a Morgan? – chiese Beau, sorridendo al vecchio amico. Era soddisfatto di trovare Dolan asciutto e in piena forma. A trentadue anni Dolan sembrava ancora lo stesso ragazzo che si era battuto con lui per le strade di New York. Non era un colosso, ma era alto, forte e agile e sapeva il fatto suo. Aveva un volto simpatico, dai tratti regolari, caldi occhi marrone e capelli biondoscuro, un po’ radi, che pettinava con la scriminatura. – Si capisce che gli ho telefonato! Non voleva crederci, sulle prime. Pensava che io scherzassi. – – Al telefono mi hai detto che vive con una ragazza… -Dolan si strinse nelle spalle, come a significare che non era una cosa importante. – Lo trova comodo, – disse. – Lei gli stira gli abiti e tiene la casa in ordine. Quando non lavoriamo lui cucina. Sai che è sempre stato il suo hobby. – – Niente sentimento o cose del genere, tra loro? – chiese Beau, sospettoso. – Nemmeno un poco, – rispose Dolan. – E’ una società di mutuo soccorso, tra loro. Non temere capo. Morgan è sempre lo stesso. D’altronde Holly non è una ragazza appiccicaticcia. Sa farsi i fatti suoi. -Beau annuì, apparentemente soddisfatto e gettò un’occhiata al letto dove Ginger s’era messa supina e lo fissava con occhi languidi. Era una bella ragazza, forse un po’ abbondante per i suoi gusti, ma dal corpo ben fatto. Vita stretta, fianchi larghi, grosse mammelle dure e, sul pube, un folto, intricato triangolo di peli neri. Sotto lo sguardo del giovane si umettò con la lingua le labbra carnose. – Così tu saresti il famoso Beau, – sospirò languida. – Sai che ti dico, uomo? Credevo che Dolan avesse esagerato nel descriverti. Invece sei ancora meglio… – S’inarcò un poco sul letto, in modo da porre in rilievo i seni. – Ti fermi qui, stanotte? Se ti fermi potresti cominciare a spogliarti. Tu che ne dici Dolan? – – Io dico che Beau può fare tutto ciò che gli passa per la testa, cocca, – sogghignò l’interpellato. – Sei molto carina a invitarmi, Ginger, – sorrise Beau, – ma io sono completamente groggy. Ho avuto una giornata terribilmente faticosa, a Chicago. Magari un’altra sera, se ti va a genio… – – Certo che mi va a genio, altrimenti non te l’avrei chiesto, sai? Be’, non hai che da farmi un fischio, – sospirò alzandosi e mettendosi a sedere sul letto, – non appena ti rimetti in forma. Okay? – – Puoi contarci, – le disse Beau mentre lei scivolava giù dal letto. Dolan le porse una vestaglia di seta che lei indossò lentamente, gli occhi fissi in quelli di Beau. Aveva appena goduto eppure gli occhi di quell’uomo avevano il potere di inumidirla, di farla prudere. Si sentiva le ginocchia molli e i capezzoli si disegnarono eretti contro la seta della vestaglia. Salutò Dolan con un buffetto sul pene floscio e baciò sulla bocca Beau, che la sentì fremere. Quando fu uscita Dolan indossò un paio di calzoni e stappò una bottiglia di whisky. – Brava ragazza, Ginger, – osservò versando il liquore in due bicchieri. – Niente meglio di lei, quando devi scaricare la tensione. Vive al Bellevue con il suo ganzo. La sua tariffa è venti dollari ma con gli amici scopa gratis. Te, poi, ti pagherebbe. Hai visto come ti guardava! E poi è una delle poche che conosco che lo prende nel culo senza protestare. Sai che a me il culo mi ha fatto sempre impazzire! Ma ora parliamo di cose più interessanti. Non mi par vero che tu sia qui, a New York… -Beau si tolse la giacca e slacciò il nodo della cravatta. Era stanco, affaticato, teso. Sbottonò distrattamente la camicia, mettendo a nudo il petto muscoloso. – Tu e Morgan avete continuato il solito lavoro? – s’informò, prendendo il bicchiere che gli porgeva Dolan. – E che altro? – sogghignò Dolan. – Sempre il solito, si. Negozi non protetti, piccoli ristoranti, eccetera. Tutti lavoretti occasionali, su indicazione di qualche ruffiano o di qualche puttana. Una media di due, al massimo tre lavori al mese. Ultimamente, però, si è fatta dura. Quelli di Cosa Nostra si sono fatti rigidi con quelli che sconfinano: guai a toccare uno dei locali protetti da loro… – – Quando potremo parlare con Morgan? – chiese Beau. – Domattina. Non vede l’ora. – – Non voglio che ci sia la sua ragazza, – precisò Beau. – Non è la sua ragazza e non ci sarà, – disse Dolan. – Lavora in un’agenzia immobiliare. – – Bene, – disse Beau, nascondendo uno sbadiglio. – Non c’è posto per nessuna ragazza, nei miei piani. – – Che intenzioni hai, Beau? – chiese Dolan, eccitato. – Ci mettiamo in grande stile? – – Al contrario, – replicò Beau con un sorriso stanco. – Faremo le cose in piccolo. Ma ne parleremo domani, con Morgan. Adesso ho urgente bisogno di una doccia e di un letto. – – Posso procurarti anche un paio di pantofole ed un pigiama, – rise Dolan, felice che Beau fosse tornato a New York. Holly, la ragazza di Morgan, abitava oltre la quattordicesima, in Bleeker street, non lontano dal Bellevue. Vi andarono a piedi, alle dieci e trenta del mattino. Beau entrò in una cartoleria e, sotto gli occhi curiosi e interessati di Dolan, acquistò una carta stradale del Kansas. Un isolato dopo osservò con sospetto il casamento borghese in cui abitava Morgan con la sua ragazza, ma non fece commenti. Salirono al diciassettesimo piano e Dolan bussò a una porta. Venne ad aprire un gigante dai capelli rossi e gli occhi celesti di fanciullo che fissò Beau talmente commosso da essere incapace di parlare. – Allora, Morgan, ci credi adesso? – lo canzonò Dolan e Beau colpì il gigante con un pugno affettuoso, al plesso solare. Fu come colpire un tronco d’albero e Beau ebbe un rassicurante contraccolpo alla spalla: almeno fisicamente Morgan non era cambiato. – Allora, vecchio, – ghignò allegramente, – vuoi restartene impalato ad ostruire l’ingresso? – – Beau! Capo!! – esclamò infine Morgan. – Io… io non volevo crederci, sai? – Le sue mani grosse come prosciutti afferrarono gli omeri di Beau e strinsero, come a saggiarne l’effettiva consistenza corporale. Soltanto dopo quella prova si fece da parte e Beau e Dolan entrarono sogghignando.Beau si guardò intorno, senza parere: era un microalloggio, arredato con comoda semplicità e ben tenuto. Tinello con angolo cottura, stanza da letto, bagno. – Sei nel lusso, – commentò osservando il vecchio compagno con occhi amichevolmente ironici. – Oh, be’, ecco, insomma… – farfugliò Morgan, impacciato. – No, Beau, niente lussuria, è un alloggio modesto. Holly ed io… – Morgan s’interruppe e guardò allarmato Dolan. – Glielo hai detto, vero, di Holly? – – Lusso, Morgan, – lo corresse Dolan. – La lussuria è un’altra cosa. Certo che gli ho detto di te e di Holly. E devo anche aggiungere che Beau teme che ti sia impigrito, con questo tuo vivere maritale… -Beau osservava divertito l’aria preoccupata che aveva assunto Morgan. Quanti anni aveva adesso? trentasei? trentasette? Comunque, almeno in apparenza, era sempre il vecchio Morgan, col suo corpo da solido gigante e gli occhi fanciulleschi. Uno e novanta di statura per novanta chili di muscoli e una faccia squadrata con l’accetta, la cui durezza diventava immediatamente improbabile per via di quegli occhi dall’azzurro candore… – Oh, no! Questo è falso! – protestò Morgan. – Io non sono cambiato, Beau! Diglielo tu, Dolan, che non sono cambiato! – – Sino a che punto sei legato a questa Holly? – chiese Beau, fissando il vecchio amico. – Tanto per intenderci, se tu dovessi lasciare New York e la ragazza, fino a che punto ti dispiacerebbe? – – Per lavoro? Con te e con Dolan? Che domande, capo! – si scandalizzò Morgan. – Sai benissimo che verrei in capo al mondo, con voi. Holly non è un problema. Stiamo insieme così, quasi per caso. – – Meglio così, – dichiarò Beau. – Non c’è posto per la tua Holly, nei miei progetti. Però come la prenderebbe se tu, diciamo tra un paio di settimane, sparissi