Ci eravamo conosciuti in chat; in una delle tante chat erotiche che Internet mette a disposizione di chi ha parecchio tempo libero oppure di chi cerca, protetto e pungolato dall’anonimato, anime gemelle cui confidare i mai confessati desideri o appagare i propri sogni mai appagati.Avevamo chattato a lungo, scherzando e confidandoci i nostri sogni; i nostri desideri più segreti. Quella donna mi aveva veramente colpito: pur mantenendo tutte le riserve mentali possibili, sulle verità che si raccontano in simili circostanze, avevo intuito che era giovane, almeno, molto più giovane di me. In base ai suoi ragionamenti; alle cose che mi raccontava di se, mi convinsi che era ancora distante dai quarant’anni. Se quello che raccontava di sé, era vero soltanto a metà, quella donna era meglio di un fiammifero svedese: si accendeva al minimo tocco; per non parlare poi dei suoi gusti, dei suoi sogni: per uno come me, era come un sei all’Enalotto ritardatario di molte settimane. Dopo qualche tempo di chiacchiere e confessioni, decidemmo di incontrarci; di avere un primo incontro per fare la semplice, reciproca conoscenza. A tavola si dimostrò una buona forchetta: dava piacere nel vederla mangiare. Ad un tratto mi domandai dove mettesse tutto il cibo che ingurgitava: se io avessi mangiato quanto lei, in breve sarei diventato una vera botte; lei, invece, probabilmente per la vita molto attiva che conduceva, o forse soprattutto per i suoi gusti erotici molto particolari, riusciva a mantenersi sul tipo che normalmente viene definito una “falsa magra”.Parlammo a lungo, raccontandoci tutto quello che ancora non ci eravamo detti tramite computer. Era stata una piacevole sorpresa: non molto alta, ma ben proporzionata e con due tette ed un sedere da sballo. I lineamenti regolari, i capelli lunghi e lisci retti da un frontino di corno, le davano un’aria da adolescente che la facevano sembrare molto più giovane di quanto in realtà non fosse. Soltanto quando i camerieri, con il loro andirivieni, ci fecero capire che era giunta l’ora di togliere le tende, ci accorgemmo che eravamo rimasti gli ultimi avventori del locale. Parlando di noi, dei nostri sogni, non ci eravamo accorti del passare del tempo.L’accompagnai fino al portone di casa salutandola con un casto bacio su una guancia: ci saremmo rivisti il prossimo fine settimana con l’impegno, da parte mia, che avrei fatto del mio meglio per farle vivere il suo sogno nel cassetto. Alle cinque in punto, entrai nella hall del lussuoso albergo in cui, già da qualche ora, lei aveva affittato una stanza.Mi avvicinai al banco della ricezione: immediatamente, mi si presentò di fronte un personaggio d’altri tempi, vestito come un generale dell’esercito prussiano, sfolgorante di bottoni, alamari e cordoni, tutti rigorosamente dorati. Con un certo riverenziale timore gli chiesi se poteva gentilmente avvisare la signorina Eva Bimbani che il suo medico la stava aspettando nella hall.- C’è qualche problema? – domandò il generale mostrando una sincera preoccupazione – se occorre, faccio immediatamente intervenire il medico dell’albergo. — La ringrazio ma non occorre. – risposi abbassando la voce in modo da fargli capire che gli stavo rivelando un segreto – La signorina è la classica ipocondriaca, inoltre, come tutte le giovani ereditiere, anche piuttosto viziata; sa, il tipo che se starnutisce una volta, magari per un poco di polvere, mette subito tutti in allarme sostenendo che è affetta da polmonite doppia. Quando mi chiama, ed avviene molto più spesso di quanto lei possa immaginare, mi creda, – aggiunsi sospirando – io riempio la mia borsa di prodotti placebo; gliene somministro qualcuno e tutto si risolve nel migliore dei modi. Quella ragazza ha una salute di ferro. – conclusi mentre l’uomo si dava da fare con il telefono interno.Bene; il portiere ha bevuto in pieno la storiella, riflettei mentre mi sedevo sul comodo divano di fronte alle scale. Ora sono relativamente libero di andare e venire a mio piacimento. Aveva rispettato i miei ordini alla lettera: gonna a scacchi ampia e corta sul ginocchio; camicetta bianca ampiamente sbottonata sul collo; scarpe da ginnastica con calzini a gambaletto ed i lunghi capelli castani legati a coda di cavallo: sembrava effettivamente una spigliata liceale anziché una seria trentacinquenne. Molti degli uomini presenti la guardarono ammirati.Mi salutò dopo aver fatto un cenno di ringraziamento al portiere. Gli occhi le brillavano dalla gioia. La feci accomodare accanto a me prendendole il polso con la mano destra mentre alzavo ostentatamente la sinistra per guardare l’orologio.La recita era cominciata: il suo sogno nel cassetto cominciava a prendere vita. Continuo a dire “il suo sogno”, ma se tutto si fosse svolto come avevamo programmato, quella sera avrei realizzato anche il “mio” sogno nel cassetto.Scossi la testa e, a beneficio del portiere che ci stava guardando un po’ preoccupato perché, con il mio modo di fare, stavo attirando l’attenzione degli altri clienti, le poggiai una mano sulla fronte nel classico modo in cui, empiricamente, si cerca di capire se c’è un’alterazione della temperatura corporea. – Stia tranquilla, – recitai a voce piuttosto alta a beneficio dei presenti – lei non ha un filo di febbre. Probabilmente la stanchezza che si sente addosso è quella del viaggio. Una buona dormita e tutto si risolverà: mi creda.- Non è possibile! Me la misuri con il termometro e non con la mano, e vedrà se ho ragione io. -Aveva parlato a voce talmente alta, che il portiere impallidì: nessun cliente aveva mai osato alzare la voce in quella hall. Mi fissava con gli occhi imploranti finché non mi decisi a tranquillizzarlo.Con un sospiro mi alzai, presi la mia borsa ben gonfia e con un cenno gli feci capire che avrei accompagnato la signorina in camera.Si precipitò ad aprirci le porte dell’ascensore. Mentre gli passavo accanto mi sussurrò che avevo libero accesso alle camere, anche se era una cosa vietata dal regolamento dell’albergo, purché non visitassi mai più la signorina nella Hall.Lo ringraziai, suggerendo che sarebbe stato opportuno che anche il resto del personale di portineria fosse messo al corrente di questa concessione: la signorina chiamava più spesso di notte che di giorno. Mentre chiudevo la porta della stanza, dopo aver posto sulla maniglia esterna l’avviso di non disturbare, con fare molto professionale, invitai Eva a dirmi esattamente quali erano i sintomi per cui la dovevo curare.- D’accordo, – assentì dopo aver udito una sfilza interminabile di malanni che andava dall’appendicite in procinto di degenerare in peritonite ad una tremenda forma di occlusione intestinale – vai in bagno, se devi andare, poi vieni qui che ti prendo la temperatura. -Si girò su se stessa facendo svolazzare il bordo del gonnellino: per un attimo mi regalò la visione di un magnifico paio di cosce. Avevo visto giusto: era proprio una gran bella falsa magra. Non chiuse la porta del bagno, e capii, dai rumori, che aveva veramente bisogno di svuotarsi la vescica.Intanto, io, accomodato sul bordo del letto, avevo preso dalla borsa le poche cose che mi sarebbero servite per quella prima parte di serata: il resto poteva restare dentro, in attesa del nostro ritorno dalla cena.Appena uscita dal bagno, notai subito il cambio di atteggiamento che era avvenuto in lei: non più la bella donna acconciata come una ragazzina, bensì una vera, splendida giovinetta, timida ed impacciata, con il capo chino, lo sguardo abbassato, le braccia stese lungo i fianchi e ed i piccoli pugni che si serravano con evidente nervosismo.- Sei pronta per farti misurare la temperatura? – le chiesi con lo stesso tono che si usa per non impressionare i bambini.Alzò gli occhi per rispondermi con un semplice gesto di assenso del capo; guardò la mia borsa aperta ed i pochi oggetti che ne avevo tratto poggiandoli sul comodino; li scrutò a lungo, uno ad uno, diventando sempre più rossa in volto: la bottiglietta della vaselina liquida; una scatoletta di polistirolo; il lungo termometro a bulbo che stavo scaricando con rapidi colpi di polso.Allungando una mano verso di lei, le feci cenno di avvicinarsi piegando un paio di volte le dita.