Amedeo stava sorseggiando un aperitivo in un caldo mezzogiorno estivo, all’interno di un circolo di tennis immerso nel verde delle colline toscane; trentacinquenne, alto, aitante, capelli scuri, era uno a cui non mancavano certo le avventure sessuali, si diceva di bocca buona e non ne risparmiava alcuna, gli piaceva sedurre ma anche e soprattutto costringere, fin’anco con la forza: il possesso attraverso il sottile piacere del ricatto o della coercizione, lo rendeva tronfio e ne incrementava la già esplosiva carica erotica.Il suo lavoro di rappresentante di vini pregiati, gli consentiva di vivere agiatamente e di potersi gestire i ritmi di lavoro, scegliendo gli spostamenti nell’area centro settentrionale, a bordo della sua fiammeggiante Porsche nera, alla vista della quale alcune giovani fanciulle si lasciavano adescare, cedendo poi alle lusinghe di quel bel maschio latino, che esigeva sempre di andare fino in fondo, senza mezzi termini.Si era appena lasciato alle spalle l’incontro con una ragazzotta ventiduenne, operaia in una prestigiosa azienda vinicola di cui era fiduciario, Olga ben tornita e rubiconda, aveva accettato un passaggio verso casa nel momento in cui Amedeo se ne stava andando: non era certo uno splendore di ragazza, anzi tutt’altro, il suo portamento greve l’aveva condizionata sin da ragazzina, rendendola timida ed impacciata, in special modo con le persone mature, anche se nel suo immaginario non aveva collocato tra queste quell’improvvisato accompagnatore, dal quale si era fatta ammagliare per il piacere di sedergli vicino, all’interno di un’auto che esisteva solo nei suoi sogni.Quei luoghi ameni che si affacciavano senza soluzione di continuità, attraverso i saliscendi della tortuosa strada che li stava portando verso alcuni minuscoli nuclei abitati, agevolarono i toni suadenti delle parole di Amedeo, che ne osservava di sottecchi il prosperoso seno e le grosse cosce, rimaste abbondantemente scoperte durante la seduta sul basso sedile in pelle, essendosi in parte arricciato il vestito, stirato dal peso del mastodontico sedere.Olga aveva indicato in un paesetto distante una quindicina di chilometri il luogo della sua residenza, ed il suo baldo cavaliere le aveva sorriso maliziosamente, mormorando: spero non avrai fretta, sono così incantevoli questi posti che verrebbe voglia di rincorrersi, finendo esausti ed ansanti, distesi sull’erba alla ricerca della sublimazione, nell’unico immanente atto che identifica il rapporto umano.Che bello balbettò Olga abbagliata da quelle parole, di cui aveva percepito solo in parte la metaforica allusione, temendo di contraddirlo dette ampia disponibilità: no, no, non ho fretta alcuna, rientro a qualsiasi orario, a casa sono abituati a non aspettarmi!Allora abbiamo tutto il tempo necessario riprese Amedeo fermando la macchina in una stradina sterrata che accedeva ad un fondo di campagna, si può cominciare da qui oppure scegliere di correre a perdifiato lungo la collina alla ricerca di un luogo ancor più tranquillo, soggiunse spostando una mano all’interno delle sue cosce, lisciandole appena la pelle che trasmise un brivido prolungato.Per Olga l’aspetto onirico si ruppe in un istante, tutto ritornò come in un copione già visto, si era illusa che quella fosse una persona diversa, ed ancora una volta si era sbagliata: ma, ma, cosa vuole da me farfugliò impacciata la giovane contadina, il cui volto stava virando dal rosa al violaceo; con calma serafica Amedeo rispose: voglio che ti tiri giù le mutande e mi mostri la tua bella ficona cicciuta, altrettanto farai con le tette e con il tuo culo pieno di merda, al quale farò l’onore di sorbire al suo interno la mia verga nerboruta, dovrai anche tirarmelo fuori e spero tu sappia usare bene la bocca perché sono molto esigente!Olga restò tramortita, come tutti gli altri uomini che aveva conosciuto voleva abusare di lei: la mano aveva raggiunto le mutandine, strattonandone il cavallo per meglio intrufolarsi nella folta peluria che le oscurava il pube; rimase pressoché impassibile anche quando le dita raggiunsero il grosso bottone clitorideo, iniziando a massaggiarlo con vigoria, sussultò invece come se si fosse svegliata di soprassalto, quando tornò a sentire la voce di Amedeo, il cui tono perentorio la fece scattare come una molla: allora ti sbrighi, hai capito quello che ho detto, cerca di muoverti prima che perda la pazienza e cominci a toglierti a suon di sberle il grasso superfluo.Il ghigno dipinto sul volto di Amedeo non lasciava spazio ad interpretazioni e lei cadde in uno stato di totale passività, accompagnato da paura latente, che la rendeva docile e mansueta come un agnellino.Ella non aveva mai avuto un buon rapporto con il sesso, avendolo sempre subito fin dal primo incontro con un signore di una certa età, che lei si era fermata a guardare mentre stava orinando in una stradina di campagna, attratta dalla vista del suo biscione, lungo e molle, dal cui prepuzio defluiva un getto di piscio ininterrotto, al pari di una fontana; l’uomo non si era accorto subito della sua presenza di spalle, come la vide imbambolata e con le pupille dilatate, fisse sul membro, glielo espose meglio stretto in mano e le si rivolse con tono deciso: ti piace vero sporcacciona, avvicinati, svelta!Quella fu la prima volta che prese in mano un cazzo, con il volto paonazzo ed il respiro asmatico sentì maturare, entro il suo palmo serrato, quel pezzo di carne pulsante che cresceva a dismisura lasciandola esterrefatta: l’uomo si godeva quel colpo di fortuna, osservando il volto estasiato di quella grassa segaiola, la cui imperizia lo stava portando velocemente all’orgasmo, decise di approfittare di cotanta manna e ruppe il silenzioso incantesimo, che fino a quel momento aveva condizionato il lento dimenar della mano inesperta.Le serrò le spalle forzandola a chinarsi, sbottando con voce imperlata di libidine: inginocchiati, svelta, ora lo devi prendere in bocca!Per Olga fu come un risveglio, solo in quel momento si rese conto in quale situazione si era cacciata, gli occhi le si inumidirono e cominciò a frignare impaurita: no, no, non voglio, mi lasci, mi lasci andar via, la prego! Un potente ceffone le lasciò il segno della mano sul viso, facendola barcollare, mentre il secondo sull’altra guancia la ribaltò definitivamente; non ebbe nemmeno il tempo di riprendere la sua inascoltata supplica, che l’uomo le fu sopra con le ginocchia affondate sopra le braccia aperte, le mani strette sulla nuca ne bloccavano la testa e ne condizionavano i movimenti della bocca, al cui interno aveva già introdotto il dardo attizzato, forzandole le labbra; sotto le spinte del bacino Olga rischiò il soffocamento, tanta era la foga con cui lui la chiavava in gola, alla ricerca dell’ultimo esasperato attimo nel quale il seme si diffonde impetuoso: la lasciò piangente ed imbrattata di sperma fin sui capelli, dileguandosi.Amedeo rimase persino sorpreso di tanta arrendevolezza, la osservò sfilarsi con una certa goffaggine le mutande, che le strappò dalle mani annusandone l’intenso afrore di cui erano pregne: troia facevi tanto la santarellina ed invece sei proprio una cagna in calore, su avanti mostrami anche le tette e poi tiramelo fuori che prima voglio sborrarti in bocca!Mentre faticava a districarsi nello stretto abitacolo, per abbassarsi le spalline del vestito ed esporre le grosse tette un po’ flaccide che rimbalzavano frementi senza reggiseno, nuovi ricordi le si affacciarono nella mente.Intanto i denti aguzzi di