Non era una serata propriamente degna della tradizione salentina degli inverni miti. Aria fredda siberiana e aria umida atlantica pare si fossero date appuntamento nel Sud di Italia, con effetti quali un fastidioso nevischio e una freddo pungente. Il freddo, quando è mal sopportato, annulla i pensieri: forse per questo mi trovavo a pensare al niente più assoluto, percorrendo Vico Moricino. E’ molto bello il borgo antico di Brindisi, da quelle parti. Suggestivo ed evocativo, con un miscuglio di vicoletti che, improvvisamente, si aprono su piccole piazze o su pezzettini di mare. In effetti, proveniendo da piazza Cattedrale, avevo finito di percorrere vicolo Moricino e mi si apriva davanti piazza Santa Teresa. L’apertura del paesaggio stimolava in me sia l’osservazione sia i pensieri, prima bloccati. La piazza era decisamente bella, contornata da una chiesa barocca e con una bella balconata sul seno di Ponente. In realtà il seno di Ponente non era più molto attraente, occupato dall’arsenale della Marina Militare. Le querce diffuse davano all’insieme come un’aria di complice suspance, un po’ turbata dal monumento del ventennio in marmo bianco – ogni epoca ha i propri geni architettonici. Alzai gli occhi al cielo, solo per incontrare il tetto di querce che mi sovrastava, inalai a pieni polmoni: aria troppo pura, mi accesi una sigaretta. Poi pensai al perché mi trovavo in quel posto e a quell’ora e un brivido mi pervase. La passione e l’erotismo si incasellano nella categoria dei sentimenti umani legata al senso della contraddizione. Tutto ciò che sembra desiderabile fino ad un istante prima, diventa, per il solo fatto di essere desiderato, fonte di dubbio; Riconobbi che non era proprio il momento di fare il filosofo e mi misi a pensare a QUELL annuncio su di un sito amatoriale. Mi aveva colpito, inutile negarlo: so riconoscere, almeno con me stesso, quando i mille lacciuoli della passione mi avviluppano. Il percorso mentale dell’infatuazione non si era fermato, però, al solo lato estetico. Le due foto dell’annuncio presentavano un corpo di donna elegantemente inguainato in raffinate autoreggenti, dal seno rotondo e ben rilevato e con un meraviglioso fondoschiena. Non posso negare l’assoluta avvenenza della lei, ma cerco di non fermarmi mai alle apparenze, basta saper leggere. L’annuncio che accompagnava le due foto era parecchio ben scritto ed emergevano concetti a me molto congeniali, quali il reciproco rispetto, l’uso della lingerie, la malizia e la fantasia, la serietà. In una parola era richiesta l’intelligenza, motore primo, a mio personalissimo modo di vedere, di ogni situazione davvero trasgressiva. Ritenevo da sempre che una situazione intrigante fosse di molto superiore a qualsiasi cavalcata pluriorgasmica fatta senza passione e per il puro gusto di esercitare i propri sensi, vero atto di resa verso i rispettivi sessi… So che non molti aderiranno a questo mio pensiero, ma è difficile violentare la propria natura, in queste cose più che in altre. Il terzo gradino del mio personale metodo di selezione, che tanti successi mi aveva fatto avere (meno di zero), era legato alla risposta ad una mia mail di invito. Ci si stuzzica usando un mezzo freddo ed impersonale ed è ben difficile “arrivare” agli altri. Avevo scritto una mail senza pretese, cui mi era stato risposto con cortesia e molto calore: evento più unico che raro quando un singolo “osa” proporsi ad una coppia. Mi erano piaciuti, ma non sarebbe potuto essere altrimenti, visto che avevano scelto un nick che portava la fantasia al potere… E ora mi trovavo li, in leggero anticipo come in ogni occasione che si rispetti e con il cuore che pulsava come impazzito. Mi si avvicinò un ragazzo di una ventina d’anni scarsi che mi chiese una sigaretta. Annuii e gliela porsi, accendendola con mano malferma. Diedi un’agitata occhiata di sbieco all’orologio, timoroso che la danza delle lancette mi avrebbe rivelato un ritardo presago di un’assenza. Mi misi a sedere sulle scale della chiesa, curando di essere ben visibile come da accordi. Il tempo