Dall’età di undici anni, quando ho avuto la mia prima eiaculazione, i miei testicoli producono quotidianamente una quantità enorme di sperma, e se non mi tiro almeno due o tre seghe al giorno per svuotarli, mi si gonfiano e cominciano a dolermi. Il mese scorso mi presi una brutta influenza che mi costrinse a letto con la febbre alta per parecchi giorni. Quando finalmente un mattino mi risvegliai completamente sfebbrato, mi ritrovai con un altro guaio. In tutto quel periodo non mi ero mai svuotato le palle e adesso mi dolevano da urlare. Infilata una mano nei calzoni del pigiama provai a tastarle delicatamente e le sentii gonfie da scoppiare e dure come pietre. Provai ad alzarmi per andare al bagno ma il dolore mi fece lanciare terribile. Mia madre, che era in cucina, corse spaventata in camera mia. – Cosa c’è pulcino, ti senti male? Nonostante io abbia già diciannove anni mi tratta ancora come un pupo. – Ma no, mamma, non è niente. – Allora perché hai urlato come una bestia ferita. – Ho un dolore molto forte. – Dove ti duole, caro? – Lascia perdere, mamma. – Non puoi dirmelo? E’ forse un segreto di stato? A volte mia madre è una vera rompicoglioni. – Ho male e basta – risposi seccamente. In quell’istante mi prese una fitta alle palle da togliere il fiato e urlai nuovamente. – Allora, si può sapere cos’hai? Devo chiamare il medico? – Se proprio lo vuoi sapere – le dissi – mi dolgono i testicoli. – E perché non me lo potevi dire? – Perché è imbarazzante parlare con la propria madre di certi argomenti. – Capisco. Bè, comunque fammi vedere. – Tu sei matta. – Non fare lo scemo. Sono tua madre, ti ho visto nudo e ti ho fatto il bagno per anni. – Adesso è diverso. Adesso sono un uomo. – Ma io rimango tua madre. Forza, scosta le lenzuola e abbassati i calzoni del pigiama che diamo un’occhiata. Mia madre ha fatto per anni l’infermiera in un grande ospedale e a volte ne sa più lei di tanti professori. – Non ci penso neppure – le risposi piccato, ma un’altra fitta lancinante mi prese a tradimento e mi consigliò di fare come diceva lei. Così, imbarazzato come non mai, scostai lenzuola e coperte e mi abbassai i calzoni del pigiama fino alle ginocchia. Dopo tanti giorni di letto il pisello, solitamente gagliardo e di dimensioni ragguardevoli, era praticamente inesistente, moscio e piccolissimo, ma i testicoli facevano davvero spavento tanto erano grossi. – Li hai sempre così grossi? – mi domandò osservandoli con occhio professionale. – No. Sono grossi, ma non così. – Fammeli sentire. Scosta il pisello che voglio tastarli. – Mamma!! – Se non lo scosti tu, te lo scosto io. Capii che non c’era nulla da fare e, preso il mio pisellino con due dita, lo sollevai per permetterle di tastarmi le palle. Come le sfiorò con due dita lanciai un urlo. – Sono gonfi da scoppiare e duri come pietre. Ci credo che urli. Bisogna fare qualcosa. Ci penso io. Cerca di arrivare fino al bagno. – Cosa vuoi farmi? – le domandai preoccupato. – Nono fare il fifone. Ti ho detto che ci penso io. Quando, dolorosamente e faticosamente raggiunsi il bagno, la vidi che stava versando dei sali nel bidet che aveva riempito di acqua tiepida. – Siedi qui e tienili a bagno per almeno un quarto d’ora. Questi sali sono favolosi, vedrai che dopo starai meglio. A poco provai effettivamente un miglioramento e sentii, da un certo piacevole formicolio, che i coglioni mi si stavano ammorbidendo. – Come va? – mi chiese quando tornò in bagno. – Molto meglio, grazie. – Fammi sentire. Con assoluta naturalezza si accovacciò davanti al bidet e, infilata una mano nell’acqua, prese a tastarmi le palle incurante delle mie proteste. – Sono sempre molto gonfi – disse mentre ne tastava con