Amedeo la fecero contorcere non appena agguantarono l’estesa corolla di un seno, mentre una mano si rituffò a scavarle la ficona fradicia, con gratuita brutalità, obbligandola a gemere sommessamente; forse nel suo intimo era proprio ciò che cercava, mai alcuno le aveva trasmesso le gioie di un piacere che avesse un briciolo di sembianze con l’amore: si convinse che erano le sue fattezze che inducevano alla voglia di percuoterla prima di possederla, era un castigo con cui era oramai costretta a convivere indissolubilmente.In giovane età aveva immaginato che la catarsi fosse l’esplicitazione estrema del piacere carnale, un atto di vivida purezza che doveva essere tenuto nascosto e condiviso solo con il proprio partner; dopo le prime esperienze sessuali, in lei stava invece prendendo forma l’idea che il rapporto dovesse maturarsi attraverso un’azione violenta, così come si era sempre manifestata, improvvisa ed inaspettata, sin dalla prima volta. Probabilmente fu per l’incalzare delle domande, che diversi mesi dopo Olga esternò a Don Antonio, il parroco cinquantenne del paese, durante una periodica confessione, l’episodio che le era capitato ed i consequenziali pensieri impuri che ne condizionavano le masturbazioni, a cui non sapeva più sottrarsi prima di dormire; la voce del prete aveva assunto un tono quasi afono, quando alla fine le ingiunse di seguirlo in sagrestia, non potendo concederle il perdono se non fosse stato certo del pentimento per così gravi peccati: era troppo ingenua per immaginare a cosa andava incontro e lo seguì con il cuore in tumulto, senza fiatare.Don Antonio richiuse la porta della sagrestia serrandola a chiave dall’interno, per un attimo prima di entrare nel buio di quella stanza, Olga aveva colto nel viso accaldato del suo confessore un’immagine strana, quasi maligna, che le aveva fatto scorrere un brivido intenso lungo la spina dorsale; devi espiare figlia del demonio, disse accendendo un piccolo cero, che rischiarava appena quel luogo pregno di incenso.Si sedette su una poltrona in legno massiccio ed ordinò: spogliati e che il Signore mi perdoni se i miei occhi dovranno guardare questo corpo macchiato dal peccato!Olga era fortemente intimorita, ma non esitò a denudarsi sotto lo sguardo severo del prete, che sprizzava lampi di libidine, la tenne a circa due metri davanti a sé e l’obbligò a ripetere, con le gambe leggermente divaricate, il rito della masturbazione: dopo i primi timidi toccamenti, ella accelerò lo sfregamento a causa della crescente fonte di calore che le infiammava il ventre, fu in quel preciso istante che lui impugnò una bacchetta, cominciando a colpirla all’impazzata, segnandole il corpo adiposo, mentre con le bave alla bocca le ingiungeva di pentirsi.La giovane cadde in un pianto dirotto e si inginocchiò a terra chiedendo perdono, mentre il prete aveva trasferito le sferzate punitive al grosso mappamondo, ove sembrava trovar maggior soddisfazione nel rigare i glutei larghi, nel cui solco si estendeva parte della peluria nera proveniente dal pube; la furia di don Antonio si sopì d’incanto ed Olga, pur con gli occhi obnubilati dalle lacrime, intravide la mano del sacerdote che, entro la toga, si muoveva nervosamente con moto sussultorio.Egli si risedette nella poltrona sfoderando dall’abito talare, sbottonato sul davanti, un uccello di modeste dimensioni ma incredibilmente lungo, la ragazza venne soggiogata dal suo elusorio richiamo e si rialzò avvicinandosi, il sacerdote l’abbrancò per i fianchi impalandola alla sua divinità fallica: Olga perse così la sua verginità in quel luogo di culto, ove un prete mistificatore mischiava sacro e profano, senza dar conto alcuno dei suoi laidi comportamenti.Amedeo aveva allungato all’indietro il sedile, raggiungendo il fine corsa, ed Olga aveva imboccato l’enorme uccello duro, che lei stessa aveva estratto dal rigonfio dei pantaloni: l’interno delle gote scandiva con dei rigurgiti simili ad una pompa idraulica, l’andirivieni di quella bocca calda e vorace, che si prodigava ai limiti dello sfinimento, per far esalare l’ultimo respiro a quel superbo prototipo; con due dita infilate nel culo della rozza pompinara, Amedeo cercava invece la giusta concentrazione per scaricare il fiume di sborra che teneva in canna.Una rabbia inconsueta si impadronì dell’uomo dopo l’eiaculazione, malgrado la giovane contadina avesse trangugiato senza alcun tentennamento fino all’ultima goccia, restando con la bocca incollata al membro che non accennava a scemare il suo gonfiore; venne trascinata fuori dalla macchina e picchiata senza alcun motivo: le lacrime le solcavano il volto scendendo copiose, dalla sua bocca invece solo flebili lamenti: aveva ormai perso persino la forza di chiedere pietà.Con i polsi legati dietro la schiena e le spalline del vestito scivolate lungo le braccia, l’obbligò a correre verso una radura che si intravedeva in lontananza, con lui che da dietro ne sollecitava il ritmo, godendo della vista delle poppe al vento e delle chiappe intere, che aleggiavano nude ogni qual volta incespicava, ribaltandosi; finì lunga distesa per tre volte ammaccandosi e ferendosi leggermente, prima di farla rialzare Amedeo le scaldava le natiche con delle sonore sculacciate, ma anche intingeva il suo cazzo svettante nella fessura ricolma di umori, prendendola alla pecorina.Olga godeva come una forsennata nel farsi penetrare in quel modo, in totale costrizione, avviluppando entro la sua vulva carnosa quel randello così pronunciato e per questo dissimile da quelli fino ad allora conosciuti, anche se Amedeo si divertiva ad esasperarla, ritraendosi dopo poche pompate non appena notava che ella si stava avvicinando all’orgasmo, roteando l’imperioso culo. Dimentica dell’iniziale promessa Olga credette che la radura fosse la fine delle sue sofferenze, invece lui fu persino costretto ad imbavagliarla con un fazzoletto, per attenuare le grida disperate che si innalzarono da quel luogo bucolico, le cui pur rare persone sparse ai limiti dell’orizzonte avrebbero potuto percepire, durante la devastante sodomizzazione alla quale la sottopose: sebbene quel canale fosse già stato oggetto di altre violazioni, la consistenza dell’arnese che ora affondava dentro il suo culo era tale da produrle fitte lancinanti, a cui si implementavano sanguinolente lacerazioni dei tessuti.In quegli istanti Olga si rivide a casa del medico ove periodicamente don Antonio la mandava a controllarsi: era un uomo di una certa età alto e brizzolato, che fin dalla prima volta l’aveva umiliata facendola denudare completamente per una visita esplorativa alle parti intime, il cui scopo principale si rivelò quello di alimentare la propria libidine prima di possederla.Dopo essersi dilettato con mano tutt’altro che professionale, indugiando il massaggio entro la fessura fino a che ella si abbandonò ad un orgasmo liberatorio, la mise carponi con il culo per aria, sculacciandola: ha proprio ragione don Antonio quando dice che sei una sporcacciona incallita, trovi pace solo quando puoi assaporare il piacere della carne!Con il cuore in gola Olga sentì le dita impastate di unguento che forzavano il pertugio, infilandosi all’interno, ove ristettero lubrificando il canale: il glande si insinuò come una sciabola entro la corolla dilatata, spingendosi all’interno inesorabilmente; quell’azione rallentata le dava un senso di oppressione ma non di dolore, seguì le istruzioni del dottore che la invitò a spingere, come se stesse defecando: un fiume di epiteti scurrili