senza manco salutarla? – – Questo non lo so, – borbottò Morgan, grattandosi i corti capelli color carota. – Probabilmente penserebbe che sono morto, oppure che sono un fetente. – – Beau vuol sapere, – intervenne Dolan, – se Holly ti farebbe una carognata come uno spiffero ai piedi piatti o roba del genere, capisci? In fondo lei sa che lavoro facciamo, io e te. – – Niente del genere! – sbottò Morgan, indignato. – Holly è una ragazza che si fa i fatti suoi. Non mi sarei messo con lei, altrimenti. – – Allora è tutto okay, – tagliò corto Beau. – Sediamoci e parliamo del nostro avvenire. Tanto per cominciare, siete pronti a far fagotto? Perchè il mio piano prevede che ce ne andiamo da New York. – – Con te veniamo in capo al mondo, – rispose prontamente Morgan ed anche Dolan annuì vigorosamente, in segno di consenso. – Okay, – disse Beau, soddisfatto. – Allora, ecco che cosa ho in mente: un racket, piccolo ma efficiente e redditizio, in una città piccola ma ricca, una città non controllata da Cosa Nostra. Che ne dite? – – Ma non esiste una città, per quanto piccola, che non sia controllata da Cosa Nostra, – obiettò Dolan. – Non ne esiste una in tutti gli Stati Uniti! – – Invece esiste! – lo contraddisse Beau. – Esiste e io so dove. Si tratta di vedere se ve la sentite di smettere con i lavoretti da quattro soldi, con le rapine ai bottegai, con gli scippi, con i piedi piatti sempre alle calcagna. I poliziotti li pagheremo, d’ora in poi. I poliziotti e i politici. Se ci state non dovrete temere in quanto all’organizzazione. Sino a ieri pomeriggio sono stato il braccio destro di Frank Scalia, a Chicago, e voi lo sapete. – – E hai lasciato Frank per metterti in proprio? – chiese Dolan, ammirato. – Con noi? Scalia non sarà stato molto contento, immagino. – – Non ho lasciato io Scalia, – dichiarò Beau, in tono fermo. – E’ stato lui a cacciarmi: mi ha sorpreso a letto con Molly, sua moglie. – – Cavolo! E non ti ha fatto fuori? – sogghignò Morgan – Credevo che l’avrebbe fatto, – sorrise Beau. – Invece si è limitato a mettermi sul primo aereo in partenza da Chicago. Si è tenuto il mio denaro, la mia auto e tutto ciò che possedevo. Inoltre mi ha informato che avrebbe avvertito tutti quelli di Cosa Nostra che io puzzo. Sono certo che, a quest’ora, i ragazzi di New York sono già stati avvertiti. Domani lo sapranno quelli della Costa. Sapete cosa significa, vero? – – Accidenti! Sei segnato Beau! – esclamò Dolan, ma non c’era alcun timore nel tono in cui lo disse. Piuttosto rispetto e ammirazione. – Non mi sono mai andati a genio, quelli di Cosa Nostra, – aggiunse Morgan con disprezzo. – Credono di essere chissà che cosa. – – Io ci sto, Beau, – disse Dolan. – Hai già in mente dove andare? – aggiunse, pratico come sempre. – Kansas, – rispose Beau, tirando fuori la carta stradale che aveva acquistata e spiegandola sul tavolo. Col dito segnò un punto. – Date un’occhiata, ragazzi: vedete questo triangolo formato dalle distanze fra Newton, Emporia e Chanute? Ebbene, in questo triangolo sceglieremo la nostra piccola città, ricca di commercianti, allevatori di bestiame, proprietari terrieri. Li mungeremo e daremo il dieci per cento del ricavato ai nostri protettori, ossia municipio e polizia… – – Il dieci? – protestò Dolan. – Non ti sembra troppo, Beau? Cosa Nostra dà il cinque… – – Noi daremo il dieci, – decretò Beau. – Far guadagnare gli altri sta alla base di un commercio solido e duraturo. Pagheremo puntualmente, saremo di un’onestà scrupolosa nel determinare le tangenti, useremo le maniere forti soltanto in caso di estrema necessità. Non appena possibile rileveremo qualche sana attività commerciale e, da quel momento, pagheremo regolarmente le tasse. – – Questo affare comincia a piacermi, – sogghignò Morgan. – Anche a me, – dichiarò Dolan. – Allora non ci resta che scegliere insieme la nostra piccola, ricca, ospitale cittadina, – concluse Beau, chinandosi maggiormente sulla carta. Al Bellevue faceva caldo e il condizionatore era guasto. Beau se ne stava supino sul letto, interamente nudo, e rifletteva. Erano le cinque del pomeriggio e Dolan era ancora fuori a raccogliere dati presso l’Associazione delle Camere di Commercio. Da tre giorni non facevano che mettere a punto l’operazione, nei minimi particolari. Come città la scelta era caduta su Madison: quarantamila abitanti, amministrazione repubblicana, sei banche, nessuna caserma della polizia di stato nel raggio di sessanta miglia, uno sceriffo con diciotto aiutanti. La mala locale consisteva in un pugno di teppisti, le puttane erano scarse e disorganizzate, non circolava droga pesante. Si trattava di impiantarsi in quella città, servirsi in un primo tempo dei teppisti locali per spaventare un po’ di gente e, dopo, mettere ordine, d’accordo con l’autorità locale. Per fare questo occorreva denaro, inizialmente, e Beau stava appunto riflettendo a come procurarselo. Morgan e Dolan avevano suggerito di effettuare una serie di colpi, nel Bronx, nel West Side, a Brooklyn ma Beau aveva scartato l’idea. Avevano bisogno di dieci-dodicimila dollari e, col sistema di Morgan e Dolan, avrebbero impiegato settimane, forse mesi, a raccogliere quel denaro. Col rischio di farsi prendere. No, occorreva un solo colpo, ben riuscito. Durante gli anni trascorsi a Chicago, Beau aveva immagazzinato una somma di notizie utilissime, notizie che riguardavano anche gente di New York, gente che, per ovvi motivi, teneva in casa grosse somme di denaro in contante…Due colpetti alla porta lo fecero sobbalzare. – Ragazzi, ci siete? – chiese una voce femminile dal corridoio e subito dopo la porta della stanza si aprì e fece capolino Ginger.Fissò golosamente il corpo nudo di Beau ed entrò senz’altro, chiudendosi la porta alle spalle. Lui non accennò neppure a coprirsi e Ginger sedette accanto a lui, sul letto, e gli graffiò leggermente il petto con le unghie laccate di rosso. – Solo? – – Dolan non dovrebbe tardare, – la informò Beau. Non aveva voglia di stare con Ginger ma non se la sentiva neppure di essere scortese. Lei gli carezzò il pene morbido e si chinò a baciarlo sulla bocca. – Mmmmh! Buono! – sospirò. – Se non stavi pensando a niente di importante mi fermerei un momentino… -Le sorrise e subito lei si sfilò l’abito dalla testa e lo gettò su una poltroncina. Sotto, portava un minuscolo slip di pizzo rosa e nient’altro. Le grandi mammelle ondeggiarono libere e pesanti, i capezzoli già eretti a dimostrazione di un desiderio autentico. – Sai, è dall’altra notte che non faccio altro che pensare a te, – sospirò vogliosa, sgusciando dalle mutandine e stendendoglisi al fianco. – E quando penso a te me ne viene una voglia tale che son capace persino di godere con i clienti… -Lo baciò sulla bocca, succhiandogli avidamente la lingua e Beau le accarezzò automaticamente le natiche polpose. – Tesoro caro! – mormorò lei, rauca di voglia. – Toccami, amore! Senti come sono già bagnata! -Ubbidiente, Beau arpeggiò con le dita nell’intrigo di peli, separando, toccando, accarezzando, introducendosi. Lei era addirittura zuppa. Mentre le succhiava la lingua il polpastrello del suo medio iniziò a carezzare sapientemente il clitoride inturgidito e intanto la mano sinistra scendeva carezzevole lungo la schiena arcuata, si insinuava tra lo spacco delle natiche, spingeva con un dito la tenera rugosità dello sfintere, stuzzicava, titillava e… finì per introdursi, sornione. – Beau!… Mi fai morire! – si lamentò Ginger. – Amore, così mi fai godere subito… -Il dito annidato nel caldo recesso posteriore la pompava allo stesso ritmo con cui il medio dell’altra mano strusciava carezzevole sul clitoride infiammato e Ginger ansimò. – Beau!… Beau!!… Guarda che godo!… Io… OH! GODOOO!!