delicatezza la consistenza – però non sono più duri come prima. Certo che sono proprio enormi, sembrano due uova. Ci vorrebbe un bel massaggio per farli ammorbidire per bene. E soprattutto bisognerebbe svuotarli. – Mamma! – protestai – ma cosa stai dicendo! – Sto dicendo che li dentro c’è tanta di quella roba che se non li svuoti tra poco avrai di nuovo dolore. Nel frattempo non aveva smesso di praticarmi un leggerissimo massaggio che, oltre a darmi bel sollievo dal dolore, si stava rivelando parecchio piacevole, tanto che mi accorsi con terrore che il mio pisello, fino ad allora completamente rattrappito, stava riprendendo vita. Oddio, pensai, non mi diventerà mica duro davanti ala mamma. Come faccio? Devo mandarla via. Le dissi di andarsene, che stavo meglio, ma lei, inesorabile, non ne volle sapere. – Certo che stai meglio – mi disse – ma se adesso ti mollo così, tra mezz’ora siamo punto e da capo. Rilassati e lascia che ti finisca il massaggio. – Il fatto è….. – farfugliai – il fatto è….. ma non sapevo come continuare. – Il fatto è – mi aiuto lei – che ti sta diventando duro. Lo vedo da me. Ma non ti preoccupare. Ne ho già visti, cosa credi, di arnesi come il tuo!!! E scoppiò a ridere. Mi sentii avvampare di vergogna, ma siccome sapevo che aveva ragione la lasciai fare. A mano a mano che il suo massaggio si faceva più intenso sentivo il dolore sparire e, al suo posto, sentivo crescere in me il piacere. Avevo tenuto gli occhi chiusi per qualche minuto e quando li riaprii vidi che il mio uccello era ormai diventato durissimo e puntava la testa ancora incappucciata verso l’alto. – Mi dispiace, mamma, ma non è colpa mia – le sussurrai con vergogna. – Non ti preoccupare, piccolo, non c’è nulla di cui vergognarsi. E’ una cosa naturale che ti venga duro. Certo – aggiunse – che ce l’hai bello grosso – e scoppiò a ridere facendomi nuovamente avvampare il volto di vergogna. – Sei proprio scemo – mi disse con tenerezza – ricordati che con la propria mamma non ci si deve vergognare di nulla. Anzi, sai cosa ti dico, che adesso te le svuoto io queste due palle così gonfie e piene di roba. Avrei voluto protestare ma a quelle parole il mio uccello diede un guizzo che suonò a mia madre come un’autorizzazione a procedere. Così, senza aggiungere altre parole, la sua mano destra abbandonò le mie palle, ormai sufficientemente ammorbidite, e agguantò saldamente l’asta, dura come un bastone. Fatta scorrere la pelle mi scoprì la cappella, che era già bella gonfia e umida di umori. Seduto sul bidet, a gambe larghe, con mia madre accovacciata davanti a me, mi feci tirare la più bella sega della mia vita. Era brava, accidenti se era brava!! Sapeva come menarmelo praticando la giusta pressione con la mano e andando al giusto ritmo. Con la mano sinistra intanto riprese a massaggiarmi le palle e, successivamente, sentii un suo dito titillarmi il buco del culo. – Ti piace? – mi chiese. – Da morire – le risposi – mi stai facendo godere. – Sono contenta, voglio farti godere tanto e farti scaricare per bene. Se vuoi mi apro la vestaglia così puoi guardarmi le minne. – Si, ti prego. – Aprimela tu, così non mi interrompo. Quando le aprii la vestaglia e scoprii le sue grosse poppe fui li li per venire. – Le posso toccare? – Certo che puoi. – Le posso anche leccare? – Puoi fare tutto quello che vuoi. – Guarda che se te le lecco io sborro. – E’ quello che desidero, caro, che tu ti scarichi il più possibile. – Oddio, mamma, cosa stiamo facendo? Ero spaventato da quello stava succedendo. Mai, prima di allora avevo neppure immaginato di vivere quell’esperienza. La mamma ed io eravamo sempre stati molto riservati e, sebbene io mi sia sempre ammazzato di