la investirono non appena lei cominciò a dimenare il culo, avendo avvertito qualcosa di simile al piacere, poi una stretta più consistente sui seni annunciò il flusso di sperma che si propagò nell’intestino.Amedeo la lasciò seminuda e piangente a bordo strada, disinteressandosi definitivamente di lei; si tolse quel ricordo dalla mente e con l’aperitivo in mano si incamminò lungo il patio del circolo tennistico, ove la sua attenzione venne attirata da due libellule che libravano in lontananza sul campo cinque: sotto un sole a picco, due corpi magici si allungavano morbidi rincorrendo la pallina, come se stessero danzando plasticamente; si avvicinò senza fretta riuscendo a metterle a fuoco, non erano due donne ma madre e figlio.Elisa non ancora quarantenne dalla folta chioma bionda, esile ed elegante con la carnagione dorata, si muoveva sinuosa nel suo completino bianco candido, trasudando un fascino inebriante; il figlio Piero invece aveva quasi diciannove anni, somigliava alla madre come una goccia d’acqua, e la copiava anche nella capigliatura, bionda e fluente, che gli arrivava fin sulle spalle, da tergo sembrava proprio una femminuccia e le sue movenze efebiche ne accentuavano la prima impressione.Stavano finendo la partita ed Amedeo restò qualche attimo a guardare in fissità quelle due incantevoli creature, impressionato dai gesti fin troppo amorevoli della madre, che coprì le spalle del ragazzo con un asciugamano, carezzandolo e baciandolo sulle labbra, vi era qualcosa di equivoco in quel rapporto, ma non solo, per la prima volta in vita sua, ebbe un’erezione al pensiero di farsi succhiare l’uccello da quella femminella dagli occhi languidi, vestita da ragazzino, decise perciò di aspettarlo nello spogliatoio.Da dietro la porta di una doccia ne osservò il corpo allampanato mentre si toglieva la divisa tennistica, il seno piatto ed il minuscolo pisellino sul davanti ne facevano la differenza con una coetanea di sesso diverso, ma il viso e la flessuosità del corpo, ancorché i suoi movimenti aggraziati, erano assolutamente femminili; Amedeo spalancò la porta fingendo di aver dimenticato il bagnoschiuma: mostrò così il suo corpo statuario, gocciolante e nudo, al ragazzo che restò attonito a guardare quell’improvvisa apparizione. Folgorato dal lungo biscione, che scendeva rammollito davanti a quello sconosciuto, Piero ebbe un senso di vergogna e coprì con una mano il suo insignificante pisello, arrossendo leggermente, dando come l’impressione di volersi scusare per l’inconsistente sua virilità; Amedeo gli sorrise avvicinandosi, raccolse il bagnoschiuma dalla sua sacca e lo prese per mano, portandolo con sé dentro il box doccia ove l’acqua continuava a scrosciare: sei bellissimo sussurrò avvicinando le labbra a quelle del ragazzo, i cui lunghi capelli e la pelle liscia e glabra, furono carezzati dal getto che scendeva dall’alto.Con gli occhi offuscati e le labbra socchiuse per agevolare l’uscita del respiro che si era fatto affannoso, Piero si lasciò carezzare dalle mani virili di Amedeo che lo spalmavano con il bagnoschiuma, partendo dalle spalle fino a scendere sulle natiche ben divise da un solco marcato, entro il quale fu agevole insinuare prima le dita scivolose e poi il cazzo svettante: senti come mi è diventato duro, gli soffiò su un orecchio, mordendoglielo appena.Il ragazzo con un gesto istintivo appoggiò le mani sulle piastrelle umide allungando indietro il bacino, il pertugio era troppo stretto, anzi era il randello di Amedeo fuori misura: con un colpo ben assestato riuscì a far entrare solo cappella, movendosi appena al suo interno, gli prese in mano il pistolino indurito e dopo pochi istanti il giovane eiaculò con un sospiro prolungato.Piero si lasciò inginocchiare sul piatto doccia e si apprestò al primo bocchino: egli aveva tutto di femminile ed Amedeo ne osservò dall’alto, sotto il flusso dell’acqua che bagnava i loro corpi, la bocca che si impossessava del suo poderoso randello, succhiandolo con rara maestria come la più consumata delle pompinare, ingurgitando estasiato lo sperma che alla fine sgorgò a flutti densi, inondandogli la gola.Elisa seduta a tavola nel ristorantino del club, guardò allarmata l’avvicinarsi del figlio assieme ad Amedeo, con il quale notò all’istante una confidenza sospetta: ella ne conosceva bene la riservatezza ed anche la diversità, sapeva quanto soffrisse gli scherni dei coetanei e come ciò lo avesse portato a chiudersi a riccio, facendo fatica a rapportarsi con chicchessia; da quando era rimasta vedova tre anni prima, la sua protezione era diventata morbosa, erano diventati un tutt’uno, complici e amanti.Dopo le presentazioni, che la donna accettò con distacco, pranzarono assieme ed ella lesse negli occhi del figlio quello che mai avrebbe voluto vedere: Piero era limpido e cristallino, non sapeva mascherare, le sue pupille sprizzavano gioia, amore ed infatuazione, guardava Amedeo come fosse una divinità, pendendo dalle sue labbra.I lineamenti dolci e sensuali di Elisa si deturparono segnandole il volto con delle impercettibili rughe, si sentiva affannata e stava perdendo il controllo della situazione, temeva per sé e per il proprio figlio, a differenza del quale aveva individuato in Amedeo un personaggio pericoloso, era sicura che sotto il suo sorriso di circostanza celava qualcosa di perverso, avvertiva addosso il suo sguardo indagatore, la stava spogliando con gli occhi, non aveva alcun dubbio doveva liberarsi al più presto di quella scomoda presenza: dobbiamo andare Piero, disse all’improvviso, abbiamo quelle compere da fare in città prima di rientrare, grazie della compagnia, soggiunse alzandosi.Ma come esclamò Amedeo mi avevi promesso che avremmo fatto un bagno assieme, in piscina a casa tua!Sì, sì mamma, è vero, va tu sola a far le spese io e Amedeo ti aspettiamo alla villa; Elisa ascoltò le parole del figlio come un pugno nello stomaco, tentò di insistere ma il ragazzo fu irremovibile, era frastornata ed impaurita, decise di rinunciare anche lei ad andare in città per seguire da vicino il figlio che, a tutti i costi, volle salire in macchina con Amedeo.Per raggiungere il rustico che il padre di Piero aveva dieci anni prima rinnovato in una splendida villa con annessi diversi ettari di terreno, ci volevano una ventina di minuti, per Amedeo fu un tempo sufficiente per farsi svelare dal ragazzo, ormai plagiato, ogni più intimo segreto di quell’apparente indissolubile rapporto tra lui e la madre.La mano di Amedeo scivolò leggera a sbottonare la patta dei pantaloni del ragazzo, che si allungò sul sedile chiudendo gli occhi: porcellone hai già il pisello duro, ti piace che te lo tocchi, stai pensando a quando me l’hai preso in bocca sotto la doccia, o forse preferiresti essere con la mamma, è brava a succhiartelo vero?Piero trasalì e con il volto infuocato balbettò: come fai a saperlo? Tranquillizzati so mantenere i segreti, su raccontami tutto se vuoi davvero che diventiamo amici inseparabili: con espressione trasognata Piero si lasciò trasportare dal piacere di quella masturbazione diversa, tipica di una mano maschile, che nel suo intimo da tempo cercava, per affidare a membra virili la dolcezza del suo corpo; prima che il suo pistolino eruttasse soffici zampilli egli confidò senza remore i rapporti incestuosi con la madre, la quale nel tentativo di lenire alcuni momenti depressivi del figlio, aveva cominciato a carezzarglielo e succhiarglielo, lasciando anche che un paio di volte si sfogasse entro il suo culo, che