… -Gli occhi arrovesciati nel piacere, la bocca semiaperta a mostrare i denti candidi, Ginger aveva già imboccato il tunnel che l’avrebbe condotta al vortice dell’orgasmo. Si inarcò a riempire la bocca di lui di una salda mammella e, con un grido inarticolato, venne sfregando selvaggiamente la vulva contro le dita del maschio.Dolan scelse proprio quel momento per entrare in quella dannata stanza di cui nessuno mai chiudeva a chiave la porta e, mentre Ginger si abbatteva sfinita, strizzò l’occhio a Beau. – Disturbo? – chiese. – Vedo che la bimba ha ricevuto servizio completo! – – Forse le serve altro ancora, – ghignò Beau. – Accomodati, fratello. -Quando Ginger aprì un occhio ancora appannato dal piacere vide Dolan che, già nudo e con il pene minacciosamente rigido, si approssimava al letto. – Oh no! – protestò debolmente. – Almeno, non nel modo che preferisci, amico! – – Non è certo colpa mia se hai il più bel culo di Manhattan, – replicò Dolan, salendole a cavalcioni ed accostandole alle labbra la rossa testa del membro. – Puoi succhiarmelo un poco, – l’avvertì, – soltanto per inumidirlo, capisci? – – Ma non ho più saliva! – protestò lei e avrebbe aggiunto qualche altra osservazione se Dolan, che non amava perdersi in chiacchere, non le avesse senz’altro affondato il pene in bocca. Trovatasi in stato di necessità, Ginger arrotondò le labbra carnose intorno al membro, incavò le gote e prese a succhiare. – Ecco, tesoro, così, – borbottò Dolan, soddisfatto e, rivolto a Beau che se ne stava pacificamente sdraiato nella propria metà del letto: – Ho annotato un bel po’ di dati, sai? Credo proprio che abbiamo messo gli occhi sul posto giusto. -Intanto Ginger andava leccandogli coscienziosamente il glande, quasi torcendosi il collo nel tentativo di guardare dalla parte di Beau. Era eccitante vederlo a pochi centimetri da lei, ricordare il sapore delle sue labbra, il caldo, intimo tocco delle sue mani. Chiuse gli occhi e immaginò che il pene di Dolan fosse quello di Beau. Immediatamente le si irrigidirono i capezzoli, illanguidì tutta e si sentì nuovamente bagnata. Dolan si accorse subito che la lingua di Ginger era diventata avida, più avvolgente, il suo modo di succhiare più appassionato. – Ehi! Un momento! – protestò sottraendosi. – Non intenderai mica farmi godere in questo modo banale, eh? Su mettiti bocconi, cocca… -Ginger non provò neppure a protestare ma, nell’atteggiarsi carponi sul letto, si mise di traverso, in modo da poter posare la testa sul petto di Beau. Lui, comprensivo, le accarezzò i capelli. La sua mano ebbe il potere di addolcire la penetrazione pur sempre dolorosa e Ginger fece una smorfia e sussultò soltanto un poco, stringendo gli occhi e le labbra, quando il pene di Dolan si fece strada senza troppi complimenti. – Questa ragazza ha proprio un culo da favola, capo, – sospirò Dolan, immergendosi fino ai testicoli. – Se non l’hai ancora provato devi farlo, una volta o l’altra. Non ti troverai male, parola di Dolan… -Quando prese a pomparla, Beau ne sentì il contraccolpo attraverso la fronte che Ginger gli teneva appoggiata al petto. Ma tutta l’azione successiva si svolse senza che egli vi provasse il benchè minimo interesse, neppure come spettatore: infatti s’era ricordato il nome e l’indirizzo dell’uomo che gli interessava e, quando Ginger venne, invocando il suo nome, lui le carezzò distrattamente un seno… L’indomani, alle tre del pomeriggio, Beau pigiò, come di consueto, sul pulsante del campanello di Morgan e aggrottò le sopracciglia quando udì ticchettare sveltamente all’interno dell’appartamento. Meccanicamente sollevò gli occhi al numero della porta ma non s’era sbagliato. I dubbi lo riassalirono quando aprì Marilyn Monroe o, perlomeno, una ragazza biondissima che le somigliava in modo stupefacente. Fasciata in uno stretto abito di seta e issata su tacchi inverosimili, la biondissima lo fissò con manifesta approvazione. – Ehi! Ehi!! Scommetto che tu sei Beau! Oh, accidenti, sei anche meglio di quanto dicono Morgan e Dolan! – gorgheggiò estasiata, con un accento che fece torcere le budella a Beau. – Entra, dai, Morgan è sceso a comprare della birra ma torna subito! -Dopo aver balbettato un saluto lui la seguì mentre ancheggiava sui tacchi altissimi in direzione del tinello. Aveva un sedere rotondo ed eccitante e nessunissimo dubbio sul modo di dimenarlo, cioè il massimo consentito dalle leggi sull’equilibrio. Aveva anche belle gambe e la vita sottile. Quando si ritrovarono faccia a faccia, nel tinello, lei gli sgranò addosso gli occhioni celesti, manifestando un entusiasmo più che aperto. – Capperi, credevo che non ti avrei mai visto, sai? Accidenti, a sentire Morgan e Dolan, che non fanno altro che parlare di te, ero incuriosita tantissimo, puoi credermi! – Proruppe in una risatina fatta di trilli e gorgheggi, prima di continuare. – Oh, accidenti, ma che razza di padrona di casa sono! Vuoi bere qualcosa? Cioè, voglio dire, non c’è niente da bere, al momento, ma Morgan sarà qui a minuti con la birra… – – Suppongo tu sia Holly, – le sorrise Beau, amabilmente e gli occhioni celesti lo fissarono interdetti, prima che lei sbottasse in una risatina. – Oh, accidenti! Certo che sono Holly! Chi altri dovrei essere? -Sedettero e lei gli mostrò una porzione più che generosa di cosce inguainate di nylon. Beau ricambiò con una sigaretta e, mentre gliela accendeva, chiese, in tono casuale. – Com’è che non sei in ufficio, Holly? Niente lavoro, oggi? -Lei gli sbuffò in faccia il fumo azzurrognolo, con una piccola smorfia di disappunto. – Magari, tesoro! No, ho semplicemente un appuntamento fuori ufficio con un cliente. Debbo mostrargli una catapecchia d’affitto in Eldridge street. Lavoro in un’agenzia immobiliare, credevo che Morgan te ne avesse parlato. – – Infatti, – annuì Beau. – Mi spiace di averti disturbata, Holly. – – Sei pazzo per caso? – tubò lei. – Un bel ragazzo come te non mi disturba affatto. Anzi mi chiedevo come mai non vi fermate mai a cena, tu e Dolan. Ti andrebbe? Non cucino io, sai? Cucina Morgan ed è molto bravo. – – Non ne dubito, – borbottò lui, – anche se non ricordavo questa sua dote. -Beau era allarmato. Morgan e Dolan avevano descritto Holly come una ragazza che non si impicciava, ma Holly, a suo giudizio, era un’oca giuliva la cui principale preoccupazione era quella di accentuare col trucco, con gli abiti, con il modo di gestire e di parlare, la sua rassomiglianza con Marilyn Monroe. Possibile che Morgan e Dolan non l’avessero giudicata per quello che valeva? No, non era per niente tranquillo, ora che l’aveva conosciuta. Parlava a ruota libera e sarebbe stata sufficiente una mezza indiscrezione, raccolta da chi di dovere, per mandare all’aria i loro piani. E non era tranquillo neppure sul conto di Morgan. Si era imborghesito, porca miseria! Che dire di un rapinatore che, appena tornato a casa, mette la pistola in un cassetto, indossa il grembiule e si piazza di fronte ai fornelli?Morgan giunse un minuto dopo, con un cartone di birra e li osservò con una punta di preoccupazione, specie quando Holly insistette con la storia dell’invito a cena ma, dopo che lei fu uscita per recarsi al suo appuntamento, Beau seppe nascondere a Morgan le sue perplessità e, quando alle quattro arrivò anche Dolan con l’ultimo fascio di appunti sulla città di Madison, Beau informò i suoi soci che quella notte stessa avrebbero portato a termine la rapina dedicata al finanziamento della loro impresa. L’uomo si chiamava Buddy Spears, aveva cinquant’anni ed era conosciuto come uno dei più grossi commercianti in francobolli rari. In gioventù aveva subìto un incidente a seguito del quale aveva perso l’uso delle gambe. Lui usava precisare soltanto delle gambe e in realtà, anche se era costretto a spostarsi su una sedia a rotelle, aveva