seghe pensando al suo corpo pieno e appetitoso, non le avevo mai fatto intuire quanto mi piacesse e mi facesse impazzire di desiderio. E adesso era lì, con la vestaglia aperta, che mi offriva le sue grosse poppe da ciucciare mentre con una mano mi segava il cazzo e con l’altra mi solleticava deliziosamente il buco del culo. – Non sta succedendo nulla, piccolo, stai tranquillo, pensa solo a godere. Adesso la tua mamma ti fa svuotare questi bei coglioni. Dio come sono pieni! Devi averci tanta di quella roba li dentro che non so pensare alla sborrata che stai per farti. A quelle parole mi tuffai col viso nel suo seno e cominciai a leccare come un forsennato. – Bravo, bambino mio, leccamele tutte, così, bravo. Ti piace vero?. Lo sento dal tuo bel pisellone che da dei guizzi da fare spavento, sembra un serpente. E guarda la testa, guarda com’è grossa e gonfia, e che bordi spessi e rialzati. Per me tra poco tu butti, lo sento. – Fammi vedere come sborri, dai. Fammi vedere cosa fare questo tuo bel pisellone. Ti piacerebbe farmela addosso e sporcarmi tutta. – Oh si, mammina, mi piacerebbe tanto, me lo lasceresti fare davvero? – Ma certo, aspetta che mi metto in posizione. Avvertimi quando sei pronto, che la voglio prendere tutta. – Io sono pronto, mamma. – Lo vedo, lo vedo, guarda come sta colando il tuo cazzo. Stai perdendo un sacco di bava. Sembra un rubinetto mal chiuso. Non ho mai visto perdere tanta bava prima di una sborrata. Ti succede sempre? – Si, mammina, sempre. Affondato tra le sue poppe non capivo più niente. Sentivo solo il desiderio, una libidine mai provata prima, risalirmi dai lombi e percorrere tutto il mio essere. D’improvviso fui scosso da un brivido violentissimo e sentii tutti i muscoli irrigidirsi mentre dal cazzo mi partiva un fiotto di bava biancastra e lattiginosa. – Ci sono, mamma, ci sono – ragliai come un asino – mettiti in posizione. Mentre lei s’inginocchiava a terra e reclinava leggermente la testa all’indietro in modo da offrirmisi il meglio possibile, io mi rialzai di scatto dal bidet ed impugnai la mazza sgocciolante di ava e mi preparai a colpirla. Con la testa del cazzo ad una distanza di circa quaranta centimetri dal suo bel viso mi diedi gli ultimi colpi e, finalmente, potei scaricarmi. Sapevo che dopo tutti quei giorni di astinenza avrei prodotto una sborrata molto abbondante, ma quello che vidi uscire dal buchetto spaventosamente dilatato del mio cazzo ed investire mia madre andava ben al di là di qualsiasi previsione. Una volta, da ragazzino, mentre ero in campagna da un amico, avevo visto il suo stalliere far sborrare un cavallo che era troppo nervoso per essere cavalcato. La cosa mi rimase impressa per le dimensioni della verga dell’animale e per la quantità di sborra che lo stalliere gli fece uscire. Quella bestia, nitrendo e scalciando pericolosamente, lanciò da quella specie di idrante che teneva sotto la pancia un fiume di sborra bianca e spessa in lunghi schizzi che andavano a spiaccicarsi a terra mentre lo stalliere, evidentemente abituato a quel genere di manovre, gli strofinava la cappella che si era dilatata in maniera spaventosa ed era diventata larga e grossa come un piatto. Ebbene, potrà sembrare incredibile, ma quel giorno io lanciai addosso a mia madre tanta di quella sborra che quel cavallo non avrebbe potuto fare di meglio. Impugnando la mazza come un tubo dell’acqua dirigevo gli schizzi dritti sul suo viso mentre lei, incredula di tanta potenza, annaspava ma non si ritraeva permettendomi di colpirla come meglio mi piaceva. E io schizzavo e schizzavo, lanciandole addosso fiotti spessi e cremosi che le colavano dappertutto e lei se li prendeva tutti senza