Il mattino dopo l’avventura in metropolitana mi svegliai presto. Avevo camminato a lungo quella notte, godendo della situazione. Dora, mia moglie, lontana da casa. Elisabetta, la giovane schiava, pronta a realizzare tutti i miei desideri. Ed Egidio, il precedente padrone di Elisabetta, che aveva accettato di passarmi un mensile pur di evitare lo scandalo. Mentre facevo la doccia cominciai a ricordare il sogno di quella notte. Mi trovavo nella casa di Elisabetta e i suoi genitori si sottomettevano a tutte le mie richieste. Il padre, noto avvocato di successo, assisteva passivamente mentre mi godevo sua moglie in modo perverso e violento. Non li conoscevo personalmente, ma me li immaginavo belli e felici. E l’idea di rovinare quella condizione di benessere e di abusare di una donna dell’alta società mi provocava uno stato di eccitazione incredibile. Mi masturbai gustandomi quelle fantasie. Ma l’orgasmo, questa volta, non attenuò minimamente il desiderio. Anzi, mi sentivo ancora di più attratto dall’idea di vivere una situazione così perversa. La mia mente viveva una condizione di onnipotenza e tutto mi sembrava possibile. Guidato dal mio lato oscuro, indossai una tenuta sportiva e, armato di macchina fotografica e relativo zoom, uscii di casa. Con l’auto mi recai nelle vicinanze della villetta della famiglia di Elisabetta. Mi avvicinai a piedi, percorrendo la via senza uscita che terminava nei pressi della casa. L’abitazione, isolata dalle altre, si trova a lato di una collinetta ed è circondata da un piccolo giardino protetto da una cancellata. Salii sulla collinetta e mi posizionai dietro alcuni cespugli. Impugnai la macchina fotografica. Dalla posizione in cui mi trovavo avevo piena visibilità dell’interno della casa. Erano quasi le otto del mattino e inquadrando l’ampia finestra della cucina potevo scorgere Elisabetta già vestita che faceva colazione. Accanto a lei vi erano un uomo sulla cinquantina, anch’egli vestito di tutto punto, e una donna di qualche anno più giovane, ancora in camicia da notte. Lui leggeva il giornale mentre lei stava parlando con la figlia. Era un dialogo vivace. Pur non potendo sentire le voci, si capiva che la madre era particolarmente agitata e che, occasionalmente, anche Elisabetta rispondeva con toni piuttosto accesi. Poi l’uomo si alzò e vidi le due donne zittirsi e ascoltare con attenzione. L’atteggiamento di lui era evidentemente autoritario. Muoveva la mano con l’indice alzato, come si fa per sgridare un bambino. Scattai alcune foto. Poi, udendo il rumore di un motore mi nascosi, per quanto possibile, dietro ai cespugli. Un camioncino scoperto che trasportava un piccolo trattore e degli attrezzi si fermò davanti alla villa. Un uomo sulla trentina, scese, si avvicinò e suonò al citofono. Portava un paio di pantaloni blu, sostenuti da un paio di bretelle di stoffa, e stivali verdi da giardino. Il petto, la schiena e le robuste braccia, erano completamente scoperte. Era peloso come una scimmia. Il padre di Elisabetta uscì sulla veranda davanti all’ingresso e disse, rivolgendosi all’interno della casa. – E’ il giardiniere. – Poi, si incamminò verso il cancello. Lo osservai con attenzione. Era vestito con eleganza. Alto e brizzolato. Molto diverso da come me l’ero immaginato in sogno. Salutò l’uomo. – Buongiorno, Alberto. – L’altro rispose, in un misto di italiano e dialetto. – Salve, signò. Songo venuto stamane, pecchè aggio viscto u tiempo ‘bbuono. – E l’avvocato, mentre apriva il cancello. – Avete fatto bene. E’ da un po’ che non vi fate vedere. Il giardino ha bisogno di una sistemata. Pensate di fare tutto oggi? – Il giardiniere spiegò. – Se riesco, sistemmo tutt’ecose. Sennò, finnisco domani. – E, dopo aver portato il camion all’interno del vialetto, cominciò a scaricare. A quel punto Elisabetta, uscita dalla casa, disse. – Papà, è ora di andare. Altrimenti faccio tardi in università. Mi accompagni tu, vero? – Il padre, salutato il giardiniere, rispose alla figlia. – Si, così continuiamo la discussione durante il viaggio. E senza che tua madre faccia altri danni. – E si avviarono verso il box. In quel momento la madre uscì sulla veranda gridando qualcosa