conservato intatta ogni altra facoltà. Di lui, oltre alle cose che sapevano tutti, Beau sapeva qualcosa di particolarissimo che gli aveva confidato Frank Scalia, ancora ai tempi di New York. Sapeva che era un uomo di Cosa Nostra e che investiva in francobolli rari i soldi di Cosa Nostra. Sapeva che teneva in casa, precisamente in un trumeau del settecento francese, importanti somme di denaro liquido. Sapeva che gli piacevano le donne e che spendeva per procurarsi la compagnia di attricette e ballerine. Buddy Spears abitava l’attico di un vecchio palazzotto di quattro piani, in Greenwich Village, al dieci di Mercer street e Beau sapeva anche come fare per raggiungere quell’attico senza passare dal portone principale. Alle ventitrè e trenta in punto, mentre Beau e Dolan facevano da palo, Morgan, sevendosi di un grimaldello, forzò la porta esterna che conduceva agli inceneritori del casamento attiguo a quello dove abitava Buddy Spears e scivolò silenziosamente all’interno. Un minuto dopo lo raggiunsero Beau e Nolan. Guidati da Beau percorsero un lungo corridoio, facendo lampeggiare ogni tanto le lampade tascabili, forzarono la serratura di un cancelletto ed uscirono nel cortile del palazzo di Shearer. Indossavano calzoni e maglie scure e le scarpe di gomma che calzavano non producevano il minimo rumore. Raggiungere l’attico servendosi delle antiquate scalette antincendio fu un gioco da ragazzi. Dolan si issò per primo sul cornicione, seguito dagli altri due. Cautamente sporsero le teste al di la del muretto: la porta finestra era socchiusa e dall’interno illuminato venivano delle voci, una delle quali femminile. – Il bastardo è in compagnia di una donna, – sussurrò Beau all’orecchio di Dolan. – Hai notato la finestra sulla sinistra? Entreremo da quella… -Scavalcarono il parapetto della terrazza uno alla volta. La finestra indicata da Beau era semiaperta e non ebbero alcuna difficoltà a sgattaiolare all’interno della stanza buia. Là si acquattarono silenziosi e immobili, in attesa che le voci provenienti dalla stanza attigua e la scarsa luce della luna li aiutassero ad orientarsi. La porta di comunicazione tra le due stanze era semplicemente accostata e le voci giungevano nitide. – Insomma bella mia, – stava dicendo una voce maschile, – sarà meglio che ti decida. Vuoi o non vuoi quella scrittura per Broadway? – – Sai benissimo che darei qualsiasi cosa per quella scrittura, – replicò una fresca voce femminile, – ma il punto è questo, Buddy: non mi fido di te neppure un poco e… e poi non mi va di fare quelle porcherie che pretendi da me… – – Non sei gentile, – osservò la voce maschile, sarcastica. – Potrei sforzarmi di esserlo, se fossi certa di avere quella scrittura, – continuò la voce femminile, una bella voce che Beau e gli altri seppero subito di avere già ascoltato pur senza riuscire a identificarne la proprietaria. Fu Buddy Spears, il proprietario della voce maschile, ad aiutarli. – Acoltami bene, Barbara, – disse Buddy e il suo tono era tutt’altro che amichevole, – non ti conviene affatto fare la ritrosa con me. Potrei rovinarti soltanto facendo una telefonata e tu lo sai, perciò sbrigati a toglierti di dosso quei quattro stracci e datti da fare! -I tre uomini nella stanza buia trasalirono all’unisono: l’interlocutrice di Buddy non poteva essere che Barbara Lindsay, una bella soubrette che era apparsa in un recente show televisivo trasmesso da un gran numero di stazioni. Buddy s’era messo in testa di farsela e, a quanto sembrava, aveva buone carte per riuscirci. Vi fu una pausa di silenzio, poi la voce di Barbara Lindsay osservò in tono risentito: – Sei un verme Buddy! Uno schifoso verme! – – Okay, – replicò Buddy, – come vuoi. Sono uno schifoso verme che ha intenzione di farsi succhiare l’uccello da te. -Ancora una pausa di silenzio, un lungo sospiro (quasi certamente di Barbara Lindsay), un fruscio di stoffa e infine la voce rauca di Buddy che brontolava un soddisfatto: – Finalmente! -Beau si accostò alla porta, avvicinando cautamente il volto allo spiraglio: Barbara Lindsay, interamente nuda tranne per i minuscoli slips di pizzo bianco, era intenta a sfilarsi proprio quest’ultimo indumento. Era una bruna dal volto bello e sensuale, e Buddy, un uomo tozzo dai capelli grigi, seduto su una sedia a rotelle, la divorava con gli occhi, mentre la bocca molle era contorta in un ghigno d’attesa. Buddy indossava una camicia aperta sul petto coperto di peli grigi e si era abbassato i calzoni fin sulle scarpe. Esibiva un pene corto e flaccido che la bella soubrette fissava senza entusiasmo. Eppure non esitò ad avvicinarsi a Buddy il quale, non appena lei fu a tiro, l’afferrò con le robuste braccia villose e cominciò a palparla avidamente per tutto il corpo. – Succhiami l’uccello, adesso! – bofonchiò alla fine.Beau trasse da una tasca dei pantaloni la sacramentale calza di nylon e la calzò in testa. Alle sue spalle Dolan e Morgan lo imitarono prontamente. Uno dietro l’altro scivolarono nella stanza e nè Buddy nè la ragazza, che adesso era inginocchiata a prendergli in bocca il pene flaccido, si accorsero immediatamente della loro presenza. Buddy sollevò la testa soltanto quando Dolan armò con uno scatto il cane della Smith & Wesson 38: incontrò prima la minacciosa bocca dell’arma e poi il mistero inquietante della faccia di Dolan stravolta e irriconoscibile sotto la calza di nylon. Gli occhietti cattivi di Buddy si spalancarono e dalla strozza gli uscì un grido inarticolato, mentre l’ignara Barbara continuava a succhiare ad occhi chiusi. La riscosse la brusca voce di Morgan. – Stop, piccola! Tirati su! -Dapprima Barbara credette che a darle l’ordine fosse stato Buddy, visto che non gli si rizzava l’uccello. Ubbidì prontamente, aprendo gli occhi a fissarlo interrogativa, poi, seguendo lo sguardo terrorizzato del paralitico, i suoi occhi incontrarono la pistola e il volto deformato di Dolan. Aprì la bocca per urlare ma alle sue spalle intervenne immediatamente Morgan, tappandogliela con una manona grande come una pala. Gli occhi sbarrati di Barbara fissarono la figura di un uomo alto che impugnava un coltello a serramanico che parlò in tono secco e determinato. – Amici, mi corre l’obbligo di avvertirvi che questa è una rapina. Siete anche avvertiti che al minimo cenno di resistenza faremo un buco nelle vostre teste. Questo è il primo ed unico avvertimento. – – Capito, bambola? – aggiunse Morgan, togliendo la mano dalla bocca di Barbara e dandole una palpatina esplorativa a un seno. – Ciò significa che non devi gridare nè lasciarti andare a scene isteriche o cose del genere. Del resto non ce l’abbiamo con te, anzi dovresti esserci grata: ti abbiamo salvata da un destino peggiore della morte no? Ora fa’ la brava e va a sederti su quella poltrona… -Rise e, mentre le indicava con la pistola la poltrona sulla quale avrebbe dovuto sedersi, le ammollò un amichevole sculaccione. Barbara fece un paio di passi in direzione della poltrona prima di voltarsi e chiedere a Morgan. – Posso vestirmi, per favore? – – Resta come sei, – rispose Morgan, sogghignando sotto la calza di nylon, – non hai niente di cui vergognarti. -Nella sua sedia a rotelle Buddy Spears aveva riacquistato un briciolo di calma. Osservò attentamente i tre rapinatori, cercando invano di distinguerne le fattezze dietro il velo delle calze di nylon. Se si trattava di una rapina da strapazzo poteva sempre cavarsela offrendo loro il portafogli che teneva nel cassetto della scrivania. Conteneva un paio di migliaia di dollari in biglietti da dieci e da cinquanta. Ma se si trattava di una rapina seria si sarebbe trovato nei guai. Aveva in casa trentacinquemila dollari in contanti e duecentomila dollari in francobolli rari e, proprio il giorno prima, aveva