ribellarsi. Quando dopo almeno una dozzina di bordate credette che mi fossi completamente scaricato e fece per ritrarsi, la bloccai. – Ferma lì – le ingiunsi – non ti muovere che ce n’è ancora. Sentivo che ne avevo ancora e mi feci più sotto, col cazzo a pochi centimetri dal suo viso. Mi diedi qualche altro colpo di sega e ben presto ripresi a buttare fuori altra sborra che le scaricai tutta in faccia. Non fu una sborata abbondante come la precedente ma godetti forse ancora di più. Quando finalmente mi accasciai nuovamente sul bidet la mamma era ridotta uno schifo. La faccia era una maschera bianca, i capelli completamente imbrattati, le grosse puppe ricoperte di crema bianca e lungo il solco scorreva un rivoletto di sborra che le colava sulla ancia e sulle cosce. Nel bagno c’era sborra dappertutto, sui muri, per terra, sullo specchio, contro la porta. Dopo qualche secondo silenzio si ripulì gli occhi col dorso della mano. – Mioddio, che sborrata!! – esclamò finalmente – non ho mai visto niente di simile, e neppure immaginavo che un uomo da solo potesse buttare fuori tanta roba, e con tanta violenza. Quando mi schizzavi in faccia il tuo desiderio sembrava che tu mi stessi schiaffeggiando. – Che sborrata!! – ripetè più volte ripulendosi alla meglio con un asciugamano. Non ho mai visto tanta potenza di cazzo!! Poi, inaspettatamente, si sfilò le mutandine e sedette sul water. – Scusami, piccolo, ma ho bisogno di sfogarmi anch’io. Se non mi tiro subito un ditale impazzisco. Spompato da quella gigantesca venuta assistei sbigottito al ditale che mia madre, a gambe divaricate, si tirava mostrandomi il suo figone nero e succoso. Dovette tirarsene due in fila per sfogarsi e quando si rialzò dal water io avevo di nuovo l’uccello duro. Più del suo corpo, che sicuramente mi tirava, mi aveva arrapato la sua espressione, da grandissima maiala, mentre si tirava quei dtali – Hai di nuovo bisogno di svuotarti? – mi domandò mantenendo quell’espressione da porca. – Credo proprio di si. – Ti ha dato fastidio vedere tua madre che si tirava un ditale? – Due ditali, la corressi. – Ti ha dato fastidio? – No, anzi, mi ha infoiato. – Sono ancora piena di foia anch’io. Tra poco, però, arriva tuo padre. Non vorrei che ci trovasse così, sarebbe imbarazzante spiegargli che è stato solo per motivi terapeutici. – Avresti voglia, prima che arrivi il babbo, di tirami un altro raspone? Sento di averne ancora bisogno. – Ma certo, piccolo mio, mettiti comodo che mamma ti fa fare un’altra bella sborrata. Anzi sai cosa facamo, andiamo in camera tua, così se arriva il babbo non ci trova nel bagno insieme. Prima, però, fammi fare una doccia, altrimenti mi sente addosso l’odore del tuo sperma. Con tutto quello che mi hai scaricato dovrò usare il bagno schiuma profumato per farlo andare via. Vai, aspettami di là. La vidi arrivare dopo poco completamente vestita e con degli stracci in mano. – Questi servono per ripulire. Se butti di nuovo come prima sporchi dappertutto. Ti avviso che questa volta non potrai più venirmi addosso, potrei non avere il tempo di sistemarmi prima che arrivi tuo padre. Ti dispiace? – Un pochino. Mi è piaciuto tanto sporcarti tutta. Eri così bella con la mia sborra in faccia! – Sei un bel maiale – mi apostrofò – dire queste cose a tua madre – e scoppiò a ridere. Mi fece sistemare sul letto, mi sfilò i calzoni del pigiama e sedette al mio fianco. Facendo scorrere la pelle mi scappellò l’uccello, duro come il marmo. – Ha una bellissima testa – disse – proprio di quelle che piacciono a me, grossa e larga, coi bordi spessi e rialzati. Anche tuo padre ce l’ha così. Quando prese a lisciarmelo le infilai una mano tra le cosce e, visto che non