mai in vita aveva concesso al marito.Piero raccontò anche che dalla maggiore età tutte le proprietà lasciate dal padre erano entrate in suo possesso, alla mamma invece era stata destinata una cospicua somma, per ogni evenienza, sebbene ella non avrebbe rinunciato per nulla al mondo a stare vicino al figlio; prima di arrivare a destinazione il ragazzo ebbe un ultimo affannato guizzo, che all’evidenza voleva recidere il cordone ombelicale che fino a poche ore prima lo legava alla madre, quando sussurrò: voglio essere tuo Amedeo, anima e corpo!Lo so, lo so, non temere ci penserò io a calmare i bollenti spiriti di tua madre, tutte le donne nel loro intimo amano essere sottomesse, di sicuro lei non è da meno, ne piegheremo ogni resistenza stanne certo!Mentre Piero sprizzava lampi di soddisfazione, annuendo felice dell’alleanza che lo avrebbe affrancato dalle amorevoli oppressioni della madre, Amedeo entro di sé sogghignava pensando: non ti preoccupare giovane amico, sarò il terzo incomodo, imparerete a servirmi ed a soddisfare ogni mio desiderio, i timidi rapporti incestuosi che da poco sono entrati a far parte della vostra sfera sessuale, si trasformeranno in performance per voi inimmaginabili, che allieteranno il mio soggiorno nella vostra dimora.Mamma, mamma, gridò gioioso Piero appena entrati in casa, ho convinto Amedeo a fermarsi qui da noi un po’ di giorni, lo sistemeremo nella mansardina di sopra!Elisa guardò sconcertata il figlio, lasciando cadere gli occhi sui suoi pantaloni, che evidenziavano nel davanti alcune tracce biancastre di cui non era difficile intuirne la provenienza; frenò un moto convulso di stizza e fece buon viso davanti al ragazzo, senza sovrapporre alcun ostacolo alla sua decisione, facendo lei stessa strada all’ospite verso il piccolo appartamentino mansardato, ricavato all’interno del grande rustico magnificamente restaurato.Il tempo di chiudere la porta alle loro spalle ed Elisa sbottò come una furia: porco, mascalzone, ti sei divertito con il mio bambino, approfittando della sua fragilità, devi andartene immediatamente, inventa tu una scusa con lui, non ti permetterò di rovinarlo, a costo di strapparti la pelle!Così dicendo la donna aveva allungato una mano per colpirlo con le unghie, ma Amedeo era stato lesto a schivarla bloccandone il polso, le torse il braccio dietro la schiena mentre lei si dimenava e scalciava, ottenendo una stretta sempre più forte e dolorosa; non potendo minimante opporsi alla di lui forza, il volto le si rigò di lacrime in un misto di rabbia e dolore, venne sbattuta sul letto sotto una incrementata torsione del braccio che sembrava doversi spezzare, mentre la voce di Amedeo la stava demolendo: lurida troia non ti permettere più di intrometterti tra me e tuo figlio, lo so che ti piace spompinarlo ma non è questo che lo rende felice, è una checcha, si sente femmina fino al midollo e vuole donarsi ad un maschio!Elisa ascoltò affranta, bocconi sul letto, sfinita e senza forze, la stretta al polso si era allentata quando sussultò nell’avvertire la grossa protuberanza di Amedeo, che pur da dentro i pantaloni, si strusciava sul suo sedere: se proprio ti piace tanto prenderlo nel culo, ne avanzerò un pochino anche per te! Dopo un attimo di smarrimento conseguente l’ultima rivelazione, che si accompagnava a dei toccamenti lascivi della mano sulla coscia, Elisa schizzò via, sibilando: questo mai maledetto, non permetterti mai più di sfiorarmi!Il pomeriggio scorse senza particolari sussulti, con Piero che si coccolava ai bordi della piscina quello che ormai identificava nel suo unico immarcescibile amante, ben lungi dall’immaginare che ben altre erano le mire di Amedeo, il quale intendeva sì appropriarsi del suo corpo diafano, ma usarlo anche per un esilarante intreccio amoroso con la madre.Di tanto in tanto il volto abbacchiato di Elisa faceva capolino per controllare la situazione, ottenendo fastidiose occhiate del figlio, che mal sopportava le sue intrusioni, preferendo restare in intimità con Amedeo, che lo assecondava con bisbigliati amorevoli sussurri; l’ospite era rimasto incuriosito dalla cameriera di nome Luana, una trentenne segaligna, che da quando si era sposata faceva orario continuato: aveva uno sguardo da libidinosa e dentro i suoi occhi scuri celava qualcosa di torbido.Quella sera a cena nella penombra della veranda Amedeo giocò d’anticipo, confidando nei sentimenti del ragazzo: credo che domani me ne andrò, non mi piace restare ove non sono bene accetto, disse volgendo lo sguardo verso Elisa che gli sedeva a fianco, ottenendo una rabbiosa reazione di Piero nei confronti della madre, dopo un attimo di smarrimento.Non dirai davvero spero, sussurrò ansioso Piero, ma constatando l’irremovibilità trasudante dallo sguardo di Amedeo, si rivolse alla madre con tono adirato: basta, devi smetterla di intrometterti, so badare da solo a me stesso, se non ti comoda quello che faccio, la porta è là puoi andartene quando vuoi, urlò tutto d’un fiato.Elisa era rimasta muta ed inebetita con gli occhi umidi, mentre faticava a riprendere fiato si sentì gelare: la mano di Amedeo si era posata sopra un ginocchio scivolando verso l’alto; tentò di bloccarne l’ascesa serrando le cosce ma la pressione si fece più marcata, lui la fissò un attimo negli occhi offrendole un ancora di salvataggio: calmati Piero, forse ho interpretato male l’atteggiamento di tua madre, magari lei ha piacere che resti!La donna aspirò profondamente prima di riuscire a mormorare con un filo di voce: è vero io non ho nulla in contrario, mi fa anzi molto piacere che Amedeo resti con noi!Il volto di Piero si rasserenò mentre esclamava: brava mamma, così mi piaci! I muscoli contratti di Elisa si afflosciarono, lasciando libero accesso alla mano che ne carezzava l’incavo delle cosce, in modo che potesse dirigersi a vele spiegate verso l’insenatura in cui avrebbe trovato confortevole rifugio; Piero non aveva che occhi per il suo uomo e non si accorse di nulla, Amedeo intanto faceva navigare le sue esperte dita entro la vulva procellosa, le cui sponde non sapevano arginare le ondate dense di flutti umorali: le morbide labbra di Elisa si socchiusero per lasciar defluire il respiro divenuto affannoso, mentre lui percepì i prodromi dell’orgasmo dalle contrazioni della vagina incalzata dal suo massaggio.Ella si alzò di scatto fuggendo dalla vergogna, Amedeo prese per mano il ragazzo avviandosi assieme nella notte stellata: vieni che muoio dalla voglia di sborrarti in bocca!Aveva visto Elisa che seguiva il loro lento camminar dalla finestra della camera, fermò il ragazzo proprio in una panca ove il chiaror delle stelle avrebbe concesso di apprezzare quanto si apprestavano a fare; lasciò che il ragazzo seduto davanti a lui si appropriasse del pene già duro, estraendolo dai pantaloni: la sua bocca lo succhiò con ingordigia, mentre la madre affranta ne osservava in lontananza il ritmico andirivieni della testa, che ristette appagata solo quando un torrente caldo e viscido gli invase la gola.Più tardi Amedeo trovò Elisa in camera da letto, rannicchiata e scossa da un pianto convulso che sembrava non trovar fine: vattene, vattene, porco, depravato, era questo che volevi dal mio bambino! Pur se le tendenze omosessuali del figlio non potevano esser per lei considerate casuali, ora che si confrontava con l’evidenza non riusciva a darsene pace: te l’ho già detto, è questo che lui vuole, devi fartene una ragione, disse Amedeo avvicinandosi.No, no, lasciami, non mi toccare, mi