per l’ennesima volta rifiutato un guardiaspalle offertogli da quelli di Cosa Nostra. Se gli avessero portato via denaro e francobolli si sarebbe trovato in un pasticcio serio… – Dunque Buddy, – attaccò Beau accostandosi a Spears e appoggiando la punta del coltello al pomo d’adamo dell’uomo. – Sappiamo chi sei, cosa fai e per conto di chi lo fai. Quindi sappiamo esattamente quanto vali. Non è il caso che perdiamo tempo a maltrattare te e la tua amica perciò ti faccio una proposta: il contante che tieni nel trumeau contro la tranquillità e i tuoi francobolli. Se la proposta ti conviene, tra dieci minuti io ed i miei amici saremo fuori di qui e potrai riprendere il dialogo interrotto con miss Lindsay. Se invece tenterai di fare il furbo, faremo a pezzi il trumeau, bruceremo i francobolli e, dopo esserci divertiti con la tua deliziosa ospite, bruceremo anche la casa. Con te dentro, si capisce. Allora, che ne dici della mia proposta? -Grosse gocce di sudore erano apparse sulla fronte di Buddy Spears. Era una rapina seria e lui, di conseguenza, era nei guai. Guai grossi. Era tra l’incudine e il martello. Se avesse ceduto senza far resistenza quelli di Cosa Nostra avrebbero potuto pensare chissà quali cose sul suo conto. Se avesse fatto resistenza, questi tre lo avrebbero cucinato a dovere. Naturalmente non gli importava un accidenti di Barbara Lindsay, era a se stesso che pensava. La punta del coltello spinse appena contro il pomo d’adamo e ne sprizzò una piccola goccia di sangue. – Non è che tu abbia tutta la notte per pensarci sopra, – ammonì Beau. – I soldi sono nel portafogli, nel cassetto della scrivania… – borbottò Spears, spiccicando a stento le parole. Beau guardò Dolan. – Da’ un’occhiata. -Dolan, passando davanti alla poltrona sulla quale sedeva, composta ed a ginocchia unite, Barbara Lindsay, andò a piazzarsi di fronte alla scrivania e, dentro un cassetto, trovò un portafogli con dentro mille e settecento dollari in banconote di medio taglio. – L’amico vuol fare il furbo, – annunciò, intascando la somma. – Peggio per lui, – commentò Beau, asciutto. – Vuol dire che bruceremo i francobolli. Da’ un’occhiata a quel mobile, Dolan… -Raccolse dal pavimento le delicate mutandine di Barbara Lindsay e se ne servì per imbavagliare strettamente il paralitico. Dolan si mise a esaminare attentamente il trumeau e Morgan, libero da impegni, andò a sedersi sul braciolo della poltrona di Barbara Lindsay. – Ti ho vista in tv, sei in gamba, sai? – osservò in tono amichevole. – Vuoi che ti mostri come è fatto un cazzo autentico? Un cazzo perfettamente funzionante? – – Voi maschietti siete sempre ansiosi di mostrare come funzionate, vero? – replicò lei sarcastica e, in quell’istante, Dolan lanciò un grido. – Trovato capo! Non era neanche difficile… -Mostrò orgogliosamente la sua opera a Beau: il cassettino segreto era stato abilmente sistemato da un ingegnoso artigiano sul fianco del mobile ed occorreva pigiare su un piccolo punto in madreperla dell’intarsio per far scattare la molla che lo faceva uscire. Conteneva una piccola agenda in pelle e un grosso rotolo di banconote stretto da un elastico. Dolan contò coscienziosamente il denaro: trentacinquemila dollari, in tagli da mille e da cento. – Okay, – disse Beau, soddisfatto. – Meglio che tu rimetta il cassetto a posto, ora. – – Visto come siamo bravi? – chiese Morgan a Barbara Lindsay. – Niente disordine, dove lavoriamo noi. Rapidità, efficienza, guadagno immediato, abbondante ed esentasse. Vuoi venire con noi in Florida? Col tuo seno saresti uno schianto in toupet… – – Non badargli, – ghignò allegramente Dolan. – Vuol dire in topless. – – Be’, l’importante è che lei abbia capito che parlavo delle sue tette, – replicò Morgan. – Allora bambola, noi abbiamo fatto la nostra parte, adesso tocca a te far vedere quanto sei brava… -Si alzò dal bracciolo dove stava seduto e, sbottonatosi i calzoni, esibì orgogliosamente un membro grosso e rigido, dal glande paonazzo. – Devi ammettere che è molto meglio di quello di Buddy, piccola! – osservò compiaciuto, afferrando la ragazza per i capelli e costringendola ad avvicinare il volto al pene già fremente. Lei dovette considerare che, ad opporsi, non avrebbe ricavato nulla, perciò schiuse le belle labbra rosse e la grossa asta di Morgan penetrò nella sua bocca. – Vedi, cocca, a me piace che lo succhi e lo lecchi al tempo stesso. Credi di riuscirci? – le disse lui un tantino rauco.Lei non rispose. Era troppo occupata a succhiare e a leccare al tempo stesso. Lo faceva sempre quando si trovava un pene in bocca, soprattutto un pene gradito e quello di Morgan, nonostante le circostanze, non le dispiaceva per niente. Dolan li osservò per un momento, prima di avvicinarsi. – Ehi, amico, che ne diresti di dividere? – esclamò con occhi luccicanti. – Ti secca attendere il tuo turno? – replicò Morgan e, subito dopo, si volse ad osservare preoccupato Beau: per tradizione, ai loro tempi, gli era sempre spettato il primo assaggio ma, stavolta, Beau non appariva minimamente intenzionato e Morgan pensò che era rassicurante e democratico avere un capo che, o non si lasciava fuorviare dal sesso sul lavoro, oppure dava la precedenza ai gregari. Comunque fosse, dedicò tutta la sua attenzione alla ragazza che gli stava succhiando l’uccello e Cristo! Se ci sapeva fare! Ancora qualche attimo e le sarebbe venuto in bocca. A questo punto fu assalito dai dubbi: sarebbe stato bello poter dire che Barbara Lindsay gli aveva fatto un pompino, ma ancor più bello poter affermare, che dopo che lei gli aveva succhiato il cazzo per benino, l’aveva scopata come dio comanda! – Ehi, cocca, un momento! – ordinò rauco e gli costò fatica tirarsi via da quella bocca suggente. – Aspetta un momento, dico! -Lei non accennò alla minima opposizione quando le fece mutar di posto e, sotto gli occhi interessati di Dolan, la fece piegare col ventre sul bracciolo della poltrona. La soubrette aveva un culetto tondo e bianco, una favola, che faceva venire l’acquolina in bocca solo a guardarlo, inoltre la posizione si prestava a interventi plurimi e difatti, mentre Morgan la montava da tergo, Dolan fu lesto ad abbassare la lampo dei calzoni ed a spingere tra le labbra della ragazza il proprio pene, lungo e rigido.Strettamente imbavagliato dalle mutandine di Barbara, Buddy osservava la scena con raccapriccio e, insieme, con eccitazione. Con tutta probabilità quelli di Cosa Nostra non gliel’avrebbero perdonata ma intanto i suoi occhi restavano sbarrati sulla scena, fotografando i grandi colpi di Morgan che fotteva la ragazza da dietro e il lungo pene di Dolan che appariva e spariva tra le labbra di corallo di Barbara…Anche Beau osservava, ma con tutt’altro animo. Era freddo e indifferente, di fronte alla scena erotica. Stava calcolando tra se che il ricavato di quella rapina ammontava a più del doppio di quanto aveva giudicato necessario per l’organizzazione da mettere su a Madison e, inoltre, si godeva gelidamente la soddisfazione di aver fregato soldi di Cosa Nostra. Una piccola vendetta ma pur sempre una vendetta… – Tesoro, sei divina! – esclamò raucamente Dolan e lei, col suo uccello in bocca, mugolò qualcosa, sentendo che alle sue terga Morgan stava rapidamente giungendo all’orgasmo. Il fatto era che lei non si sentiva ancora pronta e, perdio! già che c’era, voleva anche lei prendersi la sua parte di piacere!Dolan le accarezzò i capelli soffici e, al contrario di lei, desiderò che Morgan si sbrigasse a godere, dal momento che non intendeva terminare la partita nella bocca di Barbara, Aveva idee particolari, lui e, quando Morgan venne infine con un rauco grido soffocato, inondando di sperma la vagina di Barbara, trascurò il mugolìo di protesta di lei e si sottrasse alla sua