passò, senza esiti: stavo per andarmene quando un auto grigia (quell’auto!!!) comparve nella piazza, lenta e circospetta come le occhiate di cui la investivo, sperando di riconoscere qualche particolare. Erano loro, li salutai in fretta, accolto dal caldo abbraccio dell’auto. C’è modo e modo di fare ritardo: c’è quello peloso che ti giudica non meritorio di una scusa, neanche inventata. E c’è quello sincero, rispettoso come e più di quando si arriva una mezz’oretta prima dell’appuntamento. Il loro modo coincideva con la seconda categoria e mi sconvolgeva per delicatezza e intelligenza. “Scusaci, non siamo riusciti a liberarci prima…” “Non c’è problema” replicai, imbarazzato “Lei si è liberata dieci minuti fa dal lavoro e…” Lei, sia detto per inciso, era il mio archetipo di bellezza. Una cascata di voluttuose onde nere mi celavano parte del suo splendido ovale, ma quello che percepivo era sublime, meglio che se l’avessi vista a trenta centimetri dal mio naso in una giornata di pieno sole. Labbra piene, di corallo, schermavano pudiche, le perle dei denti. Il naso era sottile e conferiva armonia ad un insieme di rara avvenenza. Ma la cosa che più mi colpì erano gli occhi di puro smeraldo che risaltavano modesti e acuti. Non potei evitare alla mia parte meno nobile di fare un attraente patchwork tra quel viso splendido, le mani di seta e le fotografie che la ritraevano come incantevole, sofisticato oggetto-soggetto del mio desiderio. Era vestita con rara cura e ricercatezza, indossando una gonna voluttuosa (sotto cui sognavo le gambe degne di Prassitele che avevo molte volte sognato in foto) e una semplice camiciola con una profonda scollatura. Inutile dire che il mio occhio di lince riuscì a scoprire l’emersione di un voluttuoso pizzo dalla scollatura, forse era il profumo della notte a giocarmi questi brutti scherzi… Ero perso anche nel suo profumo, note agrumate si mescolavano a sentori di passione. Con tracce di fragranze che stentavo a riconoscere perfettamente, da quella distanza Rinvenni solo quando il marito, quasi apostrofandomi per quegli istanti di sogno, mi disse: “Ci sei? Sei tra noi? Sei connesso?” Lo scoppio di risate fu simultaneo e sincero. “Scusatemi, ero perso nella scia della tua meravigliosa signora” “Posso capirlo, visto che ci vivo accanto da una ventina d’anni… ma io debbo sapere in che direzione andare” Stavamo infatti costeggiando il castello Aragonese, sede della Marina Militare da anni, e di li a poco si apriva un bivio in cui scegliere se andare verso il centro o proseguire oltre, fuori dalla città… Decidemmo di andare leggermente fuori città, corteggiandola un po’ come la tangente fa con il cerchio. Eravamo soli nella notte, con la realtà esterna che scorreva accelerata come in un vecchio film con qualche fotogramma saltato e senza sonoro. A mano a mano che la macchina si faceva largo nel buio, la conversazione diventava più interessante, intima e maliziosa al contempo: gli argomenti non mancavano e ci lanciavamo frementi frecciatine, a rendere quasi palpabile l’aria di serena eccitazione che stava prendendo il sopravvento su tutti. Finché io non chiesi… FINALE 1 “Potrei guidare io, mi distende e voi potreste essere più comodi sul sedile di dietro: che ne pensate?” La domanda arrivò come un catino di acqua su di una superficie deserta, spaccata dal sole: in genere si osserva un bollore profondo, che viene da dentro. Un po’ come le contrastanti emozioni che suscitò la mia apparentemente innocente domanda. “Ma tu riesci a…” “Ho la patente da circa 20 anni, penso proprio di essere in grado” dissi, cercando di fermare la comprensibile domanda, cristallizzandola sul discorso tecnico della guida e non sui risvolti passionali della cosa. So stare al posto mio, risposi con sicurezza mentale e il mantenere la risposta su di un altro piano fu apprezzato più di una risposta esplicita. Ci fermammo in una piazzola in aperta campagna, con la città che baluginava vicina, tingendo il cielo sopra di sé di infinite variazioni di tramonto: invisibile, al di là degli alberi, eppure