- Vieni, Eva, su, fai la brava. -Con piccoli passi, incerti ed esitanti, si avvicinò quel tanto che mi permise di prenderla per mano. – Su, sdraiati sulle mie ginocchia. – la invitai mentre immergevo il termometro nella bottiglietta della vaselina. Si accostò alla mia gamba destra, sollevò il gonnellino sul davanti e si distese di traverso sulle mie cosce, restando con le braccia poggiate sul letto e le gambe penzoloni. Sentii distintamente che stava tremando: proprio una piccola bambina impaurita.- Vedrai che non ci sarà niente di cui aver paura; – le dissi per tranquillizzarla; ormai stavo entrando anch’io sempre più a fondo, nella parte dell’anziano medico di famiglia. – Adesso vediamo se è vero che hai la febbre o no. Comunque, sono certo che non è niente di grave, – proseguì sollevandole il gonnellino sui fianchi. La sola vista di quel maestoso culo appena velato da un impalpabile slip di seta, bastò ad eccitarmi come un ragazzino in calore. Fui fortemente tentato di mandare a gambe all’aria tutta la sceneggiata che avevamo concordato: io non sono un medico; non sono abituato a queste situazioni. Mi venne spontaneo chiedermi come facessero i dottori a non saltare addosso a tutte le belle donne che dovevano visitare: io non ci sarei mai riuscito.Invece, resistei: le avevo promesso che avrei realizzato, nel migliore dei modi, il suo sogno nel cassetto, e quello avrei fatto.- Adesso ti metterò un po’ di vaselina nel sederino, in modo che non sentirai niente quando ti infilerò il termometro; d’accordo? – Annuì con la testa accomodandosi ancor meglio sul letto; allungando un braccio afferrò un cuscino e vi immerse, sorridendo, la faccia. Afferrai il bordo dello slip e lo abbassai mettendo finalmente a nudo quel delizioso culetto: con le dita di una mano le allargai le natiche scoprendo il grazioso forellino marrone e, reggendo il termometro in modo che non scivolasse, vi versai sopra alcune gocce di lubrificante.Al semplice contatto con il liquido, lei serrò le natiche. – No, non devi fare così; non sei più una bambina piccola che non sa controllare il suo corpo. Sei cresciuta: sei una signorina. Lo sai che quello che sto facendo è per il tuo bene. Tieni le natiche morbide. – E per sottolineare la serietà dell’ordine, le mollai un paio di sculaccioni, non forti, ma abbastanza pesanti da farle capire che ero disposto a punirla molto severamente se non si fosse comportata come si conviene.Emise, nel guanciale, una specie di guaito; dimenò un poco le anche per sistemarsi meglio, e rilassò la muscolatura consentendomi di allargarle nuovamente le natiche. Descrissi, per filo e per segno, tutto quello che le stavo facendo spiegandone il perché. Le dissi che l’avrei lubrificata bene all’esterno, mentre con il dito bagnato di vaselina le massaggiavo il buchetto. Sospirò quando la vidi ben rilassata e spinsi fino a farle entrare soltanto la prima falange. La cosa le era molto gradita: dimenava lentamente le anche, stringendo e rilasciando ritmicamente i muscoli dell’anello rettale. Lasciai perdere, anche perché sapevo bene che non dovevo attendere a lungo per divertirmi con quel bellissimo culo.- Ora ti metto il termometro e dovrai tenerlo per cinque minuti: chiaro?– Va bene. – rispose: erano le prime parole che pronunciava dal momento che avevamo iniziato la nostra recita.Lentamente le infilai il termometro: era lungo poco più di veti centimetri, e lo spinsi fin quasi in fondo lasciandone fuori appena quel tanto che mi consentisse di poterlo afferrare per toglierlo agevolmente. Cinque minuti sono un’eternità se si ha in braccio una bella donna a sedere scoperto. Cominciai a sfiorare e carezzare delicatamente quelle bellissime natiche, finché, sbadatamente, urtai il termometro. Un lungo gemito di piacere giunse alle mie orecchie, attutito dalla lana del cuscino. Sapevo che era questo ciò che voleva, ma non credevo bastasse un semplice, sottile termometro. Afferrandolo tra indice e medio, cominciai a sfregare le dita tra loro con il risultato che lo strumento cominciò a ruotare vorticosamente da destra a sinistra e viceversa nell’ano mai sazio.La vidi rilassarsi sempre di più, finché cominciò a sollevare le anche venendo incontro alla mia mano. Era giunto il momento di passare alla fase successiva.Sfilai il termometro e finsi di guardarlo piuttosto accigliato.- Allora? Avevo ragione io? Ho la febbre? – non aveva minimamente accennato ad alzarsi; era rimasta lì, con il sedere scoperto, adagiata sulle mie ginocchia, mentre con l’anca premeva e strusciava il mio membro, imprigionato nei pantaloni, rigido come un bastone.- Sì, devo riconoscere che hai qualche linea di febbre, ma, dai sintomi che mi hai descritto, ti posso rassicurare: domattina ti sveglierai fresca e riposata, pronta a partire per il tuo bel viaggio. — Ma non mi dà nessuna cura? — Certo che ti do una cura; anzi; starò con te tutta la serata e ti curerò finché febbre, mal di pancia e tutti gli altri malanni che mi hai descritto prima non saranno scomparsi del tutto. Adesso, intanto, ti do qualcosa per farti abbassare subito la temperatura, così potremo andare a cena. Non è il caso che ti faccia la visita completa che occorre finché hai qualche linea di febbre. -Aprì la scatoletta di polistirolo in modo che Eva ne potesse vedere il contenuto, e ne trassi tre grosse supposte di glicerina. Un sospiro ed leggero brivido mi fece capire che lei non aspettava altro.- Eva, sto per infilarti queste supposte che ti faranno stare subito meglio. Voglio che tu apra bene il sederino con le tue mani, in modo che io possa farlo senza farti sentire alcun male. — Uh, uh! – grugnì lei scuotendo negativamente la testa, senza sollevarla da guanciale.- Ubbidisci! – le ordinai mollandole atri quattro sonori sculaccioni sul sedere. Sculacciarla era una cosa magnifica. Riceveva i colpi lasciando costantemente rilassata la muscolatura in modo che la mano affondasse in quei globi morbidi e carnosi. Lanciò tre o quattro piccoli strilli, poi, con atteggiamento rassegnato, si afferrò le natiche separandole rendendo ben accessibile il buchetto parzialmente dilatato.- Oh, brava, così va bene. Sei una brava ragazza, perché devi sempre farti trattare come una bambina capricciosa? – una semplice alzata di spalle fu l’unica risposta che ricevetti.Poggiai la prima supposta al punto giusto e spinsi: soltanto un lieve sussulto, e fu di nuovo pronta per ricevere la seconda. La infilai dentro e spinsi a fondo, fin quasi a far entrare tutto il dito. La sua respirazione era più rapida che in precedenza: le sue dita tiravano le natiche come se volesse squarciarsi da sola. La terza supposta la infilai spingendola con due dita contemporaneamente: adesso non stava più ferma ed immobile, ansimava e gemeva alzando il bacino contro la mia mano. La porcellina stava già godendo: e non eravamo che all’aperitivo.Lasciai le dita inserite ancora per qualche istante, poi le tolsi, ricevendo immediatamente, uno scontento brontolio di risposta.- Ecco fatto. Ora non dovrai far altro che trattenerle per almeno un paio d’ore e vedrai che la febbre scomparirà d’incanto; poi penseremo a curare gli altri sintomi. – Si era sollevata sui gomiti e mi guardava con occhi furbi poggiando la testa sul palmo di una mano. – Pensi di farcela a trattenere la cura per due ore? -Il prosieguo della serata dipendeva, in buona parte, dalla sua risposta: i nostri accordi erano abbastanza definiti sulle linee generali, i particolari, invece, li avevamo lasciati, di comune accordo, alla nostra capacità di improvvisazione in base alle situazioni del momento: conoscevamo sufficientemente bene i nostri reciproci gusti e eravamo stati assolutamente d’accordo nel definirli perfettamente complementari.