bocca. – Se hai finito, – disse a Morgan, – dovresti toglierti di li. -Comprensivo, Morgan si affrettò a seguire il suggerimento e, dopo un attimo di compiaciuta osservazione del proprio membro ancora rigido, lo infoderò nei calzoni e si fece da parte. Barbara restò piegata bocconi sul bracciolo della poltrona e si sentì defraudata. Sino a un momento prima aveva un pene in bocca ed uno nella vulva ed ora sembrava che, fatti i loro comodi, i maschietti non pensassero più minimamente a lei. Dolan le dimostrò che sbagliava. Piazzatosi dietro di lei non indugiò che un istante ad ammirare le bellezze del panorama, poi, con decisione, infilò il suo lungo pene nella vagina ben lubrificata. Barbara si lasciò sfuggire un lungo gemito di lussuriosa approvazione quando la lunga asta di carne s’infilò prepotente dentro di lei, ma lanciò un grido di preoccupato allarme quando giunse a sfiorarle la bocca dell’utero: non era mai stata penetrata così in profondità e temeva che con colpi violenti lui potesse arrivare a provocarle danni all’utero. Dolan, soddisfatto dell’accoglienza, restò beatamente immobile per qualche secondo, sinchè lei, impaziente, non lo spronò. – E chiavami! Maledizione! – mugolò infoiata. – Che aspetti? Chiavami, fottimi per bene! -Il richiamo non restò inascoltato: Dolan iniziò a muoversi ritmicamente entro di lei e intanto le accarezzava le natiche, la schiena, la vita sottile, le allisciava i seni dai capezzoli duri come pietra e andava mormorandole: – Eccolo, il cazzo! Goditelo, goditelo tutto, porca! Goditelo fino in fondo! – In quanto a lui, inspirato da altre personalissime intenzioni, fotteva con inaudita freddezza, senza lasciarsi trascinare dalla suggestione carnale, con morbidi e lunghi affondi che ben presto fecero perdere la testa alla ragazza. Udendone i gemiti e le oscene invocazioni, Buddy Spears provò per lei un misto di odio e di desiderio sconfinato…Infine Barbara venne tumultuosamente e urlò di piacere in modo tale che Beau ebbe un soprassalto di preoccupazione al pensiero che i vicini di casa, allarmati, chiamassero la polizia.Ma non era ancora finita: compiacente, Dolan andò avanti ancora per qualche affondo nella vagina di Barbara e soltanto quando fu chiaro che stava scopando una inerte bambola di carne si tirò fuori dal sito che occupava ed il suo lungo pene rigido e lustro d’umore, rialzata la mira, puntò sul rugoso forellino di carne al centro delle natiche di Barbara. – Ora è veramente nel suo, – sogghignò Morgan, rivolto a Beau. – Speriamo che non ci stia dentro un’eternità, – replicò quest’ultimo. Era un po’ sorpreso dal fatto che la scena cui assisteva non lo eccitasse minimamente, come sarebbe stato normale per chiunque e, soprattutto per lui che, un tempo non lontano, non aveva mai lasciato trascorrere più di due giorni di seguito senza scopare…In quanto a Barbara non si rese conto delle intenzioni di Dolan sino al momento in cui, con un colpo forte e preciso, non le penetrò il retto, allargandole l’ano dolorosamente, e penetrandola per un buon terzo della lunghezza del pene. Le sfuggì un urlo straziante di dolore che fece sobbalzare Beau, Morgan e lo stesso Dolan. Con un balzo fulmineo Morgan si precipitò a tapparle la bocca. – Accidentaccio, cocca, eravamo d’accordo che non avresti urlato! – – Tienile la bocca tappata, amico, e reggila perchè questa scalcia come una puledra alla sua prima monta. – suggerì Dolan, afferrandosi ai fianchi della ragazza per cercare di affondare il resto del lungo pene nell’ano di lei.Morgan trovò saggio il consiglio, ma aveva il suo bel da fare a trattenerla, perchè adesso Barbara Lindsay non aveva nessuna voglia di collaborare alla deflorazione del suo vergine culetto. La ragazza infatti lanciava urla soffocate nella mano di Morgan, si arcuava in scatti spasmodici, trafitta dal dolore dell’introduzione, scalciava all’indietro e si torceva, scomposta, cercando di sfuggire all’arpione che la trapassava da parte a parte, tanto le sembrava lungo.Morgan, eccitato nuovamente dal contatto con la ragazza che tentava di sfuggirgli, si sbottonò i calzoni e le appoggiò alle labbra l’uccello semirigido. Subito lei ne approfittò per protestare nei confronti di Dolan. – Lurido bastardo! Non ti bastava quello che hai avuto?… Cristo! mi sfondi!… Escilo ti prego! – – Via, via, – la rabbonì Dolan, minimizzando, mentre iniziava a muoversi nel suo intestino, – non dirmi che non l’hai mai preso nel culo… – – Certo che no,accidenti!… Cristo!… fai pianoo!… mi stai spaccando in due!… Aaaah!!!… – e poi non ebbe più modo di parlare perchè Morgan le introdusse in bocca il membro e lei, automaticamente, glielo succhiò. Subito, nella sua bocca, il pene di Morgan ingrossò e indurì al massimo, ripagandola dello sforzo e dopo qualche minuto lei scoperse che, passato il dolore iniziale, tutto sommato neppure la lunga verga di Dolan che le stava scavando il retto era spiacevole. Rimaneva soltanto un persistente senso di bruciore e di occlusione largamente superati, però, dal crescente piacere che cominciava a farla inumidire nuovamente.Il leggero ansare di Dolan alle terga e il mugolare sommesso di Morgan di fronte a lei rilevavano il fatto che due maschi contemporaneamente stavano godendo di lei e… oh, cazzo! e lei di loro! Non aveva mai voluto prenderlo in quel posto, per paura di sentire male e adesso si accorgeva meravigliata che le stava piacendo! Si sorprese a desiderare con forza un secondo orgasmo, mentre succhiava Morgan e Dolan la pompava nel didietro. – Che culo divino! – ansimò Dolan. – Cristo, se sai succhiare, cocca! – borbottò rauco Morgan, facendogli eco.Si sentì estremamente eccitata da quei consensi e la sua destra scese al pelo fra le cosce, frugò nell’umido intrico e il medio trovò il clitoride già ansioso di carezze e lo vellicò con tenera sapienza. Un attimo dopo, con la bocca piena del membro di Morgan e il retto completamente intasato dal lungo pene di Dolan, iniziò a mugolare il proprio piacere, eccitando maggiormente gli uomini. Il ritmo della carezza sul clitoride diventò affannoso e dal bottoncino di carne sprizzarono torrenti voluttuosi che le percorsero il corpo mentre Dolan farfugliava: – Vengo! Vengo!… Ti riempio il culo, puttana! -Sentì il pene irrigidirsi sino allo spasimo nel suo intestino e sussultare all’unisono con l’orgasmo che la travolgeva. La sua bocca abbandonò il pene di Morgan per gridare il proprio piacere.Leggermente annoiato, Beau attendeva che finissero. Abbassò gli occhi a controllare Buddy Spears e si accorse che, incredibilmente, il pene di Buddy si era ingrossato ed ora stava, tozzo e rigido, con la testa puntata al soffitto. Bene, dal momento che Dolan e Morgan avevano finito, lui sarebbe stato generoso. Fece un cenno a Dolan che, afferrata la situazione, sogghignò e, presa per un braccio Barbara ancora istupidita dal piacere, la trascinò accanto alla carrozzina a rotelle e la fece inginocchiare. – Succhia, tesoro, – le ordinò bonariamente. – Riprendi pure dal punto in cui vi abbiamo interrotti e… tante grazie ad entrambi! – A mezzogiorno Beau esaminò criticamente le tre eleganti valigie in pelle già chiuse sul letto della stanza al Bellevue ed accese una sigaretta. Avevano i biglietti d’aereo per Wichita, indossavano abiti di prezzo e sembravano esattamente ciò che lui voleva che sembrassero: tre uomini d’affari che si accingevano a partire per un viaggio d’affari. Un po’ impacciato, Morgan tirò una boccata dal costoso Avana che Beau lo aveva costretto ad acquistare e si bilanciò sui piedi, facendo scricchiolare le scarpe nuove. In quanto a Dolan, eletto all’unanimità cassiere della società, stava riponendo nel portafogli banconote e travellers cheques. Annotati gli importi su un libriccino, gettò