vicina e rassicurante. Invertimmo i posti e mi accomodai al volante, partendo piano. La situazione era irreale, stavo portando a spasso una magnifica coppia, conversando amabilmente del più e del meno: direzionai in modo opportuno lo specchietto retrovisore, disinteressandomi degli infrequenti veicoli che ci stavano alle calcagna nel vento di ulivi in cui ci facevamo strada. Mentre la conversazione viveva i suoi alti e bassi non potevo non notare, dalla mia posizione di privilegiato voyeur, alcuni furtivi movimenti nelle retrovie. Il marito aveva accostato le gambe a quelle della moglie in uno strofinio che poco aveva di casuale: lei dal canto suo, faceva risalire la gonna in modo nervoso, regalandomi spicchi di paradisiaca, pura bellezza. Intuivo la presenza di calze scure sulle gambe scultoree, speravo fossero autoreggenti. Le mani di lui si muovevano sul ginocchio nervoso, donandole carezzevoli sensazioni, mentre la conversazione verteva, stancamente, sulla situazione internazionale. Cambiai itinerario, con l’occhio sempre incollato allo specchietto. Ci inoltrammo nella parte periferica della città, popolata di scarsissime persone, per giunta inconsapevoli di quanto stesse accadendo nell’auto. La gonna era ormai un simulacro di se stessa, giaceva arrotolata sui fianchi della donna, mentre il marito, persa progressivamente l’inibizione iniziale, risaliva a piena coscia con le sue mani. Non mi ero sbagliato, si trattava di autoreggenti velatissime, scure come la notte rischiarata a stento dai malandati lampioni della periferia brindisina. Anche la camicetta mostrava segni di cedimento, rivelando due consistenti boccioli di Paradiso inguainati in un reggiseno di pizzo nero, che molto concedeva alla mia galoppante fantasia. I boccioli ormai occhieggiavano, semiscoperti e apertamente baloccati dalle mani esperte del marito che si trovava nel proprio territorio. Il fatto che qualche raro, inconsapevole passante potesse fugacemente cogliere parte dei movimenti, in quell’orgia voyeuristica, aggiungeva ulteriore carica, se mai ce ne fosse stato bisogno, all’atmosfera intrigante. Senza una parola, con una mossa che sorprese tutti (probabilmente anche se stessa), la donna, si sfilò le mutandine, in completo con l’inutile reggiseno, con un veloce colpo d’anca, alzando le ginocchia. La velocità del gesto mi colpì, testimoniando come essa fosse anche più coinvolta nella fantasia, dei due uomini. Mi ritrovai a guardare la situazione dall’esterno, fuori dalla macchina, in un delirio di sfrenato erotismo: quello che immaginavo dall’esterno si accoppiava a quanto vedevo realmente dall’interno in un patchwork a mosaico fatto di appagante e soddisfatta bellezza femminile. Uscii nuovamente dall’abitato, in concomitanza con le sempre più sonore invocazioni della moglie, soffocate dalle labbra del marito, ormai violata nel suo giardino più intimo. L’atteggiamento prima goduriosamente passivo aveva lasciato il passo ad un eccitante coprotagonismo: sguainata la spada del marito, ormai profondamente conficcato nelle sue latebre del piacere, la moglie prima la accarezzo amorevole, quindi le si avventò con il calore della sua bocca. Nella macchina, che si inguainava di nuovo nel freddo potente e complice della campagna, si erano sparsi profumi indelicatamente testimoni dell’erotica lotta in atto. Dallo specchietto guardavo il tutto, sfiorandomi vestito, convinto del carattere di assoluto privilegio della mia posizione. La donna, ormai riversa sul fianco destro, nascondeva il membro del marito sotto la cascata di ondoso nero, mentre il marito, riverso sul poggiatesta, gli occhi fessurati dal piacere, le violava in modi sempre meno delicati tutte le intimità. La situazione arrivò ad un delicato, violento culmine che soddisfece tutti, aggiungendo un rumoroso sonoro alla musica di sottofondo e quasi sovrapponendosi ad esso. Il marito sbarrò completamente gli occhi, irrigidito dal profondo, caldo piacere mentre la moglie, dopo qualche istante, trovò il suo secondo, sconquassante piacere saltando come una molla, troppo