- Non lo so, dottore, ma credo proprio di no. Mi ha dato una cura molto potente: già sento che sta facendo effetto. Se non mi aiuta in qualche modo, sicuramente non ce la farò a trattenerla per due ore. – Era la risposta migliore che mi potessi aspettare. Da adesso in poi, saremmo andati avanti lisci, senza intoppi, per un bel pezzo. – Non ti preoccupare – le risposi con fare molto paterno – per caso, nella mia borsa, c’è proprio quello che ci occorre per aiutarti a non avere problemi mentre andiamo a mangiare. -Mi alzai facendola scendere dalle mie gambe e le ordinai di inginocchiarsi sul letto, piegata in avanti fino a poggiare nuovamente la testa sul cuscino. Dalla borsa prelevai un cono di silicone trasparente, a forma di oliva, non eccessivamente grosso, la cui parte terminale, dopo la strozzatura, si allargava a disco in modo da impedirne la completa immissione nel retto. Lo lubrificai abbondantemente, e lo posai sul comodino, dopo di che mi portai alle spalle della ragazza.La vista era meravigliosa: le natiche, espanse dalla posizione, formavano quasi un cerchio perfetto diviso a metà da un solco, al centro del quale un forellino bruno pulsava ritmicamente. Poco al disotto, le due labbra carnose della vagina, sembravano due apostrofi accoppiate, lucide, bagnate dagli umori che già incominciavano a sgorgare per l’eccitazione.- Eva, ora voglio che cominci a prendere fiato profondamente: puoi tranquillamente lamentarti, se senti che vado troppo in fretta. Abbiamo tutto il tempo necessario. Quello che non vogliamo, è che ti capiti qualche brutto incidente durante la cena: vero? -Assentì con il capo emettendo gli ormai soliti guaiti di piacere, mentre, come in precedenza, arretrava, spingendo incontro al dito che l’aveva penetrata per una buona lubrificazione.Ripetei più volte, con molta soddisfazione per entrambi, l’operazione della lubrificazione, finché non mi accorsi che era talmente rilassata, che potevo entrare ed uscire tranquillamente con due dita contemporaneamente.Con la testa affondata nel guanciale, la vidi fremere quando sentì che le stavo appoggiando la punta del cono al centro dell’ano. Lentamente cominciai a spingere. Suoi sospiri, più di piacere che di fastidio, accompagnavano la lenta introduzione man mano che cresceva il diametro della dilatazione: un brivido e mi fermai.- Vuoi riposarti un attimo? Vuoi che mi fermi? -Per tutta risposta spinse, ancora una volta, il suo bacino contro la mia mano: si stava sodomizzando da sola. Affascinato guardai le rughe dello sfintere stendersi e dilatarsi man mano che aumentava il diametro del cono, finché, con una spinta improvvisa, ed un gemito di autentico piacere, superò il punto più largo, ed il suo ano si richiuse velocemente sul collo del dildo fino a stringerlo come con un cappio.Si sollevò in ginocchio: il respiro era lievemente affannato, ma l’espressione del volto tradiva una profonda soddisfazione.Si concentrò un attimo per valutare bene le sue sensazioni, poi scese dal letto.- Adesso sì che sto più tranquilla. Allora, dottore, dove andiamo a mangiare? Ho una fame da lupo. -In un baleno, inginocchiatomi accanto a lei, le rimisi a posto le mutandine che erano rimaste arrotolate a mezza gamba, non perdendo l’occasione di accarezzare ancora una volta, quelle bellissime natiche ed il bel ciuffetto di peli che le ammantavano l’inguine. Decidemmo di servirci del ristorante dell’albergo: per quella prima esperienza non volevamo correre rischi allontanandoci troppo dal sicuro rifugio della camera.Il portiere ci vide passare e, molto cortesemente, s’informò sulla salute della cliente. Lo tranquillizzai, mentre Eva si lasciò andare scherzando sulle capacità di noi medici: secondo noi, lei non aveva mai niente di preoccupante, salvo poi dover riconoscere, come in quella occasione, che aveva veramente una febbre da cavallo.Con una strizzatina d’occhio reciproca, consacrai la mia complicità con il portiere mentre lo pregavo di prenotarci un tavolo in ristorante. La cena andò alla grande: per me, i migliori piatti del menù; per lei, tutti piatti liquidi o quasi. Si lamentò parecchio delle mie scelte, ma le feci perfidamente notare che, con una febbre da cavallo come la sua, non era il caso di rischiare di peggiorare la situazione: crema di funghi per antipasto; pastina in brodo con olio a crudo; formaggio di ricotta ai ferri accompagnato da due piatti di verdura lessa condita con molto olio; frutta cotta con abbondante sciroppo ed infine una tazza di cioccolato caldo.Già mentre ci servivano i secondi, lei incominciò a dare visibilmente segni di sofferenza: le supposte stavano facendo il loro effetto, egregiamente coadiuvate dalla dieta liquida, blandamente lassativa, che le avevo fatto servire. Inoltre, il tappo che aveva conficcato nell’ano, anche se di morbida gomma, non doveva certo essere il massimo del piacere dovendo stare compostamente seduta a tavola.Provavo un sottile, perverso piacere nel vederla contorcersi sulla sedia cercando di non farsi notare dagli altri avventori: si muoveva con affettata noncuranza, volendo dare ad intendere che i suoi movimenti erano dovuti all’interesse che l’arredo della sala le suscitava. Ad un tratto, seguendo lo spostamento dei suoi occhi, capì che stavamo guardando lo stesso oggetto: una enorme bottiglia da collezione, in vetro finemente lavorato, dalla forma perfettamente sferica e con il collo stretto e molto lungo. L’associazione d’idee fu immediata.- Eva, – la chiamai a bassa voce – quanto pensi che contenga la grossa bottiglia che stai ammirando?- Almeno cinque litri – mi rispose ansimando leggermente.- Immagini, se potessimo averla a disposizione, che magnifici clisteri ti ci potrei fare? – le sussurrai avvicinandomi al suo orecchio.Non rispose, ma i suoi occhi si allargarono ed i movimenti sulla sedia divennero più frequenti ed evidentemente mirati, finché, diventando improvvisamente rossa come un papavero, non si rese conto di quello che stava facendo. Mentre riprendevo a mangiare, sorridendo mi soffermai ad immaginare i muscoli del suo ano che stringevano convulsamente il collo dell’oggetto che le stava saldamente piantato dentro.Aveva cominciato a sudare e compresi che avevo tirato abbastanza la corda: nonostante le precauzioni prese, era consigliabile tornare al più presto in camera. La sua notevole resistenza doveva essere giunta al limite. Appena ebbi richiuso, alle nostre spalle, la porta della stanza, si diresse come un fulmine verso il bagno.- Alt! Dove credi di andare? — Ti prego, ne ho veramente bisogno. – Stava, praticamente, piegata in due, con le braccia strette sulla pancia; la voce lamentosa con cui continuava ad implorarmi di lasciarla andare in bagno erano nettare per il mio gusto sadico.Guardai l’orologio: mancavano ancora più di dieci minuti alle due ore che avevamo programmato. Mi sedei nuovamente sul bordo del letto e la invitai ad accomodarsi accanto a me. – Allora, la mia bambina ha ancora male al pancino? – le chiesi coccolandola tra le mie braccia.- Altro che, dottore, anzi, mi sembra che vada peggio di prima. La cura che mi ha dato mica ha funzionato tanto bene! — Ma quella era per la febbre, mica per il mal di pancia. Appena passate le due ore, vedremo se la febbre è scomparsa, poi, ti curerò anche il mal di pancia. Contenta? – Mi abbracciò, e cominciò a strofinarmisi addosso facendo le fusa: una vera gatta in calore. Aveva accavallato una gamba sulle mie, ed il suo pube si muoveva strusciando sulla mia coscia. No! Così non poteva continuare: avevo la mia dignità di medico da difendere; infatti, cominciai a slacciarle i bottoni della camicetta. Come avevo intuito, non indossava reggiseno: improvvisamente mi ritrovai con le mani che stringevano ed impastavamo quei deliziosi, morbidi, meloni: almeno una terza abbondante. Afferrai con le dita i capezzoli già duri e li strinsi tirandoli finché non emise un lungo sospiro di piacere mentre muoveva il bacino sempre più in fretta. Lasciai, un po’ a malincuore, un capezzolo, portando la mano ad accarezzarle la schiena procurandole brividi di piacere. Scesi in basso, sollevai il corto gonnellino e le carezzai lievemente le natiche fino ad incontrare il fallo artificiale che ancora le invadeva il sedere. Lo toccai, lo spinsi e si lamentò inarcando indietro la schiena e premendo la vagina, con tutte le sue forze, sulla mia coscia: era pronta per l’atto successivo.