fai schifo, cosa vuoi fare adesso prendere anche sua madre, dovrai farlo con la forza, maledetto!E’ proprio quello che farò, soggiunse Amedeo salendole a cavalcioni sul letto.Un paio di sonori ceffoni ne accentuarono i singhiozzi che le scuotevano il petto, non aveva più risorse per difendersi e si lasciò legare i polsi alla testiera.Le lacerò sul davanti la leggera camicia da notte, esponendo l’affascinante corpo nudo, scosso da violenti fremiti mentre i suoi occhi impauriti brillavano nella tenue luce della stanza, rischiarata solo da un abat-jour; Amedeo non si perse in preamboli, voleva possederla con la violenza tipica dello stupro, legandola a sé attraverso questo vincolo carnale così ributtante quanto efficace a raggiungere lo scopo che si era prefisso: costringerla a soggiacere senza alcun limite alle sue dispotiche e perverse fantasie.Il nodoso randello si conficcò come una saetta all’interno della sua tana inaridita, strappandole un prolungato sommesso gemito, le stoccate perfide e veementi le devastavano il ventre che faticava a svegliarsi dal lungo letargo, ella rimbalzava sul letto come un corpo inanimato, avendo il suo cervello rifiutato di assecondare quel furioso assalto; Amedeo ne avvertiva il distacco ma ben sapeva che presto la libidine avrebbe preso il sopravvento: come un vulcano a lungo sopito la sua vagina esplose infatti all’improvviso, eruttando una serie ininterrotta di colate laviche, che irrorarono di calore l’enorme pene che continuava a sfondarla.Elisa smise di colpo di singhiozzare, il volto bagnato dalle lacrime si illuminò di intensi bagliori, le labbra sensuali emisero i primi sospiri trasognati ed il bacino cominciò a ritmare gli affondo di quella interminabile cavalcata, quando Amedeo avvertì vicino il di lei apice si concentrò per mischiare in un unico momento liberatorio, i frutti del loro piacere.Il mattino dopo a colazione Amedeo colse negli occhi di madre e figlio la certezza del dominio, il volto di Elisa esprimeva una paura incombente mentre quello di Piero irradiava la felicità di un amore travolgente, anche se di lì a poco avrebbe dovuto sbattere contro una diversa realtà, subendo le pervicaci aberrazioni del suo violento ospite.Da oggi ti chiameremo Pierina, devi diventare una puttanella succhiacazzi, voglio che impari a vestirti da femminuccia, con appropriata lingerie e vestiti attillati, adesso va in camera della mamma, scegli gli indumenti più sensuali e provocanti e poi torna qui!Il ragazzo cambiò espressione, il tono di Amedeo era ben diverso da quello che solitamente usava, adesso era divenuto autoritario quasi imperioso, lo guardò perplesso in cerca di conferme: alzati e vieni vicino a me, ordinò Amedeo perentorio, mentre la madre osservava la scena, fremente ed ammutolita; perché mi tratti così balbettò con voce piagnucolosa Piero, a cui il mondo stava crollando addosso.Amedeo gli abbassò i pantaloncini in uno con le mutande, glielo prese nel palmo menandolo: perché è così che ti voglio, puttanella vestita da femminuccia, adesso chinati e succhiamelo, è questo che ti piace vero? Un paio di lacrime amare scesero sul volto di Piero, che tentò di scappar via ma venne agguantato da Amedeo che lo piegò sulle ginocchia sculacciandolo.Egli tentò di liberarsi ottenendo solo una dose più consistente di manate sul sedere che lo domarono quasi subito, intanto la madre, anch’ella con gli occhi umidi, implorava: ti prego, ti prego, lascialo, basta, basta!Un’occhiata torva di Amedeo la fece desistere subito, mentre Piero si afflosciava sulle ginocchia perdendo ogni velleità: Elisa guardò da vicino il figlio che piegato in avanti imboccava il cazzo di Amedeo, lappandolo ad occhi chiusi, immergendosi nell’atto del pompino con inusitata passione malgrado ora ne fosse costretto.Leccagli il culo, troia, e fallo sborrare nella tua mano! Elisa guardò ammagliata le bianche rotondità del figlio e si inginocchiò facendo saettare la lingua entro l’orifizio, mentre la mano correva lesta a toccare il pisellino duro, che dopo pochi attimi lasciò defluire alcuni timidi spruzzi.Amedeo bloccò la suzione: adesso basta, ti sei divertito fin troppo, vai a prepararti, in ragione di come ti ripresenterai deciderò se potrai ancora gustare il mio uccellone, magari in mezzo alle tue belle chiappette morbide!Piero corse via quasi sbattendo addosso alla Luana che impalata, stava guardando da qualche minuto la scena a poca distanza, anch’ella si era disincantata e stava indietreggiando lentamente quando Amedeo si alzò di scatto bloccandola: con lo sguardo annebbiato dal grosso arnese che gli rimbalzava davanti, lasciò che lui le togliesse il grembiule stendendola sul pavimento, in un attimo le mutandine furono strappate e l’asta si infilò imperiosa entro la sua tana.Accecata dalla libidine Luana si fece montare incitando come una indemoniata quello stallone, che le gonfiava la ficona bollente con bordate micidiali, ammaccandole il fondo schiena che sbatteva ruvidamente sulle piastrelle in cotto, fintanto che un orgasmo traboccante li avvolse, lasciandoli avvinghiati ed ansanti sotto gli occhi di Elisa che, in disparte accovacciata per terra, si era fatta trasportare dalla scena, infilandosi una mano sotto le mutandine e trovando appagamento nei propri languidi toccamenti.Amedeo girando la testa la colse in quella posizione, con la gonna scomposta che lasciava intravedere le mutandine scostate sul davanti ed un raggio della peluria dorata, la fece avvicinare e le ordinò di spogliarsi, dovette accucciarsi sul volto di Luana, che senza alcun suggerimento, estrasse la lingua che si insinuò frizzante dentro la conchiglia aperta carpendone gli umori; l’uomo prese la testa di Elisa tra le mani, flettendola in modo che la bocca giungesse a contatto con l’asta ancora conficcata entro la vulva della cameriera: le insegnò a gustare i due sapori che colà ristagnavano, lappando assieme il pene e la morbida carne della fica spalancata. Un nuovo legame si insinuò tra serva e padrona, quando Amedeo ritrasse la spada, le vulve vennero risucchiate all’interno delle bocche, quasi a volerne strappare alcuni frammenti succulenti, per Elisa era la prima esperienza saffica mentre per la cameriera era la continuazione di un giuoco a cui l’aveva iniziata la suocera ancor prima di sposarne il figlio.Ella l’aiutava ad arredare il modesto appartamento in cui dovevano andar ad abitare, e Luana passava molte delle sue ore libere assieme alla futura suocera, una giunonica donna non ancora cinquantenne, che non perdeva occasione per complimentarsi con lei del bel corpo sinuoso, anche con toccamenti lascivi, quando la poteva ammirare in deshabillé, ai quali la ragazza rispondeva arrossendo turbata.Luana cadde nelle braccia della suocera nel più banale dei modi, quando lei si presentò con una confezione contenente un paio di tanga color rosso vivo: provali dai che voglio vedere come ti stanno addosso, no, non così, togliti tutto anche il reggiseno, brava!Le guardò il folto cespuglio scuro deglutendo, come ebbe indossato il tanga la fece distendere bocconi su letto e con voce roca, carezzandole i glutei, sospirò: lo farai ammattire mio figlio, te lo mette anche didietro? Così dicendo le aveva rimosso dal solco l’esile fettuccina, le dita raggiunsero il conturbante forellino, trovandolo rigido e resistente al tatto, Luana era rimasta in silenzio passivamente, ansimando con la bocca incollata alle lenzuola, la suocera le forzò l’anello esclamando: ma allora quello scemo di mio figlio