per replicare al marito e, dimentica del suo abbigliamento, si espose agli sguardi del giardiniere. Lei, invece, non era molto diversa dal mio sogno. Indossava solo la camicia da notte e le mutandine. Le sue grosse tette e il suo culo erano molto visibili e veramente notevoli. Tutto sommato, solo le gambe, un po’ ingrossate, denotavano la sua vera età. Alberto, era rimasto a bocca aperta. Mentre stava percorrendo il tratto di vialetto verso il box, la donna si rese conto della presenza estranea e, rinunciando al suo intento, si girò di scatto su se stessa per tornare in casa. Il movimento, però, fece cadere una delle spalline della camicia da notte e una tetta rimase completamente scoperta. Realizzando l’accaduto, mentre cercava di sistemarsi, si girò verso l’omone per verificare se stesse guardandola. Per tutta risposta Alberto si stava massaggiando il pacco fissandola. Emise anche un fischio di approvazione mentre la donna richiudeva la porta. Elisabetta e suo padre, ignari di quanto accaduto, uscirono con l’auto e si allontanarono dalla casa. Nel frattempo il giardiniere aveva iniziato il suo lavoro. Era evidente che la vista della tetta della signora, aveva provocato in lui uno stato di forte eccitazione. Infatti, l’atteggiamento ossequioso manifestato nei confronti dell’avvocato era completamente mutato. Si mise a cantare a squarciagola. Le canzoni erano particolarmente volgari e contenevano espliciti apprezzamenti per la donna chiusa nella casa. Tra le foto scattate, ero riuscito a fotografare anche il momento “proibito”. Ma non mi bastava. Cercai di catturare anche qualche momento intimo della madre di Elisabetta. Pensavo, infatti, di riuscire a riprenderla mentre faceva la doccia o si vestiva. Indirizzai, così, l’obbiettivo verso le varie finestre della casa. Ma quello che vidi andò aldilà delle mie aspettative. La signora era in bagno, seduta sul water, con la camicia da notte arrotolata in vita e con la mano destra si accarezzava tra le gambe. Guardava, nascosta dalla tendina, in direzione del giardiniere che, intanto, continuava a cantare le sue volgarità. Con la mano sinistra salì ad abbassare la spallina e impugnò il seno liberato dal tessuto. Cominciò a stringersi il capezzolo tra le dita. Evidentemente, l’episodio accaduto poco prima le aveva sconvolto i sensi. Con lo zoom riuscivo a vedere le dita infilarsi nella figa e muoversi con sempre maggiore velocità. Sembrava, quasi, seguire il ritmo della voce di Alberto. Poi arrivò l’orgasmo. Fu evidente. Cominciò a vibrare con tutto il corpo mentre, probabilmente per non gridare, si mordeva il labbro. Avevo scattato foto per tutta la sequenza. Decisi all’istante. Non volevo aspettare di sviluppare il rullino. Scesi la collinetta dal lato opposto alla villa e percorsi la strada di accesso fino al cancello. Alberto, appena mi vide, smise di cantare, ma continuò il lavoro. Suonai il citofono. Rispose dopo qualche istante. – Chi è? – Spiegai. – Ho del materiale per l’avvocato. – E lei, di rimando. – Mio marito non c’è. Lo può trovare in ufficio. Oppure stasera, qui a casa, dopo le otto. – Non mi arresi. – E’ materiale che interessa anche a lei, signora – Si incuriosì. – Ma di cosa si tratta? – Ecco. Ormai era fatta. – E’ una cosa molto riservata. Ma mi basta poco tempo per spiegargliela. – Ci furono alcuni istanti di silenzio. Poi disse. – D’accordo, le apro. Venga. – Il cancello si aprì. Mentre mi avvicinavo alla veranda, il giardiniere mi guardò con diffidenza. Gli sorrisi. Si sentì il rumore di una serratura che si apriva e vidi l’uomo, che forse sperava in qualche altra sorpresa, volgersi di scatto verso l’ingresso. Quando arrivai vicino, la porta si aprì e apparve la madre di Elisabetta, che aveva indossato una pesante vestaglia. Da vicino era ancora più bella. Il viso, molto somigliante a quello della figlia, era impreziosito da piccole rughe che le donavano una notevole sensualità. Si teneva ben stretta la vestaglia e aveva i capelli lunghi e biondi, raccolti con un mollettone. Notai i piedi nudi, senza ciabatte, unica parte scoperta del corpo. Il mio uccello reagì pulsando. Mi fece entrare e, dopo aver gettato una rapida