- Le due ore sono scadute. – dichiarai deponendola delicatamente sul letto. Sei pronta per farti prendere di nuovo la temperatura? — Ma, – balbettò con una punta d’incertezza nella voce – non mi fai andare in bagno? Dottore, ne ho veramente bisogno. — No; prima dobbiamo verificare se la cura ha fatto effetto o se devi tenerla ancora un altro po’. Adesso, quindi, finisci di spogliarti, poi vai di là e mi aspetti in ginocchio nella vasca da bagno. Senza fare altro, – la avvisai – altrimenti te ne pentirai molto amaramente. -Si alzò dal letto guardandomi con un’espressione imbronciata ed offesa. Senza dire una parola, slacciò il bottone della gonna; aprì la chiusura lampo, e lasciò scivolare lentamente l’indumento a terra. Voltandomi le spalle, afferrò il bordo dello slip e, chinandosi in avanti se lo fece scivolare lungo le gambe fino a depositarlo sul pavimento. Scavalcò gli indumenti, e senza degnarmi di uno sguardo s’indirizzò verso il bagno: il dischetto di lattice che le divaricava dolcemente le natiche si muoveva ad ogni passo in modo osceno ed altamente erotico. Giunta sulla porta, si voltò e, sorridendo nuovamente, mi disse che ero il dottore più cattivo che avesse mai conosciuto.La lasciai giocare; d’altronde, questa era la realizzazione del “suo” sogno nel cassetto. Poco dopo la raggiunsi con il termometro in mano; la trovai esattamente come le avevo ordinato: in ginocchio nella grande vasca da bagno, piegata in avanti con la testa sorretta da un avambraccio poggiato sul fondo; con l’altra mano si teneva, per evitare che uscisse anzitempo, il tappo che le avevo messo nel sedere prima di cena. .- Sei proprio in dottore molto cattivo, – disse appena mi sentì entrare – ti piace veder soffrire la tua bambina, vero? – – Non immagini quanto, – le risposi continuando nel gioco – come non immagini neanche quanto mi piacerà se, adesso che ti tolgo l’aiuto che mi hai chiesto di metterti, ti farai uscire qualsiasi cosa, fosse anche soltanto aria. -Le natiche che si strinsero fortemente mi fecero capire che il messaggio era stato recepito. Ripresi quindi ad operare come avevamo cominciato qualche ora prima: le tolsi il tappo, godendo del fremito che la pervase tutta mentre tiravo, molto lentamente, per far uscire la parte più grossa.Strinse l’ano al punto che dovetti faticare non poco per far entrare anche solo il piccolo bulbo del termometro. – Adesso sì che ci siamo. Tutto bene. Hai visto? La febbre è completamente scomparsa. Ora non hai più niente di che lamentarti. – le dissi dopo aver fatto in modo che anche lei leggesse la sua normalissima temperatura corporea.- Questo che significa, – mi domandò con un’intonazione di voce veramente allarmata – che non mi curerai più il mal di pancia? — Assolutamente no, – la tranquillizzai subito – quella è tutta un’altra cosa. Ora abbiamo curato la febbre: da adesso in poi, cureremo i tuoi dolori di pancia e tutti gli altri malanni di cui mi hai parlato prima. Va bene? Intanto che io preparo tutto l’occorrente, tu puoi anche andare a fare quello che desideri da un bel pezzo., -Non se lo fece ripetere due volte: stringendo con una mano le natiche, scavalcò il bordo della vasca e si sedette precipitosamente sulla tazza, dando immediatamente libero sfogo alle sue improrogabili necessità. Anche se aveva mostrato di non avere alcun pudore, in quella prima occasione la lasciai sola. Il sorriso che mi lanciò mi fece comprendere che aveva apprezzato quella piccola attenzione.Dalla borsa trassi un grosso telo di plastica fine, e lo stesi coprendo completamente il letto: non dovevamo correre il rischio di rovinare la biancheria dell’albergo. Rientrò, dopo neanche dieci minuti, allegra e cinguettante come un uccellino.- Allora? Adesso cosa facciamo? La visita per tutti i miei problemi al pancino? — Ma insomma, – le risposi scherzando – chi è il medico? Tu od io? Lo sai bene che la visita deve comprendere l’ispezione di un punto molto particolare; quindi, per evitare qualsiasi problema ed imbarazzo da parte tua, ora ti somministrerò un lungo clistere, in modo che quella parte molto particolare, sia ben pulita e pronta per essere visitata. — Oh no! Il clistere no! Non lo voglio! Proprio non lo sopporto. Se mi parli ancora di clisteri, mi vesto e me ne vado. – La guardai allibito: il clistere era uno dei punti centrali del suo “sogno nel cassetto”. Si era quasi arrabbiata quando ne avevamo discusso la grandezza. Lei insisteva per almeno cinque litri: “mi piace sentirmi piena da scoppiare”, ripeteva in continuazione. Io ero propenso a fargliene quanti ne voleva, ma al massimo da tre litri ciascuno. Alla fine trovammo l’accordo sulla via di mezzo: sicuramente più d’uno, “ma non meno di quattro litri” concluse lei; “non più di quattro litri”, ribattei io chiudendo definitivamente l’accordo. E adesso? Cos’era quella storia che non li sopportava?La guardai nuovamente: birba di una ragazza. Gli occhi le brillavano dalla contentezza: me l’aveva fatta. C’ero cascato come un allocco.Aveva introdotto una variante: le andai appresso; sicuramente il divertimento non sarebbe mancato.- Sai bene che è indispensabile, ora fai la brava e stenditi sul letto. Se non fai storie in poco tempo avremo finito. – Mostrai di avere molta pazienza, lasciandola imbronciata davanti al letto, mentre mi recavo nel bagno per riempire d’acqua calda le due sacche, da due litri ciascuna, che servivano a praticarle il clistere della dimensione che voleva lei: che poi questo fosse anche l’unico, era tutto da vedere: io adori fare i clisteri.- Io mi stendo sul letto, – mi gridò dietro dalla stanza – ma il clistere non me lo lascerò fare, neanche se mi prendi a cinghiate. -Ah, era qui che voleva arrivare, riflettei dentro di me, si vede che ha gradito le sculacciate fuori programma che le ho impartito prima. Ha trovato di che divertirsi. Le borse erano ormai piene di una soluzione abbastanza calda in cui, tanto per vivacizzare le cose, avevo abbondato nelle dosi di sapone liquido neutro e glicerina: i crampi erano assicurati; forti e quasi immediati. Scommisi con me stesso, rientrando, che sarebbe scappata in bagno, ben prima della fine: altro che cinque litri. Era stata di parola: distesa pancia sotto sul letto, con il capo poggiato sulle braccia incrociate. Mi guardava con aria di sfida.- Inutile che prepari, tanto io il clistere non me lo faccio fare neanche se mi ammazzi. — Eh, come la buttiamo sul tragico: nessuno vuole ammazzarti né tanto meno farti una cosa che non vuoi – dissi mentre terminavo di attaccare le sacche piene, alle ante socchiuse dell’armadio e ne collegavo uno dei tubi alla cannula a due bulbi gonfiabili che avevo acquistato apposta per lei, – vedrai che tra poco sarai tu stessa a chiedermi di farti uno e forse anche due clisteri. — Mai. – fu la sua laconica risposta, ma le sue labbra si erano aperte ad un radioso sorriso di soddisfazione nel vedermi togliere la solida cinta di cuoio dai pantaloni.In principio ci andai cauto; di questo non avevamo parlato, e non conoscevo né le sue reazioni, né la sua eventuale resistenza.Le assestai quattro colpi di assaggio, non forti, ma, insomma, una traccia, seppur debole, la lasciarono; poi le chiesi cosa ne pensasse del clistere. La sua risposta mi convinse che ero sulla strada giusta: disse che il solo pensiero le faceva ribrezzo. Ripresi a colpirla con maggior vigore; ora i segni restavano ben visibili ad ogni colpo. Che masochista straordinaria: ogni volta che la cinta si abbatteva, sempre più violenta sui suoi glutei, inarcava la schiena, grugniva a denti stretti per non svegliare tutto l’albergo, si ributtava giù, ansante sul letto, eppure continuava a dire che il clistere non me lo avrebbe mai chiesto. Al ventesimo colpo, cominciai a pensare seriamente a come uscire da quella situazione: ormai era diventata una pericolosa sfida tra me e lei. Aveva il culo completamente in fiamme e già cominciavo a vedere dei preoccupanti piccoli segni rosso scuro, indice della rottura di qualche capillare. Non potevo e non volevo continuare così ancora per molto. Mi accostai al letto e, afferrandola per i piedi, le divaricai al massimo le