a lunga compressa, sul sedile. Stemmo per qualche secondo senza fiatare, fumando sigarette immaginarie e osservandone le volute perdersi, misteriose, nel vuoto della notte. Entrando nel paese si ricomposero e mi accompagnarono a casa. Uscendo dalla macchina salutai con piacere la meraviglia dalle onde nere e il suo cortesissimo marito, reimmergendomi nella realtà con un sentimento di sensuale e piacevole vaghezza, come quando ci si sveglia da un bel sogno. Era stato solo il primo episodio, ne eravamo consci tutti e tre, di quella che si preannunciava come una maliziosa amicizia… FINALE 2 “Potrei farti un piccolo massaggio, sono molto bravo… e poi la posizione concilia” La domanda arrivò come un catino di acqua su di una superficie deserta, spaccata dal sole: in genere si osserva un bollore profondo, che viene da dentro. Un po’ come le contrastanti emozioni che suscitò la mia apparentemente innocente domanda. “Vorresti davvero?” mi fece lei, sorprendendomi con il tono possibilista. “Certo, sarebbe un piacere e un grande onore” replicai. La risposta arrivò muta e sensuale sotto forma di un leggero riassestamento sul sedile, mentre le sue spalle si centravano, per minimizzare l’ostacolo del poggiatesta, e si offrivano al tocco delle mie mani, maliziosamente semiscoperte. Per guadagnare campo d’azione, anche io fui costretto a venire incontro al sedile, così guadagnando la fragranza delle sue onde corvine, che sapevano di un delicato abbraccio di frangipane e gelsomino, in cui mi immersi. Il tocco delle sue spalle calde con le mie mani ancora fredde fu delizioso per entrambi, fonte di nervoso brivido per lei e di sensazioni piacevolmente sfumate per me. La sua pelle aveva i delicati rintocchi di una calda campana di seta e gli intensi colori di una spiaggia ai primi raggi di sole. Onde evitare che i capelli mi fossero d’intralcio, se li raccolse alla nuca con la mano sinistra, in un modo pudico e, insieme, sensuale. Anche il marito, che di sottecchi spiava le nostre mosse, gradiva moltissimo l’accenno di calda intimità che si andava creando. Con il passar del tempo feci scivolare lascivamente prima una spallina poi l’altra, sospirando per la delizia, raggiungibile dalla mia vista, che si offriva tenera e procace. Una delizia che ebbi modo di raggiungere, mano a mano meno parzialmente, sempre avendo cura di non spingermi più in là del dovuto e, soprattutto, del voluto; abituandomi a cogliere i segni più impercettibili, i suoi ritrarsi come i suoi offrirsi. Dopo un tempo che mi pareva sempre troppo breve, data l’armoniosa fusione che si stava creando, il guidatore disse: “Ragazzi, non mi sembra i caso di continuare così scomodi…” Punti di domanda si disegnarono sui nostri volti. “Nel senso che dietro, magari, stareste più comodi e a vostro agio…” continuò calcando forse più del dovuto sulla parola “agio”. La moglie lo guardò negli occhi e vi lesse completa approvazione. Si rassettò Ci fermammo in una piazzola in aperta campagna, con la città che baluginava vicina, tingendo il cielo sopra di sé di infinite variazioni di tramonto: invisibile, al di là degli alberi, eppure vicina e rassicurante. Invertimmo i posti e mi accomodai al fianco della dea, mentre la macchina partiva piano. La situazione era irreale, ero in macchina con una splendida coppia, conversando amabilmente del più e del meno e con il marito che direzionava in modo opportuno lo specchietto retrovisore, disinteressandosi degli infrequenti veicoli che ci stavano alle calcagna nel vento di ulivi in cui ci facevamo strada. Mentre la conversazione viveva i suoi alti e bassi non potevo non portare avanti, con il benestare occhieggiante del marito voyeur, le mie furtive manovre nelle retrovie. A onor del vero, il cambio dei posti aveva allontanato l’intimità creatasi durante il massaggio; intimità che avrei dovuto riconquistare con cautela. Avevo accostato le gambe a quelle della moglie in uno strofinio che sempre meno aveva di casuale: lei dal canto suo, faceva risalire la gonna in modo nervoso, regalandomi spicchi di paradisiaca, pura