non te l’ha ancora messo nel culo, come si fa a lasciare intonso un così splendido dono!La bocca si sostituì al dito e Luana si aggrappò alle lenzuola scossa da quella dirompente trivella, che le stava facendo perdere il lume della ragione, la sentì trafficare nella borsa ed un attimo dopo le piantò un vibratore in culo, passando a devastare con la lingua la fonte del piacere, che sgorgava rivoli di linfa vitale, senza più alcun freno.A Luana fu quindi facile capire ciò che voleva Amedeo quando abbassò il sedere di Elisa, lei umettò il pertugio prima di infilare la lingua, che si inserì veemente cercando di spianare la strada al randello dell’uomo, che poco dopo artigliò i fianchi della donna sodomizzandola e costringendola a sollevare la bocca dal triangolo nero della cameriera, per gridare disperatamente, sotto gli esiti dirompenti di quella dolorosa penetrazione. Piero era proprio una formidabile puttanella, quel giorno indossò non uno ma diversi vestiti della madre, sfilando elegantemente anche con scarpe dal tacco a spillo: la lingerie nera, un appena accennato tratto di rossetto sulle labbra, ed un leggero tocco di ombratura sugli occhi, lo facevano sembrare una giovane verginella dai seni non ancora sbocciati.Nei giorni a seguire Luana si dimostrò molto di più della troia libidinosa che Amedeo aveva intravisto, guardandola in faccia al suo arrivo alla villa, anzi sotto la sua regia ella si scatenò assecondandolo ancor più del richiesto, soprattutto quando lui impose un cambio di ruoli, in cui madre e figlio da padroni divennero servi: vennero umiliati e puniti per un nonnulla, concedendo anche alla cameriera di assumere una posizione dominante nei loro confronti.Mentre il figlio era crollato subito, adeguandosi alle nuove imposizioni di quello che aveva solo per poco creduto essere il suo principe azzurro, Elisa cercò di opporre una più tenace resistenza per sottrarsi a quella sconcertante antinomia, che la costringeva a muoversi per casa con addosso un ridotto grembiule nero da cameriera, che a mala pena le copriva lo splendente corpo nudo, abbellito da delle calze bianche autoreggenti e da un minuscolo tanga dello stesso colore, raggrinzito entro la vulva, ove sollecitava le grandi labbra durante la deambulazione, inumidendole.Quel mattino le era stato imposto di servire ai bordi della piscina, prima il caffè e poi una serie innumerevole di bevande, facendo la spola con il vassoio in mano, vestita nei termini testè descritti e con un paio di sandali con il tacco a spillo, che ne pregiudicavano la stabilità attraverso il giardino; ogni volta che giungeva a destinazione, dopo incredibili equilibrismi, si sorbiva anche a capo chino i rimbrotti di Amedeo, a cui non andava mai bene nulla, in ciò coadiuvato da Luana, nella quale serpeggiava una straripante voglia di rivalsa, che si estendeva anche nei confronti del figlio, malgrado fosse sempre stata trattata con garbo e rispetto da loro.La vista di Piero che in quel momento era costretto a leccare il culo proteso di Luana, accovacciata sopra un lettino prendisole, tenendole i glutei spalancati con entrambe le mani, per meglio rovistare i meandri oscuri che si celavano dietro quel foro increspato e scosso da violente contrazioni, mentre Amedeo si godeva il pompino che la cameriera gli stava facendo prona sul suo cazzo, fece sbottare Elisa in una convulsa reazione, nel tentativo di far cessare quella specie di prigionia loro imposta, che li stava conducendo verso una pericolosa acquiescenza.Basta, basta, non ne posso più, gridò istericamente con il volto bagnato dalle lacrime: come una ragazzina stizzita e capricciosa, buttò a terra il vassoio con bibite e bicchieri, mandando il tutto in frantumi, accompagnando l’azione con tambureggianti nervosi battiti di tacchi sul ciottolato adiacente la piscina.Sotto gli sguardi attoniti di Luana e Piero, venne agguantata da Amedeo che la trascinò sul prato, probabilmente si era già pentita dello sfogo quando un primo potente ceffone la mandò a gambe all’aria: con quale permesso ti sei ribellata al tuo Padrone, schiava!Gli occhi di Elisa esprimevano la cieca paura che le stava soffocando in gola ogni parola, mentre un’altra serie di sberle la facevano rotolare scompostamente sull’erba: perdonami, perdonami Padrone, non succederà mai più, riuscì finalmente a biascicare terrorizzata, liberando una incontenibile pioggia dorata, al pari di una bambina svegliata di soprassalto da un violento temporale.Amedeo guardò tronfio la donna accucciata a terra, si fece succhiare una ad una le dita dei piedi, facendola poi risalire con la lingua lungo le gambe pelose; con il solo uso delle labbra la obbligò ad abbassare il costume, prima di imboccare il vessillo duro, che si librò possente non appena fuoriuscì da quel luogo di costrizione: fu lei a dover ingurgitare la torrenziale scarica di sborra che scaturì copiosa, dopo una ficcante scopata in bocca, trattenendole bloccata la testa tra le mani.Come ulteriore punizione ordinò a Luana di preparare un clistere, che le venne somministrato in posizione accucciata, a quattro zampe sul prato; l’umiliazione e lo sconforto di Elisa si limitò alle calde lacrime che le solcavano il viso, avendo ella perso ogni residua forza per opporsi alla volontà del Padrone: con la cannula piantata nel culo lui le gonfiò l’intestino mentre Luana, con gli occhi gonfi di lussuria le sfregava la vulva con il taglio di una mano, obbligandola anche a succhiare il pisello del figlio disteso sull’erba davanti a lei, che osservava stralunato la scena, attratto morbosamente dal sadismo che sua madre era costretta a subire.Un fetore si propagò durante lo svuotamento della povera Elisa, che per tale motivo fu ulteriormente percossa sulle natiche, intanto l’asta vibrante di Amedeo aveva ripreso vigore e con un sordo brontolamento si introdusse inesorabile entro quel culo aperto: fiondate decise e sistematiche condussero il pene negli anfratti più reconditi, facendola traballare sull’erba, scossa da bordate alle quali ella rispondeva alzando il tono dei lamenti; Luana si avventò su di lei ficcandosi il volto nel grembo, ottenendo dalla lingua guizzante di Elisa il giusto compenso, che la condusse verso un orgasmo straripante.Amedeo si era ricordato di un locale per pochi intimi, ai confini della Toscana, condotto da Anna, una dark lady ventinovenne, che si faceva chiamare Dominia: era un ritrovo per palati raffinati, riuscì ad ottenere una prenotazione solo dopo qualche giorno, e colà si recò puntualmente con Elisa ed il di lei figlio, rigorosamente vestito con eleganti abiti femminili; in una austera sala dell’antico maniero si teneva il rito di una cena particolare, che la padrona di casa gestiva sempre in modo diverso, con fervida fantasia, concedendo struggenti delizie e madide sofferenze, in una serata difficile da dimenticare.Ben arrivato mio caro amico, questa immagino sia l’incestuosa compagnia di cui mi accennavi, disse Dominia accogliendoli nella penombra dell’androne, facendo strada verso la stanza preparata per loro, rischiarata dalla tremula luce delle candele.Alta e fiera vestita di pelle nera, ella aveva un portamento da vera dominatrice, con stivali fin sopra le ginocchia, uno stretto corpetto che esaltava le prosperose mammelle, ed una gonna corta ed attillata che lasciava scoperta un’abbondante porzione di cosce: la pronuncia morbida, segnata da un’appena accennata erre moscia, il tono arrochito tipico di una fumatrice incallita, un pizzico di mascolinità