gambe.Avevo visto giusto ancora una volta: erano talmente tanti gli umori che aveva emesso dalla vagina che, sul telo di plastica, si era formata una microscopica pozza di liquido vischioso. Arrotolai sulla mano destra la cinta per un paio di volte, in modo che ne restasse libera soltanto una cinquantina di centimetri; poi, delicatamente, infilai la mano sinistra tra le sue cosce fino ad arrivare alla vagina. Un brivido incontrollato la percorse quando arrivai a titillarle delicatamente il clitoride con la punta dell’unghia. Fu allora che ripresi a colpire; ritmicamente, alternando i massaggi al clitoride a colpi sempre più ravvicinati. Fu questione di pochi, pochissimi attimi: un grido, che immediatamente smorzò spingendo la testa sul letto, e fu travolta da un lungo orgasmo che non le dava respiro. – Sì, sì, ancora, ancora! Picchiami, fammi male, più male, maledetto te, non ti fermare. Faticai non poco per comprendere queste brevi frasi interrotte ed inframmezzate da singulti, grida strozzate e tremolanti sospiri di soddisfazione. Si accasciò sul letto, distrutta ma completamente soddisfatta dal piacere che ero riuscito a scatenarle. Soltanto quando sentì il suo respiro farsi meno affannoso, le chiesi nuovamente cosa ne pensasse del clistere. – Perché non aggiungi un’altra sacca, magari non proprio piena come le altre? – mi guardava di sotto in su, con due occhioni languidi che avrebbero sciolto i ghiacci del polo. – Su dottore, sia buono, mi faccia contenta. – Un carattere veramente impossibile: si stava rimangiando gli accordi. Non c’era verso: tutto doveva essere fatto a modo suo.- E va bene, – dissi fingendomi d’accordo – ne aggiungerò un’altra, piena a metà, sia ben chiaro, soltanto se me lo chiederai nuovamente quando avrai terminato di sorbirti tutta la soluzione che ti ho preparato e l’avrai trattenuta per dieci minuti. D’accordo? – – Altro che – fu la sua risposta immediata. Era sicura di farcela. Io, però, nutrivo forti dubbi: una soluzione calda, molto saponata e con in più una generosa dose di glicerina, non lascia scampo a nessuno.Le infilai agevolmente la cannula e la prima vescica gonfiabile; la seconda pendeva a pochi millimetri dalle crespature dell’ano. – Mi avevi parlato di cannule enormi – disse con un’evidente punta di scherno nella voce – tutta qui la tua terribile attrezzatura per clisteri? -Non valeva neanche la pena di risponderle; mi bastò premere velocemente quattro o cinque volte le due pompette, per gonfiare a sufficienza le vesciche incorporate nella cannula: il moto di sorpresa che ebbe, la portò a sollevare i gomiti dal letto.- Ahi, fa male! Cosa mi hai fatto? Mi sento già piena, ma in modo strano, diverso dagli altri clisteri. — Per forza, il clistere deve ancora cominciare, per ora ho semplicemente gonfiato i due palloncini, quello che ti ho infilato dentro e l’altro che è rimasto fuori. Un altro paio di gonfiate ed avrai il culo talmente sigillato che non potrai far uscire neanche una goccia di soluzione, finché non lo vorrò io; ovvero, finché non mi pregherai nei dovuti modi di permetterti di evacuare. Chiaro? — Certo, ma se ti aspetti che lo farò prima che tu abbia aggiunto l’altra sacca come mi hai promesso, stai fresco! — Vedremo… -, fu la mia laconica risposta.Aprii la valvola, circa per metà, ed il liquido cominciò a scorrere lentamente nel suo intestino. Lentamente; molto lentamente.Mi spostai di poco dal letto per ammirare la scena nella sua interezza: una visione meravigliosa.Eva era distesa sul letto, appena poggiata di fianco, con una gamba leggermente piegata verso il bacino. Le braccia, incrociate, sorreggevano la testa sul cui volto era impresso un sorriso di felice soddisfazione. Tutto, nel suo atteggiamento, confermava quanto mi aveva confidato sui suoi gusti: era palpabile il piacere con cui stava ricevendo quella prima, lenta inondazione dei suoi intestini. Ogni tanto il suo corpo era scosso da un brivido, immancabilmente seguito da un sospiro di appagamento.La prima sacca di due litri si era svuotata e lei non aveva dato ancora il minimo cenno di cedimento, anzi, proprio mentre stavo collegando alla cannula che aveva saldamente piantata nel sedere, il tubo di scarico del secondo contenitore, mi chiese perché non avessi intanto preparato la terza sacca che le avevo promesso. – Non essere tanto frettolosa – le risposi aprendo completamente, questa volta, il rubinetto – io non mi rimangio le promesse, prima devi dimostrarmi di riuscire a reggere questo. -Adesso il liquido scorreva più velocemente ed i risultati non tardarono a farsi vedere: la sacca non si era svuotata neanche per metà che lei cominciò a gemere soffrendo per i crampi che stavano insorgendo.Si vedeva che la sua esperienza con i lunghi clisteri era notevole: ogni volta che gli spasmi, sempre più ravvicinati, le attanagliavano l’intestino, Eva inspirava a fondo riempiendosi i polmoni d’aria e lasciandola poi uscire molto lentamente.Sapone e glicerina stavano svolgendo più che egregiamente il loro lavoro. Lanciai uno sguardo alla sacca: era vuota per circa tre quarti, ma per lei, ricevere l’ultimo mezzo litro fu un vero tormento. Non riusciva più a restare distesa tranquillamente sul letto: si muoveva, spesso con gesti inconsulti, cercando di alleviare il dolore al ventre che, dalle smorfie che si dipingevano sul suo volto, era sicuramente molto forte. Anche il suo respiro non era più ritmico e profondo come poco prima; adesso respirava con discontinuità, cominciando, finalmente ad emettere dei gemiti non più soltanto di piacere.Sì, sono un vero sadico ed a riprova di ciò, scelsi proprio il momento in cui emise un lamento più forte per chiederle se volesse ancora che le preparassi la terza sacca. – Non lo so – mi rispose boccheggiando – non ho mai avuto crampi così dolorosi, neanche dopo clisteri più grossi di cinque litri. Credo che non ce la farò a ricevere altro liquido. Non vedo l’ora di potermi svuotare. — Signorina, ti ricordo che la cura prevede che tu trattenga questo clistere per almeno dieci minuti, e ti assicuro che lo tratterai, con le buone o con le cattive. -La sacca si era finalmente svuotata; scollegai la cannula dal tubo e la feci distendere più comodamente sul letto: il suo corpo era scosso da continui tremori. Mi sedetti accanto a lei, l’abbracciai e iniziai a massaggiarle la pancia visibilmente gonfia, alleviandole per quanto possibile le sofferenze che stava patendo: in fin dei conti, tutto quello che le avevo fatto e dovevo ancora farle in quella nottata, era per il suo piacere; per realizzare il suo sogno nel cassetto.Il mio massaggio dovette produrre un benefico effetto, infatti mi si accoccolò in braccio facendo le fusa come una gatta in calore. Una vera masochista: le si leggeva negli occhi il piacere con cui accoglieva ogni stilettata di dolore dovuta ai crampi ricorrenti. – Mi spieghi cosa ci hai messo in questo clistere? Non ne ho mai ricevuto nessuno così pestifero. — Niente di speciale, – le risposi ampliando la zona del benefico massaggio al suo pube riccioluto, – soltanto una buona dose di sapone neutro ed un bel po’ di glicerina liquida. -La mia mano ormai aveva quasi del tutto abbandonato il suo ventre gonfio per concentrare i movimenti sulla zona tra l’attaccatura delle cosce.- Hai deciso di farmi morire? – mi chiese divaricando le gambe in un esplicito invito a continuare il mio massaggio in una parte molto più intima.- Mai più, – le risposi allargandole, con le dita, le grandi labbra in modo da rendere più accessibile il suo clitoride – voglio soltanto renderti più piacevole l’attesa del momento in cui ti consentirò di svuotarti. -L’attesa, in effetti, risultò essere molto piacevole. Bastarono pochi sfregamenti per farle raggiungere il secondo orgasmo della serata. Un orgasmo non esplosivo, come il precedente, ma calmo, che la giovane assaporò fino in fondo accoccolandosi tra le mie braccia, mugolando e sospirando finché, un forte crampo traditore, mise fine a quella scena idilliaca richiamando ambedue alla prosaica realtà. L’appagamento appena raggiunto la fece ritornare immediatamente alla realtà.