un’occhiata all’orologio da polso. – Siamo in anticipo, – constatò. – Chiamo ugualmente un taxi? – – Hai prenotato l’albergo, a Madison? – chiese Beau, che si sentiva stranamente nervoso. Non avrebbe avuto ragione di esserlo. Tutto era filato liscio, possedevano un discreto capitale e stavano per intraprendere un’attività lucrosa. Pure, provava una sorta di fastidio che non riusciva a spiegarsi. – Già fatto, – rispose Dolan, col tono del segretario efficiente. – Ho scelto un motel poco fuori città, per i primi giorni, sinchè non ci saremo guardati intorno. -Beau annuì, approvando distrattamente. Poi guardò Morgan. – E tu? Sei pronto? – – Io? Si, certamente. Prontissimo. – – Nessun ripensamento? Mi riferisco alla tua Holly… – Morgan si dondolò goffamente sui piedi e le scarpe scricchiolarono. – Nessun ripensamento, diamine, – finì per dire, ma aveva gli occhi di un cane bastonato. Beau capì che il senso di nervosismo riguardava proprio Holly e la sua reazione, quando si fosse accorta che Morgan aveva levato le tende in maniera definitiva. – Dolan, dammi cinquemila dollari in contanti… – – Cinquemila? – chiese Dolan stupito. – In contanti? Posso chiedere perchè, capo? – – Una buona uscita per Holly, – borbottò Beau. – Sono certo che non farà storie ma… un po’ di denaro l’aiuterà a dimenticare Morgan. – – Ma… bada che non è il caso, – protestò Morgan. – Holly non ha bisogno di denaro… – – Tutti hanno bisogno di denaro, – tagliò corto Beau. – Passeremo da casa sua. Voglio parlarle, Morgan. Da solo. Qualcosa in contrario? – – Be’, no, si capisce, – bofonchiò Morgan. – Se lo ritieni utile… – – Vuol farsi un’idea della reazione di Holly, – spiegò Dolan. – E’ così Beau? Vuoi dirglielo e constatare come la prende? – – Più o meno. Non partirei tranquillo, altrimenti. Andiamo ragazzi. -Dabbasso Dolan saldò il conto del Bellevue e chiamò un taxi. L’aereo per Wichita decollava dal “Kennedy” alle quindici e trentasei. Avevano tutto il tempo per una tappa da Holly, a mezzogiorno, e per uno spuntino prima della partenza. Caricarono le valigie sul taxi e, mentre si allontanavano, Dolan si voltò a guardare il Bellevue. – Vecchia topaia, addio per sempre, – sogghignò. – Addio ai rubinetti gocciolanti, alle puttane, ai ladri e ai ruffiani. Addio alle docce che non funzionano, ai gabinetti puzzolenti! Credo che mi mancherai un poco, tuttavia… – – Soprattutto ti mancherà il sedere di Ginger, – scherzò Beau. – Gran bel culo, quello, – ammise Dolan con un sospiro. – Dovrò darmi da fare parecchio nel Kansas, prima di trovarne uno che possa rimpiazzarlo decentemente. Morgan, avevi mai scopato con Ginger? – – Un paio di volte, – ghignò Morgan, – ma non ho mai voltato pagina, tu sei un deviato sessuale, Dolan. – – Io sono un buongustaio, – replicò Dolan, col tono dell’incompreso.L’autista si arrestò davanti al casamento dove abitava Holly e Beau scese e disse all’autista di attenderlo. Quando pigiò sul bottone del campanello si sentiva più che mai deciso a parlar chiaro a quell’ochetta ridanciana. Soprattutto confidava sulla forza di persuasione dei cinquemila dollari. Forse lei si era attaccata a Morgan, ma cinquemila dollari potevano rappresentare un mucchio di cose, in sostituzione di Morgan.Udì ticchettare precipitosamente all’interno. – Un momento, arrivo! – gridò la voce di lei, affannata. E, immediatamente dopo, un – Ohi! – allarmato, seguito da un tonfo.Beau sperò che non si fosse rotta l’osso del collo, cadendo da quei tacchi inverosimili. – Oh, accidenti! – la udì lamentarsi. – Cavolo, Morgan! Perchè non hai preso le chiavi? – – Non sono Morgan, sono Beau, – l’avvertì accostandosi alla porta per farsi udire e lei replicò con un paio di lamentosi “Oh, accidenti!”.La udì trascinarsi alla porta e, quando questa si aperse, vide che sul suo bel volto di bambola era dipinta una smorfia di sofferenza reale. Gli aveva aperto stando in ginocchio. Si insinuò dentro, richiuse la porta e la sollevò, prendendola sotto le ascelle. – Oh, accidenti! – piagnucolò lei, – devo essermi slogata una caviglia, Beau! Oh, accidenti! -Aveva perso una scarpa e Beau la sollevò tra le braccia. L’abito leggero le si era rialzato sin sopra le cosce e lui provò un’ombra di turbamento mentre Holly gli appoggiava la testa bionda sul petto. – Oh, accidenti, Beau, dovevo proprio rompermi una gamba perchè tu mi prendessi in braccio, vero? – ridacchiò con una smorfietta. – Non ti sei rotta niente, Holly, – la rassicurò asciutto. – Magari una leggera storta. Ti fa male? – – Accidenti, se mi fa male! Portami sul letto, Beau, ti spiace? -La portò sul letto e lei si mise seduta sulla sponda e sollevò una gamba, prendendosi la caviglia tra le mani. Beau non vide traccia di gonfiore ma lei emise un gridolino allarmato, mentre si massaggiava la caviglia. – Oh, cavolo! Oh, accidenti! Mi fa un male cane, Beau! – – Dovrebbe passare, con un massaggio, – osservò lui, sforzandosi di assumere un tono gentile. In realtà era seccato. Uno stupido incidente provocato da quell’oca giuliva. Non aveva molto tempo e aveva un discorso serio da fare. E lei continuava a stringersi la caviglia come se l’avesse davvero fratturata. Poteva vederle, attraverso il velo dei collants, le mutandine traforate e l’ombra bionda del pube. Be’, almeno era bionda naturale. – C’è il “Balsamo di Tigre” nel cassetto di Morgan, – lo informò lei. – Lo usa ogni tanto. Vuoi guardare per favore? -Guardò. Il vasetto c’era, non avrebbe potuto esimersi dal massaggiarle la caviglia, ora. Ma non poteva spalmarle il balsamo sui collants. Glielo disse. Lei lo guardò con un’aria strana. Senza ombra di imbarazzo sollevò ulteriormente l’abito ad afferrare l’orlo dei collants. Li abbassò sino al ginocchio e poi ebbe un sussulto accompagnato da un gridolino di dolore. Forse esagerava, comunque Beau l’aiutò a sfilarseli del tutto. Dal giovane corpo di lei emanava un buon profumo di saponetta. – Credi che dovrei stendermi, Beau? – gli chiese, mentre lui osservava la caviglia. Annuì e lei si stese sul letto, l’abito ancora rialzato sino alle mutandine. Aveva proprio delle belle gambe, le più belle che ricordava di aver visto e una pelle setosa e candida. Meccanicamente le carezzò un polpaccio tornito. Lei sospirò. – Beau, il tocco delle tue mani mi fa un effetto strano, sai? Insomma, accidenti, non proprio strano, io, ecco… -Beau appoggiò una gamba sul letto e prese il vasetto. – Non c’è rossore, – la informò in tono gentile ma volutamente neutro. – E neppure gonfiore. E’ una cosa da niente, Holly – – Oh, accidenti, speriamo! – sospirò lei. Beau applicò l’unguento denso e giallastro, sulla caviglia e diede inizio ad un massaggio coscienzioso. – Sento che mi fa bene, sai? – mormorò lei. – Però, cavolo, quella pomata puzza! – – L’odore andrà via subito, – la rassicurò, continuando a massaggiarle la caviglia. – Ti fa ancora molto male? – – Non saprei, Beau. Sento che il massaggio mi fa bene, però. Ti secca che ti sei unto le mani? – Santo cielo, quant’era stupida! Una stupida oca che scivolava e si storceva una caviglia proprio nel momento meno adatto. E non stava zitta e lo seccava con le sue osservazioni idiote. Quando il balsamo fu bene assorbito dalla pelle smise di massaggiarla e lei sospirò. – Ho battuto anche il ginocchio, Beau… mi fa male, me ne accorgo adesso… No, non quello, l’altro… -Che cosa diavolo stava tentando di fare, ora? Lo voleva sedurre? In tal caso le avrebbe fatto cambiare immediatamente idea. Ma… non gli andava di essere aspro con lei. Non sarebbe stato producente. Prese ancora un po’ di balsamo e le massaggiò il ginocchio. Lei piegò la gamba e gli occhi di Beau, quasi suo malgrado, furono catturati dal triangolo delle mutandine traforate, rigonfio di pelo biondo che si immaginava soffice al