e lo sguardo severo che filtrava dai suoi occhi scuri come il color della notte, accentuava nelle persone un senso di timore, che si impadronì anche di Elisa e del figlio.La cena si svolse in un silenzio quasi spettrale, a tavola serviva un giovane ventenne dalla pelle nera e dal corpo scultoreo, coperto solo da una leggera tunica bianca, che ne esaltava gli atletici muscoli e la caduca protuberanza, grossa e molle, che sbatteva sul morbido tessuto di lino, sballottata libera da ritenzioni: la pelle lucida era cosparsa di un particolare unguento che attenuava il pungente afrore della sua epidermide.Le abbondanti libagioni, succulente ed afrodisiache, unite allo champagne che il negro continuava a mescere, ridussero la stagnante tensione che incombeva su Elisa ed il figlio, esaltandone l’aspetto euforico; come in un palcoscenico si accesero a fondo stanza un paio di riflettori, che illuminarono una alcova il cui letto era finemente coperto da delle lenzuola azzurro chiaro, dalla parte buia della stanza apparve Nimori, una diciottenne giapponese dalla lunga criniera nera, avvolta in un kimono: si inchinò a mani giunte onorando gli ospiti nel più classico dei saluti orientali.Ad un cenno della Padrona il negro si portò verso di lei sfilandole il kimono che copriva il suo esile corpo nudo: la pelle color della luna irradiò la stanza, consentendo di rimirare le piccole coppe appena pronunciate ed il folto triangolo nero che ricamava il pube, lo scarno viso impiastricciato da uno spesso strato di cipria, le donava un senso di illusorio, rimarcato dal colore rosso vivo con cui le labbra sottili erano state disegnate con il rossetto.Il negro si tolse la tunica liberando alla vista anche il suo corpo color ebano, che si contrapponeva cromaticamente a quello della giapponese, la quale venne spinta verso il letto, ove salì in ginocchio e rimase in attesa con il busto eretto, e con i minuscoli seni spinti fuori dalla postura della mani che aveva intrecciato dietro la nuca, come se si aspettasse un qualcosa, che comparve d’incanto nelle mani del ragazzo di colore.Pareva una scolaretta in attesa di essere punita, ora lui la fronteggiava impugnando una specie di corto frustino con molte e brevi lacinie: Elisa portò istintivamente la mano alla bocca quando il negro cominciò ad usare il frustino, con morbidi colpi mirati al torace ed alle cosce della schiava orientale, in ciò affrancandosi dall’assillante retaggio ancestrale, che ne offuscava la mente ogni qual volta una frusta sibilava nell’aria.L’iniziale emozionata partecipazione visiva di Elisa si trasformò in incontenibile eccitazione, che faticò a celare a Dominia seduta al suo fianco, la quale ne osservava le convulse contrazioni, nel momento in cui, con sommo stupore, si accorse che la schiava, lungi dal sottrarsi a quella punizione, manteneva la sua posizione ed anzi, pareva offrire i seni all’impatto del diabolico strumento; la salivazione si asciugò nella bocca di Elisa quando l’orientale con moto naturalissimo, evidentemente obbedendo ad un ordine sussurrato dal negro, che si era sfumato alla percezione data la lontananza dall’alcova, si lasciò andare supina sulle lenzuola, offrendo al suo aguzzino le più segrete e soffici intimità.Dopo aver infierito sull’inguine rorido con colpi che Elisa credette di subire lei stessa, uno ad uno, il negro si dedicò ai capezzoli irti di Nimori, abbandonando sul letto il piccolo scudiscio; le prendeva i bottocincini eretti e le sollevava i seni tirando la schiava a sé per poi rilasciarla, non appena lui lasciava la presa ella ricadeva all’indietro, venendo subito ripresa in eguale maniera.Per un numero impressionante di volte questo fatigante supplizio fu ripetuto, sempre uguale e sempre diverso, sempre più doloroso e sempre più lungo, all’apparenza sempre meno sopportabile: nel volto della schiava la primitiva sicurezza che si univa ad un piacere antico, frutto di giovanili esperienze nel lontano oriente, si era affievolita, l’effluvio di umori che accompagnava quel cerebrale godimento stava scemando, lasciando il posto a contenute smorfie di dolore.Non una parola usciva comunque dalla sue labbra, ma solo qualche fugace gemito che conteneva invocazioni implicite, per limitare i gesti di quel servo che si atteneva alle disposizioni della Padrona, usando il di lei corpo per trasmettere piacere anche agli ospiti che li stavano osservando: il randello del negro si era teso allo spasmo, in un impeto di incontrollata libidine, seppur non autorizzato, lo poggiò sulle vivaci labbra rosse della giapponese, che lo ospitò al suo interno scendendo con la bocca gonfia fino alla radice, Dominia però non concesse più di quattro profonde suzioni, bloccandoli con voce perentoria.Vai sei tu il terzo incomodo, mio carissimo ospite, la schiava è tua, disse rivolta ad Amedeo, che si sollevò dalla sedia scambiandosi di posizione con il negro il quale, a capo chino, e con l’uccello svettante, tinto di rosso, si riportò nei pressi della Padrona: sei stato bravo, ma mai più devi permetterti di andare oltre ai compiti assegnati, sai che è ben altra la sferza che uso per punirti!Questo è il compenso per te questa sera, soggiunse indicando Piero, che venne preso per mano dal negro e condotto in un’altra stanza, sotto lo sguardo dimesso della madre, che nulla riuscì a proferire essendo in totale balia di Dominia, le cui mani da qualche istante si erano impadronite della sua straripante eccitazione, infilandosi autoritarie sotto il vestito per raggiungere la fonte che secerneva umori senza soluzione di continuità.Amedeo aveva raggiunto la giapponese che era rimasta boccheggiante e scomposta sul letto, si denudò in fretta beandosi della vista della sua candida pelle, a tratti striata dalla frusta, con forza serrò tra le mani le caviglie della giovane per sollevarne le gambe dinoccolate, indi le spalancò violentandola brutalmente: la fichina stretta si dilatò spasmodicamente per ricevere al suo interno quella veemente sciabola, le cui fendenti stoccate riuscirono solo ad inumidirle gli occhi scuri, senza che nemmeno un velato lamento sortisse dalla sua bocca intinta di rossetto, tanto era la servile propensione a donare il suo corpo, a cui era stata istruita fin da ragazzina.Elisa restò accasciata sulla sedia, accecata dalla visione del folle sadismo con cui Amedeo traeva piacere senza ripagare la giovane orientale, sconquassata com’era dalla furia di quel devastante amplesso, di cui anche lei ne conosceva i risvolto; intanto i tentacoli avidi di Dominia le strappavano intensi sospiri voluttuosi nell’esplorazione dei suoi intimi rossi segreti, le membra si afflosciarono stanche preludendo l’orgasmo ormai vicino, la bocca della Padrona si avvicinò alla sua umettandola prima di morderla con sofisticata libidine: schiava, questa notte ti insegnerò a perseguire la sublimazione attraverso il sapore languido e struggente della fustigazione, dovrai esibire il tuo corpo esponendolo fin negli intimi nascondigli, voglio leggere nei tuoi occhi paura e sofferenza ma anche una straziata insistita richiesta di intaccare la tua pelle con ogni sorta di scudiscio.Sì, sì, Padrona mormorò flebilmente Elisa sarà la tua umile schiava, introducimi in questo segreto mondo, vedrai ne sarò degna!Trasferita nella stanza a specchi, fu Elisa a dover esibire i risvolti erotici della propria personalità, che si manifestarono immanenti, quale parte integrante della sua indole masochistica, immischiandosi con la paura di non riuscire ad essere