- Oddio, presto, fammi andare in bagno, non resisto più. — Ma come, – la presi in giro – non volevi fartene fare un altro? -Non si degnò neanche di rispondermi: schizzò in piedi precipitandosi verso la stanza da bagno; la cannula Bardex, ancora ben gonfia, saldamente inserita nel retto, spiccava tra le morbide rotondità delle natiche, mentre la pompetta le oscillava oscenamente tra le sue cosce al ritmo dei suoi frettolosi passi.Sul momento pensai di non dirle niente: ero proprio curioso di vedere come avrebbe fatto a svuotarsi con in culo sigillato in quel modo; poi però, il mio buon cuore prese il sopravvento, la raggiunsi e la liberai dall’impaccio proprio mentre stava fremendo per sedersi sulla tazza. In fin dei conti eravamo lì per darci piacere, per realizzare il suo sogno nel cassetto.La lasciai sola e mi ritirai nella stanza per predisporre il necessario al proseguimento della nottata. Rientrò, dopo neanche un quarto d’ora, fresca e riposata come una rosa. Anche se lo avrebbe meritato, evitai di stuzzicarla sul famoso altro mezzo clistere che pretendeva all’inizio: avevamo ben altre cose da fare. – Allora, – le chiesi tanto per riannodare le fila del discorso interrotto poco prima – sei guarita, ora che è scomparsa la febbre, o denunci ancora quei sintomi che mi dicevi prima? — Ma che guarita – mi disse guardandomi con gli occhi accigliati ed una voce da bambina petulante – anche se non ho più la febbre, mi sento peggio di prima, sono ridotta uno straccio. Mi fa ancora male qui, e qui, ed anche qui. – si lamentò indicando pancia, pube ed un punto imprecisato del sedere che io compresi sottintendesse il delizioso buchetto, giacché erano proprio questi i punti malati per cui voleva essere “visitata” nel suo sogno nel cassetto.- Adesso che non ho più la febbre, mi puoi fare una visita completa, no? — Certo che posso fartela: anzi, cominciamo subito. -Mi sorrise riprendendo immediatamente l’atteggiamento da ingenua collegiale. Fu lei stessa ad indicarmi, inconsciamente, lo schema che avrebbe dovuto seguire “la visita”; si stese, infatti, supina sul letto con il sedere che quasi sporgeva dal bordo: la prima visita specialistica cui voleva essere sottoposta era quella del ginecologo.Accostai due poltroncine al fondo del letto, ai lati delle sue gambe; facendole poggiare i piedi sui ripiani, Eva sembrava proprio adagiata sulla poltrona ginecologica: con le cosce completamente allargate, mi mostrava quell’unica parte della sua intimità che non avevo avuto ancora modo di ammirare.Si accorse del mio sguardo e, timidamente, portò le mani sull’inguine: per quanto impudica, provava ancora quel certo senso di riserbo che la rendeva incantevole.- Cos’è, – la stuzzicai – ti vergogni con il tuo medico? — Di solito non mi vergogno, me lei, dottore, mi stava guardando in un certo modo che .. — Mica penserai che a noi medici non faccia alcun effetto guardare quello che stavi mostrandomi: fortunatamente a me quelle parti anatomiche piacciono ancora da morire. -Un altro sorriso assassino fece da sfondo alle sue mani che abbandonavano l’inguine e si intrecciavano comodamente sotto la testa in placida attesa della visita che stavo per cominciare.Mentre, a beneficio della scena, calzavo un paio di finissimi guanti ostetrici, le spiegai, per sommi capi, le modalità della visita cui intendevo sottoporla. Nei nostri accordi, questa era una delle poche parti che aveva lasciato completamente alla mia iniziativa. La cosa importante, per lei, era l’imbarazzo di doversi mostrare in quel modo, nuda, a cosce completamente spalancate, ed essere sottoposta a maneggi i più imbarazzanti, fastidiosi e, sospettavo, dolorosi possibili.Conoscendo bene il suo gusto per l’estremo, mi ero ben documentato ed attrezzato: la signorina sarebbe stata più che soddisfatta.Con un paio di fasce le bloccai le ginocchia alle spalliere delle poltroncine: anche se avesse voluto, e non credevo che lo volesse, in quel modo non avrebbe più potuto serrare le cosce. Per ulteriore sicurezza, legai anche i suoi polsi in modo da mantenerglieli incrociati e bloccati sotto la testa. Presi lo sgabello e mi accomodai comodamente tra le due sedie, tra le sue cosce spalancate: il sesso di Eva, rosso e già umido di umori, era all’altezza delle mie spalle, pronto a sottostare a tutto quello che gli avrei fatto.- Mi farai molto male? – chiese con un’intonazione che non seppi decifrare: un misto tra timore e provocazione.- Se tu farai la brava, vedrai che otterrai esattamente quello per cui siamo venuti qui. – le risposi in modo altrettanto sibillino. Appena le toccai le grandi labbra, Eva fu scossa da un brivido seguito da un sospiro di soddisfazione: il suo sogno nel cassetto prendeva sempre più forma. Mi bastò alzare lo sguardo per notare che i suoi capezzoli si erano induriti svettando eretti sulle morbide colline delle sue tette.Aprì la borsa, e cominciai a preparare tutto quello che mi sarebbe servito per realizzare la parte finale del suo “sogno nel cassetto”. Sollevando la testa, Eva seguiva con gli occhi ogni mio movimento; non disse niente quando mi vide predisporre i diversi oggetti particolari che continuavano ad uscire dalla mia borsa, ma il suo respiro si faceva sempre più affannoso. Interpretai quella reazione come un sintomo del suo eccitamento, e, stando a quanto accadde nel prosieguo della serata, ci colsi in pieno.- Dunque, Eva, – le dissi rientrando nella parte del medico di fiducia – se non ricordo male, prima di cena mi hai detto che avverti spesso, in questi ultimi giorni, un piccolo bruciore quando orini, vero? — Altro che piccolo bruciore, mi sembra che la mia cosina vada a fuoco: brucia tanto che a volte mi trattengo dal farla. Anzi, adesso che ci penso, qualche volta sento un certo bruciore anche quando faccio l’altra cosa. — D’accordo, – acconsentì per farla contenta – ti brucia parecchio, da tutte e due le parti. Ora cercheremo di capire cosa c’è che non va. Se tu stai calma e rilassata faremo presto e non sentirai altro che un poco di fastidio. — O. K. – fu la sua semplice e laconica risposta – questa volta farò la brava. -Avrei scommesso un patrimonio che intendeva tutto il contrario di quello che aveva detto, ma non feci commenti. Presi lo specolo più piccolo e lo lubrificai con la vaselina liquida.- Allora, vediamo se riusciamo a capire cosa è successo in queste tue piccole tane del piacere; cos’è che ti fa bruciare tanto. -Presi lo specolo più piccolo, tanto per cominciare, e lo inserì, allargandolo al massimo, senza incorrere nelle rimostranze che mi aspettavo. Accesi la piccola lampada tascabile ed osservai attentamente l’interno della sua vagina. Non l’avevo mai vista in quel modo. i becchi dello specolo tenevano l’orifizio ben aperto: sul fondo, notai una grossa protuberanza che intuì doveva essere il collo dell’utero. Lo stuzzicai infilando un dito nella bocca dello specolo. La reazione di Eva fu immediata: inarcò il bacino spingendo contro la mia mano.- Francamente non mi sembra che ci sia niente di stano, qui. Da quel che vedo e che sento, – annunciai continuando a stuzzicarle il collo dell’utero – direi che qui sta tutto a posto. — Non credi che potresti esserne più sicuro se usassi uno specolo più grande? — Sì, certo, e lo farò subito – dissi cominciando a richiudere i becchi di quello che aveva dentro – ma non penso che il risultato cambierà: credo che dovrò sottoporti a parecchi accertamenti prima di scoprire cos’è che ti procura quel bruciore. -Il sorriso assassino che mi lanciò sollevando la testa, risvegliò in un attimo tutti i miei peggiori istinti sadici: voleva divertirsi? Non chiedevo di meglio che accontentarla.Questa volta toccò allo specolo più grande, allargare notevolmente il prezioso orifizio. – Oh! – si lamentò appena cominciai ad allargarlo – ma che stai usando? Un palo? -Non le risposi; ero impegnato a guardare dentro di lei in modo molto più comodo della volta precedente. Adesso la dilatazione era notevole. Vedevo distintamente il collo dell’utero muoversi ad ogni sua contrazione: sembrava il prepuzio di un cazzo che la stesse scopando dall’interno verso l’esterno. Mi venne da sorridere nel pensare che quando l’avrei scopata, il mio cazzo avrebbe urtato e combattuto contro quell’altro cazzo che le scendeva da dentro la pancia: era un pensiero veramente eccitante. – In effetti, mi sembra che le pareti siano lievemente arrossate – riferii continuando a solleticare molto più comodamente l’utero. – Ma non credo che sia qui, quello che ti provoca tanto bruciore. Per scartare questa ipotesi o averne la conferma, adesso ti dovrò fare qualcosa che ti darà un po’ di fastidio, ma tu sei una brava ragazza e sopporterai tutto senza capricci: vero? — Non lo so – mi rispose con la sua intrigante intonazione da bambina – quando tu dici che quello che mi farai mi darà “fastidio”, so bene che vuol dire che mi farai parecchio male. Non lo so se riuscirò a fare la brava. — Mettiamola così, – le dissi lubrificando un altro specolo di media grandezza – più farai la brava e meno “fastidio” proverai. Va bene? — Uh, uh. -Le allargai le natiche proprio all’altezza del forellino posteriore e posizionai il becco dello specolo pronto a violarla anche da quella parte.