bellezza. Intuivo la presenza di calze scure sulle gambe scultoree, speravo fossero autoreggenti. Le mie mani si muovevano timide sul ginocchio nervoso, donandole carezzevoli sensazioni, mentre la conversazione verteva, stancamente, sulla situazione internazionale. Il marito cambiò itinerario, con l’occhio sempre incollato allo specchietto. Ci inoltrammo nella parte periferica della città, popolata di scarsissime persone, per giunta inconsapevoli di quanto stesse accadendo nell’auto. La gonna era ormai un simulacro di se stessa, giaceva arrotolata sui fianchi della donna, mentre io, persa progressivamente l’inibizione iniziale, risalivo a piena coscia con le mani, come alla ricerca delle fonti di un fiume di inesplorata bellezza. Il contatto senza asperità con la seta delle sue gambe mi rendeva incapace anche solo di sognare qualcosa di migliore e più piacevole. Non mi ero sbagliato, si trattava di autoreggenti velatissime, scure come la notte rischiarata a stento dai malandati lampioni della periferia brindisina. Anche la camicetta mostrava segni di cedimento, rivelando due consistenti boccioli di Paradiso inguainati in un reggiseno di pizzo nero, che molto concedeva alla mia galoppante fantasia. I boccioli ormai occhieggiavano, semiscoperti e apertamente baloccati dalle mie mani, serie in questo cauto tentativo di espugnare il territorio proprio del marito. Il fatto che qualche raro, inconsapevole passante potesse fugacemente cogliere parte dei movimenti, in quell’orgia voyeuristica, aggiungeva ulteriore carica, se mai ce ne fosse stato bisogno, all’atmosfera intrigante. Senza una parola, con una mossa che sorprese tutti (probabilmente anche se stessa), la donna, si sfilò le mutandine, in completo con l’inutile reggiseno, con un veloce colpo d’anca, alzando le ginocchia. La velocità del gesto mi colpì, testimoniando come essa fosse anche più coinvolta nella fantasia, dei due uomini. Mi ritrovai a guardare la situazione dall’esterno, fuori dalla macchina, in un delirio di sfrenato erotismo: quello che immaginavo dall’esterno si accoppiava a quanto vedevo e toccavo realmente dall’interno in un patchwork a mosaico fatto di appagante e soddisfatta bellezza femminile. Il marito uscì nuovamente dall’abitato, in concomitanza con le sempre più sonore invocazioni della moglie, soffocate dalle labbra del marito, ormai violata nel suo giardino più intimo. L’atteggiamento prima goduriosamente passivo aveva lasciato il passo ad un eccitante coprotagonismo: sguainata la mia spada, ormai profondamente conficcato nelle sue latebre del piacere, la moglie prima la accarezzo amorevole, quindi le si avventò con il calore della sua bocca. Nella macchina, che si inguainava di nuovo nel freddo potente e complice della campagna, si erano sparsi profumi indelicatamente testimoni dell’erotica lotta in atto. Dallo specchietto il marito guardava il tutto, sfiorandosi vestito, convinto del carattere di assoluto privilegio della sua posizione. La donna, ormai riversa sul fianco destro, nascondeva il mio membro sotto la cascata di ondoso nero, mentre io, riverso sul poggiatesta, gli occhi fessurati dal piacere, le violavo in modi sempre meno delicati tutte le intimità. La situazione arrivò ad un delicato, violento culmine che soddisfece tutti, aggiungendo un rumoroso sonoro alla musica di sottofondo e quasi sovrapponendosi ad esso. Sbarrai completamente gli occhi, irrigidito dal profondo, caldo piacere mentre la moglie, dopo qualche istante, trovò il suo secondo, sconquassante piacere saltando come una molla troppo a lunga compressa sul sedile. Stemmo per qualche secondo senza fiatare, fumando sigarette immaginarie e pensando al vuoto della notte. Entrando nel paese ci ricomponemmo e mi accompagnarono a casa. Era stato solo il primo episodio di quella che si preannunciava come una maliziosa amicizia… POST SCRIPTUM Inviare idee, commenti od altro (tanto i vegetali indirizzati all’autore non ci passano) presso ulyssede68@hotmail.com oppure ulisse68@yahoo.com
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