tatto… – Oh, accidenti, come lo fai bene, Beau! – sospirò Holly, socchiudendo gli occhi cerulei.Quasi senza avvedersene la mano sinistra di lui si appoggiò su una coscia rotonda e soda mentre l’altra massaggiava il ginocchio. Holly sospirò ancora e chiuse gli occhi del tutto. Beau terminò il massaggio. Si sentiva turbato ma più cerebralmente che fisicamente. Decise di stringere i tempi e stava aprendo la bocca per dare la stura ad un breve, ma conciso, discorso quando Holly spalancò gli occhioni, atteggiò la bella bocca ad una smorfietta di broncio e si lamentò: – Oh, accidenti, Beau: io non ti piaccio neppure un poco, vero? – – Che discorsi, – borbottò lui, preso alla sprovvista. – Perchè dici così? – – Si tratta forse di Morgan? – s’informò lei, mutando espressione. – Non vuoi fare un torto a Morgan? – – Ecco, – disse Beau, prendendo la palla al balzo. – Si tratta proprio di Morgan: lui è… è partito, Holly. Mi incarica di salutarti. Anch’io e Dolan siamo in procinto di partire. E… tutti e tre abbiamo pensato di lasciarti un ricordino… -Si sentiva estremamente goffo mentre le porgeva il rotolo di banconote che aveva cavato di tasca. Lei restò a fissarlo con gli occhioni sgranati. Non capiva. Non accennò neppure a prendere le banconote. Infine si schiarì la voce e disse: – Che cosa vuoi dire, Beau? che Morgan non ha affatto dimenticato le chiavi di casa sul tavolo di cucina? Vuoi dire che… che le ha lasciate lì, deliberatamente? – – Si, Holly, – rispose Beau. – Morgan non aveva il coraggio di salutarti. Noi resteremo via molto tempo e… – – Ve ne andate? tutti e tre? E… e tutto finisce così? – – Abbiamo un lavoro, Holly, – spiegò Beau. – Un lavoro… uhm… poco adatto a una ragazza. Tieni, Holly, spendili… -Le porgeva le banconote ma lei non le guardò neppure. Guardava lui. I grandi occhi celesti si colmarono all’improvviso di lacrime, prima ancora che la bocca si atteggiasse al pianto. – Oh, accidenti! – esclamò Holly con la voce tremante. – Oh, accidenti! – – Holly, io… tu eri molto attaccata a Morgan? -Con suo stupore lei negò con la testa. Si sforzava di non scoppiare in singhiozzi e le lacrime continuavano a sgorgare dagli occhi celesti. – Mi dispiace, Holly… – – Oh, accidenti, lascia perdere, Beau. D’accordo, ho capito il messaggio. Ve ne andate. Ma… perchè non mi portate con voi, Beau? – – Hai un’idea del lavoro che andiamo a fare? – le chiese col tono paziente che si adopera con i bambini riottosi. – Non è lavoro per una donna, Holly. – – Ma potrei sempre stirarvi le camicie, – insistè, – tenervi la casa in ordine. Una donna serve a tante cose, no? -Lo guardava con occhi colmi di lacrime che continuavano a sgorgare, occhi imploranti che infastidivano Beau. Possibile che questa dannata ragazza non capisse? Perchè non prendeva i suoi cinquemila dollari e si metteva il cuore in pace? – Tu hai il tuo lavoro, a New York, – borbottò impacciato. – Un lavoro rispettabile, Holly… – – Oh, accidenti! Non farmi ridere! – sbottò. – Lo sai in cosa consiste il mio lavoro rispettabile? Nel farmi sbattere dal principale ogni volta che gliene viene voglia, accidenti! Per settanta dollari la settimana! Nell’aiutarlo ad abbindolare i gonzi in modo che comprino una catapecchia per il triplo del suo valore! Ecco in cosa consiste il mio lavoro rispettabile! E’ molto più pulito il lavoro di Morgan, di Dolan e tuo, secondo me! -Finalmente scoppiò in singhiozzi e Beau restò in piedi, impalato accanto al letto, con il rotolo delle banconote ancora in mano, sentendosi stupido come non mai. – Oh, accidenti, Beau! – singhiozzò disperatamente Holly. – Speravo proprio che tu ti interessassi di me, almeno un poco! Io… quando ti ho visto, la prima volta, me ne facesti venire una voglia tale che mi si ammollarono le ginocchia e… Oh, accidenti, a che serve, tanto? Vai pure, Beau. Tanti auguri a tutti e tre, E grazie per quel denaro, ma non lo voglio, caro. Non saprei cosa farmene, davvero… -Si girò bocconi sul letto, per non offrirgli l’immagine del suo volto da bambola devastato dalle lacrime e… gli offrì l’immagine di un culetto delizioso, uno dei più belli che avesse mai visto, e si che lui se ne intendeva. Gli venne voglia di dire “oh, accidenti”, come lei, mentre posava le banconote sul tavolino da notte. Anche perchè, per la prima volta da quando Frank Scalia lo aveva beccato a scopare la moglie, a Chicago, si accorgeva di provare un certo desiderio…Quasi senza sapere cosa faceva appoggiò il palmo della mano su quelle natiche deliziose, palpò, strinse e… gli parve che il desiderio si concretizzasse, confluendo nel pene. Infilò la mano tra le cosce compatte, carezzandone l’interno, passando due dita leggere sul cavallo delle mutandine e credette di avvertire un certo umidore, in loco, il che contribuì ad aumentare la sua eccitazione. Un attimo dopo era steso sul letto accanto a lei, giacca, cravatta, scarpe e il resto, e stava abbassando le mutandine di Holly. – Oh, accidenti! Tesoro! – sospirò lei felice e si voltò per stringerlo tra le braccia. Beau le trovò le labbra ch’erano bagnate di lacrime dal sapore amarognolo e salato e tuttavia morbide ed eccitanti. La frugò tra le cosce e Holly s’aperse tutta e s’inarcò, già bagnata e pronta ad essere presa. Le andò addosso, sistemandosi tra le belle gambe aperte e contemporaneamente abbassò la lampo dei calzoni. E il suo pene era là, naturalmente, ma molle più di un polipo pescato da tre giorni!Si accasciò sulla ragazza che non capiva e, frenetica, attendeva che lui la penetrasse. Poi, Holly s’accorse che qualcosa non andava: lui le gravava addosso a peso morto e la ragazza, scostandosi, vide l’espressione del suo volto… – Tesoro, ma… che succede? – – Succede che non gliela faccio, ecco cosa succede! – le rispose con voce soffocata ed avrebbe voluto sprofondare, cancellarsi. Il grande Beau, per la prima volta in vita sua, non gliela faceva! Ma… era poi la prima volta? Ne era sicuro? – Ma… Beau! Non fare così, ti prego! – esclamò Holly, istintivamente trovando il tono giusto. – Certamente sei stanco, hai lavorato troppo in questi ultimi tempi! Hai soltanto le batterie scariche, capisci? E poi, accidenti, tutto questo non mi impedirà di prendermi il mio piacere, sai? -Prima che lui potesse replicare s’era sfilata l’abito dalla testa. Non portava reggipetto e davanti gli occhi di Beau si pararono due splendidi globi di carne, alti e fermi, dai rigidi capezzoli appuntiti. Gli si mise a cavalcioni e, afferrato il pene molle, prese ad accarezzarsi col glande lungo la rosea fenditura vaginale. I grandi occhioni blu, concentrati alla ricerca del piacere, si smarrirono quasi subito e lei, con un sospiro roco, abbassò il torso a regalare una splendida mammella alla bocca del maschio. Per un non dimenticato riflesso Beau prese a suggerne il capezzolo e Holly lo incitò rauca: – Così, amore! Oh, accidenti! Così!! Fammi godere caro! -E il telefono trillò acutamente, sul tavolino da notte, frustrandoli entrambi, proprio nel momento in cui Beau pensava di aver recuperato una pallida scintilla di desiderio, al massaggio voluttuoso. – Oh, accidenti e merda! – imprecò Holly, furibonda. – Lascialo suonare e chiunque sia può andarsene al diavolo! -Ma il maledetto telefono continuò a trillare, instancabilmente e ossessionante e Beau credette di immaginare chi poteva essere: dabbasso, Morgan e Dolan stavano certamente chiedendosi se qualcosa non fosse andata storta, fra Holly e lui.Allungò la mano a prendere il ricevitore. Era Dolan. – Qualcosa non va, capo? – – Va tutto okay, – rispose Beau. – Scendiamo subito. – – Scendiamo?! – si stupì Dolan. – Scendiamo? Hai detto scendiamo?!? – esclamò Holly, tra il riso e il pianto. – Oh, Beau! Accidenti!!! –
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