- Adesso la mia bambina mi farà un grosso colpo di tosse, d’accordo? -Sapeva cosa stava accadendole: un grosso colpo di tosse e lo specolo scomparve nel suo delizioso culetto. Un ringhio di dolore completò l’introduzione. Lasciai che riprendesse fiato un attimo, che si abituasse allo scomodo intruso, poi, lentamente, cominciai a girare la ghiera che faceva aprire i due becchi.Ben presto i segni di sofferenza si fecero più evidenti: i due strumenti che aveva piantati nel suo corpo, dovevano procurarle una notevole sofferenza schiacciando il delicato velo di carne che divide l’ano dalla vagina.Non lo avevamo mai concordato esplicitamente, ma era sottinteso che spettasse a lei dare lo stop ad ogni azione dolorosa, e questo mi preoccupava non poco. Lo specolo che le avevo piantato nel culo era orami dilatato quasi al massimo, e lei non mostrava ancora alcun cenno di cedimento: i suoi lamenti erano abbastanza forti, ma non ancora a livello di guardia per la quiete ed il buon riposo degli altri ospiti dell’albergo. In quella circostanza decisi di fare a modo mio: presi due piccoli vibratori e li inserì profondamente nelle bocche spalancate degli specoli. L’effetto fu immediato. Eva cominciò a contorcersi ed a smuovere il bacino nel vano tentativo di imprigionare dentro di se i due nuovi ospiti. Fu a quel punto che cominciai a richiudere e sfilare i due specoli lasciandola alle prese con l’orgasmo che le stava montando dentro. Legata mani e piedi, non poteva fare molto per accelerare il momento del piacere, così, infrangendo ogni regola deontologica, incollai la mia bocca sul suo clitoride finché non urlò tutto il piacere che ero riuscito a darle.Per me, a quel punto, il suo “sogno nel cassetto” era più che realizzato. Aveva avuto tutto quello che mi aveva chiesto nei nostri lunghi colloqui. Mi alzai per ammirarla: era veramente spossata; splendida nella sua nudità, a cosce spalancate, le braccia incrociate dietro la testa, gli occhi chiusi per trattenere ancora il ricordo del piacere appena provato. Allungai una mano per sciogliere le fasce che le tenevano le cosce allargate.- E’ già finita la visita? – mi chiese con una voce che mi ricordò il miagolio di una gatta mentre faceva le fusa – E’ proprio sicuro, dottore? Speravo che fosse qualcosa di meglio. Io non credo che lei abbia già capito cos’è che mi da tanto bruciore. -Per un attimo restai senza parole, guardandola allibito: l’avevo battuta come un tappeto, l’avevo gonfiata come un otre con i clisteri, le avevo allargato culo e fica fino a farla gridare, le avevo procurato almeno quattro o cinque orgasmi, stava stesa sul letto senza più un briciolo di energia ed ancora non le bastava. Va bene, mi dissi, vuoi il gioco veramente duro? L’avrai.- No tesorino, la visita non è ancora finita: manca ancora la parte più, diciamo fastidiosa. Ora dovrai fare veramente la brava, senza lamentarti e soprattutto senza gridare. D’accordo? — Mamma mia, dottore, mi sta mettendo paura. – mi rispose con un sorriso che scaldava l’anima – Per dirmi così, vuol dire che ora mi farà veramente male. Vero? — Un poco sì, ma tu continuerai a fare la brava bambina, vero? — Certo, dottore, dovrò stare buona per forza, altrimenti, lo so che lei mi darebbe ancora un sacco di schiaffi, magari sulle tette, dove fa più male. -A quel punto, non seppi se gioire o arrabbiarmi sul serio. Non era possibile: io le preannunciavo che l’avrei sottoposta a qualcosa di veramente doloroso, e lei, per tutta risposta, mi preannunciava che avrebbe fatto in modo da meritarsi una dolorosissima battuta sui seni. Scossi la testa arrendendomi: come al solito l’ultima parola doveva essere la sua; in fin dei conti, riflettei, il “sogno nel cassetto” era il suo, ed era giusto che se lo gestisse come voleva.In un attimo ripresi la mia migliore veste professionale; presi una piccola siringa sterile, del tipo da insulina, senza ago e la riempì di vaselina liquida.Lei, sollevando come di solito la testa, guardava incuriosita quello che stavo facendo. Con una certa soddisfazione mi resi conto che questa volta non aveva la minima idea di cosa stesse per capitarle: meglio così, sicuramente l’ignorare le mie intenzioni l’avrebbe trattenuta dallo scatenarsi in capricci prematuri.Mi accomodai nuovamente tra le sue belle cosce, allargai le grandi labbra fino a mettere bene in evidenza la piccola apertura del canale ureterale. – Adesso stai ferma, se non vuoi che ti faccia veramente male – le dissi mentre accostavo il piccolo tubo di uscita della siringa al foro dell’uretra. -Non disse niente, finalmente impegnata a trattenere il fiato mentre infilavo il tubicino ed iniettavo un paio di cc. di lubrificante nel canale. – Per l’esame che ti debbo fare, adesso dovrò infilarti questo piccolo catetere fin dentro la vescica. – le dissi mostrandole un catetere di Foley, quello con la vescichetta gonfiabile per impedire l’uscita dei liquidi iniettati. – Non sarà doloroso, ecco perché ti ho iniettato del lubrificante nel canale, proprio per farti sentire meno dolore possibile. Sicuramente proverai l’impulso di fare pipì. Se proprio ti scappa, falla senza problemi: ho già pronto un contenitore per questa evenienza. — Non ero mai stata sottoposta, prima, a questo tipo di visita. Sei veramente un bravo dottore. — Aspetta a dirlo quando avrò finito. – le consigliai mentre cominciavo a spingere il catetere nel suo corpo.- Ahi, brucia da impazzire. – Sollevò di scatto il bacino, causando la fuoriuscita del piccolo tratto di catetere che avevo già infilato. – No, così proprio non va! Ti ho detto che devi stare ferma. — Mi hai fatto troppo male. Non voglio che mi infili quel coso dentro. Non ti azzardare. -Ecco qui. Eravamo arrivati alla ripetizione esatta della scena del clistere. Analoga situazione, stessi capricci, conclusione simile. Questa volta non presi la cinta dei pantaloni, sarebbe stato troppo: la mano aperta era più che sufficiente. Mi portai al suo fianco e le chiesi:- Prometti di stare buona e ferma mentre t’infilo il catetere? — No! – fu la sua secca risposta.Uno scapaccione a piena mano le piombò sul lato esterno del seno sinistro, seguito, immediatamente dopo, da un manrovescio sull’altra tetta.Spalancò gli occhi, non tanto per la sorpresa, visto che era un suo suggerimento, quanto, forse, per la repentinità del gesto. Le bellissime tette ondeggiarono eroticamente sotto la spinta dei colpi.- Allora? Prometti? — Non provarci nemmeno a infilarmi quell’affare. — O.K. Aspetterò che sia tu a chiedermelo. – come sempre, facevo in modo che fosse lei a stabilire quando ne aveva abbastanza.Cominciai a riempire di sberle quei grandiosi globi delicati. I capezzoli, ben presto si gonfiarono a dismisura: ne afferrai uno, lo tirai verso l’alto e, con l’altra mano colpì il seno con una lunga serie di schiaffi dritto e rovescio. La manovra sortì il previsto effetto: i colpi e lo strizzamento del capezzolo la portarono ben presto a più miti consigli.