protestava, arrivai fino alle mutandine, che scostai con due dita. La peluria era setosa e le labbra della figa, che carezzai delicatamente con i polpastrelli, morbide e calde. Al contatto con la mia mano divaricò le cosce per permettermi di toccarla meglio e sentii che si stava bagnando. Sentii anche che le labbra su stavano schiudendo e ci infilai due dita. Lei diede un mugolio di piacere e la sua mano strinse più forte la mia asta. Poi con le dita piene di saliva, mi strofinò la cappella facendomi godere come un maiale, e passandomi i polpastrelli insalivati sui bordi rialzati mi fece quasi venire. Sentii che si stava bagnando sempre di più e quando presi a titillarle il clitoride mi disse di sfilarle le mutandine. Con la mano tra le sue cosce calde e sugose mi feci tirare un magnifico raspone e quando sentii che stavo per venire l’avvertii. – Ci siamo, mamma, la sento salire. – Me ne sono accorta, guarda come stai colando. E’ impressionante la bava che perdi. Sembra che tu stia già sborrando. Forza, piccolo, fammi vedere un’altra bella sborrata. – Dove la faccio, mamma – Dove vuoi, ma non addosso a me, mi dispiace. – Guarda che sporco dappertutto, sento che me ne verrà di nuovo fuori un sacco. – Non ti preoccupare, poi la mamma pulisce. – Me lo faresti un piacere? – Certo. – Ti metteresti un attimo alla pecorina sul letto? – Scusa? – Non voglio farti nulla, stai tranquilla. Vorrei solo ammirarti il culo. Tu non sai quante seghe mi sono sparato pensando al tuo culo. Ti guardo un attimo e poi sborro. Ti prometto che non ti sfioro neppure con un dito. – Va bene, caro, farò come mi chiedi. Inginocchiatasi sul mio leto, mi permise di sollevarle la sottana sulla schiena e, dato che non aveva le mutandine che le avevo già sfilato prima, mi mostro il suo culo in tutto il suo splendore. Era bianco, grosso, sodo e tondo come una luna piena col buchetto liscio, piccolo e rosato. – Ti piace? – mi dmandò. – Da morire. – Cosa vorresti fargli? – Vorrei leccarlo tutto, affondare il viso tra le chiappe e leccare anche il buchetto. – Non ti piacerebbe rompermelo? – Oh, si, da morire. Vorrei piantarci la mia mazza e pomparlo fino a sentiti urlare. – Piacerebbe anche a me, sai, ma non possiamo farlo. Sono tua madre. – Fammelo baciare, mamma, ti prego, solo un bacetto. – D’accordo, solo qualche bacetto però. Poi torni qua e ti finisco. – Va bene , mammina. Solo una volta in vita mia, quando mi regalarono il motorino, mi sentii così felice. Inginocchiato dietro di lei avvicinai le labbra a quelle belle chiappone; erano calde e morbide e dopo averle baciate più volte azzardai una leccatina. Mia madre non protestò allora mi feci più audace e presi a leccargliele con foga. Mi accorsi che stava divaricando le gambe mostrandomi in tutto il suo splendore il buchetto rosato. Mi sentii autorizzato a carezzarglielo e lei divaricò ancor più le cosce e protese il culo verso l’alto per offrirmelo meglio. Quando affondai il viso tra le sue chiappe carnose e presi a leccare quel buchetto di sogno sentii che non ce la facevo più a tenermi. Venni così, con la faccia sprofondata nel suo culo, spandendo fiumi di sborra dappertutto. – Stai sborrando, ti sento, bravo, fatti una bella sborrata. Leccami il culo e sborra, così, bravo. Mentre lanciavo i miei terribili schizzi in giro per la stanza mi accorsi che si stava sditalinando furiosamente premendomi il culo contro la faccia perché glielo leccassi sempre più profondamente. Godemmo insieme e finimmo appena in tempo prima di sentire la voce del babbo che entrava in casa. Riuscimmo a ricomporci per tempo e, da allora, non vedo l’ora di ammalarmi nuovamente.
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