all’altezza dell’impegno appena assunto; ad un cenno di Dominia si sfilò il vestito, rimanendo con la lingerie bianca che rendeva splendente quel corpo armonioso, si avvicinò alla Padrona seduta a fondo letto, come un ancella pronta al sacrificio: le abbassò le mutandine, lasciandole smosse e arrotolate sul cavallo, ed avvicinò il viso al monte di Venere per inalare gli umori vischiosi di cui le dita si erano impregnate.Elisa fece fatica a mantenere l’equilibrio, squassata dalle insinuanti penetrazioni della Padrona, che l’obbligava ad arcuare le cosce, a piegarsi o rivoltarsi, come si trattasse di un orpello che si vuol rimirare da vicino per scoprirne le sfaccettature più sofisticate; la bocca di Dominia accompagnava questa azione addentando i contorni della zona pubica, ove restavano marcate le tracce dentate del suo passaggio, nello stesso modo in cui il capo dominante di un branco segna il territorio di caccia, mentre Elisa esalava gemiti di incontrollata libidine.Dovette poi inginocchiarsi in mezzo alle gambe aperte della Padrona, leccando e baciando gli stivali neri che ricoprivano le sue gambe fin sopra le ginocchia, con mani tremanti Elisa alzò lentamente la gonna, rialzandola verso l’inguine nudo, che apparve glabro e maestoso, esponendo l’enorme fica color porpora entro la quale spiccava, estesa come un promontorio, la clitoride marmorea.Non parole ma solo sospiri aleggiarono nella stanza quando Elisa sguinzagliò la lingua entro quel canyon apparentemente arido e brullo, trovando ben presto la sorgente che le impastò il palato: non un attimo di tregua ridusse quella devota ed insistente azione, che ebbe naturale conclusione allorquando Dominia decise di passare al contrattacco.Le applicò al collo un vero e proprio collare munito di un grande anello di lucido acciaio, dal quale si staccava il guinzaglio che infilò in un gancio che scendeva dal soffitto: in ginocchio sul letto con il capo reclinato nell’unica postura che le concedeva quella costrizione, espose i seni nudi, gonfi ed eretti, tendendo le mani verso l’alto ove si aggrappò alla striscia di cuoio, in un illusorio tentativo di trovar stabilità per meglio assumere i colpi del frustino che la Padrona aveva già impugnato.Non un sibilo ma un fruscio accompagnò la prima sferzata, pungente e serica, che le scosse il petto, Elisa si immolò a quel piacere a volte suadente e perfido, a volte cocente e materico, seguendo nelle atteggiate movenze l’esempio fascinoso della ragazza orientale che ancora le scorreva davanti, riuscì anche a soffocare i prorompenti gemiti che nascevano spontanei risalendo dal petto, in ciò coadiuvata dalla mano esperta della Padrona, che sapeva condurre il nero vessillo che impugnava, a stuzzicare le morbide e spugnose cavità della vulva dischiusa o a ridosso dei capezzoli tesi allo spasimo, allo scopo di far tracimare l’onda reflua che giunse roboante, scendendo lungo le cosce ed inumidendo le mutandine ancora spiegazzate attorno al cavallo, a ridosso delle fulgenti calze bianche.In quel preciso istante capì quale fosse il suo destino: si vide legata e presa, torturata e felice di esserlo, disposta a tutto, anche ad annullarsi ed a lasciarsi andare nei più torbidi pensieri che le rimbombavano entro le tempie; la Padrona ne lesse i pensieri, assaporando la gioia di disporre di una nuova preda, la staccò dalla presa al soffitto e si fece spogliare, la mise supina con le mani dietro la nuca, sfilandole le mutandine e divaricando le gambe per offrirla in un nuovo cerimoniale.La Padrona si appropriò del corpo della schiava trattenendola per il guinzaglio, le mordicchiò i seni mentre con l’altra mano le frugava l’inguine torturandolo piacevolmente; di tanto in tanto ella smetteva tale operazione e passava e ripassava le code del frustino sulla rorida ed aperta orchidea, ma durò poco questo giuoco così tenero, istruito per costringerla ad una più stimolante voglia di donarsi senza alcun limite: Dominia si armò di un frusta più consistente e lunga, dopo alcune sferzate che si insinuarono puntuali entro le grandi labbra, le quali parevano voler trattenere racchiuso quell’elusorio oggetto di piacere, la mise prona e si accanì sulle esposte rotondità, offerte dalla vittima che sculettava torcendosi sopra le lenzuola.Dominia decise di por fine ai preamboli, estrasse da un cassettone un enorme fallo di lattice con cui si bardò il ventre, mentre la schiava ritornata supina, osservava ammagliata quel simulacro totemico che esaltava il fascino struggente che la Padrona emanava, in un tripudio di immagini sfaccettate che gli ampi specchi trasmettevano lucidamente: sullo sfondo delle nere lenzuola Elisa pareva una pallida stella marina sobbalzante sotto i colpi che ripresero a segnarle la pelle di rosse carezze, i suoi capelli biondi si agitarono spargendosi in larghe corone sul cuscino, a cui si aggrappava di tanto in tanto, come se volesse trovar sollievo alla perdurante dispotica eccitazione che la frusta riusciva a donarle.La Padrona prese due grandi cuscini e li pose sotto la schiena della schiava, quindi salì sul letto ed ancora una volta Elisa ebbe una visione riflessa dalle specchiere, lontana ma altrettanto vicina, non di uno ma di cento simboli priapei che le si facevano incontro, come se stessero per irrompere tutti assieme nel suo corpo; in questa atmosfera dal sapore irreale ma incredibilmente vera, Dominia decise di possederla: dopo averla domata e resa mansueta, dopo averla stremata e fiaccata, la prese d’un sol colpo, usandola accanitamente, deliziandosi dei rantoli di straziata libidine che la bocca della schiava emetteva.La mucosa gonfia ed umida di Elisa esplose come una scarica elettrica, si aprì fradicia e cremosa alle lusinghe di quel membro inanimato che le ottundeva i sensi, il bacino sussultò incessante ed ella si scosse finchè le ultime onde di piacere non furono passate ed ogni fibra acquietata: solo allora la Padrona si allungò sopra di lei mordendole le labbra, il collo ed il petto, con morsi lunghi e profondi, avidi ed insistenti.Con le mani raggomitolate dietro la schiena la schiava disperse l’intera salivazione, facendo scorrere la lingua in un tenero abbraccio dai capezzoli al simbolo fallico che continuava ad ergersi maestoso, infine lo scostò dalla dolce fessura a cui si incollò, scendendo anche a fendere il nebuloso orifizio, surrogando in modo diverso il piacere che la Padrona le aveva fatto scoprire.L’alba di un nuovo giorno si insinuò attraverso la foschia delle colline appenniniche, annunciando un nuovo giorno, caldo ed afoso, alla villa ove Luana giunse come al solito di primo mattino, alcuni rumori interruppero il silenzio dei suoi pensieri, ed ella salì di sopra verso le camere affacciandosi prima in quella di Elisa in cui ella dormiva assieme al figlio, come in una ritrovato abbraccio incestuoso: Amedeo stava scendendo con i propri bagagli, impegni di lavoro lo costringevano ad assentarsi.Mentre gli serviva la colazione Luana non resistette al piacere dell’addio, raccogliendo un’ultima volta entro le cavità orale il poderoso arnese, che si gonfiò imperioso sotto il morbido passaggio delle sue labbra carnose; la Porsche infilò roboante la striscia asfaltata delimitata dalle verdi colline, Luana ne osservò il rapido allontanamento seguendolo fin che divenne un punto nero ai limiti dell’orizzonte, un solo pensiero le solcava la mente: ci rivedremo presto, mio insaziabile amante e dispotico Padrone.
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