- Basta, basta. Sei proprio cattivo. Va bene, prometto, basta. Infilami quello che vuoi ma smetti di colpirmi le tette. Mi faranno male per una settimana!. -Smisi di colpirla. Quelle due meravigliose colline, prima candide come la neve, adesso erano di un bel colore rosso vivo. Mi chinai e le baciai, soffermandomi a leccarne i capezzoli, più duri e svettanti che mai.Mi sorrise socchiudendo gli occhi mentre ne imprigionavo uno tra le labbra, succhiando come un neonato.- Ti prego, adesso che mi infili quel tubo nella passerina, fai piano. Quando me lo hai infilato prima, mi ha fato tanto male, lo sai? – il tono, però, non era lamentoso come le parole potevano far sembrare: in effetti, era più una provocazione, un invito a fare del mio peggio, che una vera preghiera ad andarci con la mano leggera.- Sì, lo so. Mi ero dimenticato di dirtelo: all’inizio mentre sta entrando, anche se ti ho lubrificato il canale, brucia un po’, a volte parecchio, ma poi, di solito passa, appena fatta l’abitudine all’intruso. -Trattenne il fiato, lanciando qualche piccolo guaito, finché non capì che avevo completato l’operazione: venti centimetri di catetere erano saldamente infilati nel suo canale uretrale, con l’estremità immersa nella vescica. Come avevo previsto, appena infilato catetere fino in fondo, un fiotto di urina uscì dall’estremità libera della sonda. In un attimo, il barattolo che avevo posto sotto l’estremità libera del tubicino, raccolse tutto il liquido che aveva ancora depositato nella vescica. Sarebbe stato imbarazzante giustificare, con la direzione dell’albergo, una macchia d’urina sulla moquette.La vidi arrossire come una scolaretta colta in flagrante quando si accorse che, in pratica, se l’era fatta sotto. Bene; voleva provare umiliazione ed imbarazzo? Eccola accontentata.Con l’apposita peretta, gonfiai la minuscola vescica del catetere. Eva sobbalzò ed emise un vero e proprio grugnito: evidentemente l’operazione non era stata di suo gradimento.- Da ora in poi, non potrai più urinare fin quando non sgonfierò di nuovo il catetere. Adesso, ti dovrò iniettare della soluzione salina per fare in modo che la tua vescica sia bella piena. Ti sembrerà di doverla fare nuovamente, ma tu non ti preoccupare, non potrai farla neanche se lo volessi. — Ma questa è una tortura! – disse con molta meno baldanza di quanta ne aveva dimostrata fino ad allora – E quanta acqua mi metterai dentro? -Il tono preoccupato con cui mi pose la domanda, mi fece venire in mente di divertirmi un po’, rendendole pan per focaccia per tutte le discussioni che avevamo avuto sulla grandezza dei clisteri.- Non dirmi che sei preoccupata per un po’ d’acqua? Non sei tu quella che mi chiedeva clisteri da cinque litri? — Ma quelli dovevi farmeli dall’altra parte! – sbraitò ingoiando l’esca con tutto l’amo – mica penserai di inondarmi la vescica con cinque litri d’acqua! Mi farai scoppiare. – Era veramente terrorizzata ed io, guardando il suo bel volto preoccupato, non potei trattenermi dal sorridere.- Stavo scherzando, – la tranquillizzai – so bene che cinque litri d’acqua sono veramente troppi, ma certamente ti gonfierò la vescica con tutta quella che riuscirò a farti ricevere – le annunciai mostrandole per la prima volta una siringa da 100 cc. già riempita. – Mi avviserai quando ti sentirai piena al punto che ti sembrerà di scoppiare, quello sarà il momento giusto in cui potremo finalmente verificare le tue reazioni agli stimoli esterni sotto pressione. Da come risponderai capiremo se il tuo problema è incentrato lì o se dobbiamo ancora continuare a cercare. — Non ho capito cosa mi vuoi fare. — E’ una sorpresa; aspetta e vedrai. -Inserì il beccuccio della siringa nell’estremità libera del catetere e, lentamente, spinsi sullo stantuffo.La prima siringa si svuotò rapidamente. Eva, aveva la vescica completamente vuota, quindi, non ebbe difficoltà nel ricevere anche la seconda.Soltanto sul finire della terza incominciò a smaniare. – Basta, dottore, ho la vescica piena, devo fare pipì. — No, – risposi collegando al catetere la quarta siringa piena, – non sei piena. Una vescica che si rispetti, contiene almeno 400 cc. di liquido. Per ora, il tuo è soltanto lo stimolo a fare pipì, anche se piuttosto forte. Stai buona almeno per un altro paio di siringhe, poi vedremo. -Non disse niente, accettando supinamente di sottostare a quella nuova esperienza fino in fondo, ma i segnali che inviava il suo corpo erano più significativi di mille parole. Le contrazioni della pancia si facevano sempre più ravvicinate mentre il respiro era diventato affannoso e superficiale: il fatto incredibile era che la sua vagina stava emettendo più umori che durante una favolosa scopata.- Basta, non ce la faccio più a trattenerla; se mi svuoti dentro anche quella finisce che scoppio – si lamentò quando riempì la siringa per la sesta volta – mi stai veramente facendo un clistere nella vescica, e fa molto più male dell’altro. Tu non sei un dottore, sei un sadico aguzzino. -Lasciai che si sfogasse insultandomi; più di quello non poteva fare. Ormai era ben visibile il gonfiore della vescica: il suo ventre, prima leggermente incavato, ora presentava un leggero rigonfiamento poco sopra l’osso del pube. – Se la smetti di insultarmi, possiamo passare alla seconda fase dell’esame; a meno che tu non pensi di poter ricevere ancora un’altra dose. — Oddio, no! Se non me la fai fare subito scoppio, altro che un’altra dose. Ti prego dottore, basta. – Ero tornato ad essere il suo dottore, bene!Misi da parte la siringa: 600 cc. di liquido nella vescica non sono pochi. Immaginavo come doveva sentirsi sotto il continuo stimolo a dover urinare e non poterlo fare. Era giunto il momento che cominciassi a farla divertire.- Va bene, credo che tu sia piena a sufficienza; possiamo anche cominciare a verificare le tue reazioni. -Presi dalla borsa un paio di palline vibranti e delicatamente gliele infilai nella vagina; subito dopo le accesi. Il risultato fu uno spettacolo entusiasmante: Eva, sollecitata da quello stimolo inusuale, amplificato dal gran quantitativo di liquido che le riempiva la vescica, cominciò a sobbalzare sul letto dimenandosi come un’ossessa, un po’ per il dolore, un po’ per il piacere che insorgeva prepotentemente dentro di lei. La visione della sua vagina, oscenamente spalancata, e del suo ano pulsante durante le contrazioni, mi stavano eccitando in modo incredibile. Afferrai nuovamente il vibratore che le avevo tolto poco prima dalla vagina e lo spinsi, senza tanti riguardi, fino in fondo nel suo culo. Quasi non dette quasi segno di essersene accorta: anzi, accolse la nuova intrusione con un gemito di piacere. Le stimolazioni ora le arrivavano da tutte le parti: il clitoride le si era gonfiato a dismisura in modo estremamente allettante: senza accorgermene, mi ritrovai a succhiare freneticamente quel minuscolo palloncino.Non so quanti orgasmi ebbe, uno dietro l’altro, so soltanto che quando rialzai la testa, era pallida e disfatta. Temetti, per un attimo, che fosse svenuta, ma i sospiri e la concentrazione nel piacere che aveva stampata sul volto mi dissero che stava ancora godendo.Lentamente la liberai del vibratore e delle palline; sgonfiai la vescichetta del catetere e le permisi finalmente di orinare. Qualche goccia di liquido cadeva ancora dal catetere quando ebbi terminato di toglierle anche le fasce che la imprigionavano.Era stranamente silenziosa: distesa sul letto, con gli occhi chiusi, senza compiere il minimo movimento. Mi ritrovai a pensare che forse avevo esagerato; forse le avevo fatto e dato di più di quanto lei avesse mai desiderato nel suo “sogni nel cassetto”. Mi sbagliavo: non era così. Improvvisamente mi afferrò per una mano e mi tirò sul letto accanto a lei. – Ora che hai fatto tutti gli accertamenti, caro dottore, – mi disse sbottonandomi freneticamente i pantaloni – devi darmi la cura. E vedi che sia una cura lunga: mi hai talmente eccitata, che forse non ti basterà tutta la notte per guarirmi del tutto. – Nota dell’autore: Sperando che il racconto sia piaciuto, ringrazio in anticipo coloro che vorranno contattarmi per critiche, commenti e suggerimenti.Buonpadrone