occhiata all’esterno, chiuse la porta a chiave. Ci sedemmo su due poltrone, che erano una di fronte all’altra. Iniziai. – Di cosa ha paura? – Si stupì. Mi chiese. – Perché? – Seguivo un copione preciso. L’avrei condotta dove volevo. Ma lentamente. Continuai. – Beh, ha chiuso la porta quasi di fretta. E, soprattutto, dopo aver guardato fuori in un modo che mi ha colpito. Non mi dirà che teme il suo giardiniere. E’ così? – Lei, stupita e sospettosa, cercò di abbandonare l’argomento. Disse. – Mi spieghi perché è qui e qual è il materiale di cui parlava al citofono. Ha detto che sarebbe interessato anche a me. E si sbrighi, perché non ho molto tempo. – Cercava di mostrarsi scortese. Di tenere le distanze. Dovevo farle capire subito che non poteva permetterselo. Dovevo spaventarla. Mi sporsi in avanti e, tenendo ben visibile la macchina fotografica, usai un tono deciso, duro, dandole del tu. All’improvviso – Guarda che non puoi trattarmi così. Intanto se voglio delle spiegazioni, me le devi dare. E poi il tuo giardiniere ha molto a che fare con il materiale di cui ti ho parlato. Vedi, ho delle foto che possono dimostrare che le sue volgarità ti hanno colpita profondamente.. – Si indignò. Ma la vibrazione della sua voce mi fece capire che mi temeva. – Ma come si permette? Cosa sta dicendo? Se ne vada subito da casa mia, o chiamo la polizia. – Mi riaccomodai e, pur continuando a darle del tu, usai un tono dolce, persuasivo. Raccontai. – Vedi, mia bella signora, questa mattina mi sono appostato qui fuori. E ho scattato delle foto interessanti. Ho l’immagine di quando ti mostri al tuo giardiniere, sia pure involontariamente. E di quando, poi, ti masturbi nel cesso pensando a lui. – Cominciò a cedere. All’istante. – Ma come è possibile? Chi è lei? E come fa a sapere che.. – Si interruppe. Ma io la incalzai. – Che cosa? Che ti piace l’idea che quel volgare omone brutto e sporco ti scopi come una bestia? Che sotto a questa parvenza da bella e brava signora si nasconde un troione di prima categoria? Che vorresti essere trattata come meriti? Dillo che sei una puttana e che ha voglia di cazzo, dillo! – Lei cercò di recuperare. – Ma lei è pazzo. Glielo già detto. Se ne vada. Guardi che telefono a mio marito! – Eravamo al dunque. Non volevo aspettare ancora. La provocai. – Allora facciamo così. Io esco da casa tua. Vado dal fotografo che c’è in centro. Lui sicuramente ti riconosce mentre sviluppa le foto. Poi porto le stampe in ufficio da tuo marito. E se non basta le porto anche in università da tua figlia. – Cominciò a piangere. Mi chiese. – Ma perché, perché? – La risposta era semplice. – Te l’ho detto. Perché sei una puttana vogliosa. Ed io sono qui per soddisfare i tuoi desideri. Ma adesso, smetti subito di piangere e dimmi la verità. E’ vero che ti sei masturbata pensando al bestione qui fuori? E’ vero che quando si è toccato il cazzo lo hai desiderato? Dillo. Dillo che tuo marito non ti dà quello che vuoi. Avanti! – Si asciugò le lacrime. Poi annuì e, tenendo il capo chino, disse. – Si, è vero. Io non so come tu faccia a sapere queste cose. Ma è stato un momento di debolezza. Non voglio darti altre spiegazioni né, tanto meno, cedere al tuo ricatto. Dammi quelle foto e vattene! – Erano le ultime resistenze. Sibilai. – Allora non hai capito. Tu non puoi dettare condizioni. Puoi solo scegliere tra lo scandalo e la possibilità di realizzare il tuo desiderio sessuale. Ti do un’ultima possibilità. Ma sappi che non ho nessuna pietà. Ho solo voglia di vederti godere mentre il bestione ti sbatte. Allora? – Stava cedendo. Si informò. – Se faccio quello che mi chiedi, riavrò le foto? – Le promisi. – Se farai tutto quello che voglio, riavrai il rullino. – Attesi per alcuni istanti. Poi mi chiese. – Cosa devo fare? – Era fatta. Adesso cominciava il bello. Il mio uccello si indurì fino a farmi male. Usando un tono deciso, le dissi. – Per cominciare, dovrai dimostrarmi che sei veramente convinta. A cosa pensavi mentre ti masturbavi? – Sentii la sua voce, tremante, dire. – Ripensavo a quando il giardiniere si è toccato mentre mi guardava. – La fermai. Le chiesi di usare un linguaggio più esplicito. Di liberarsi delle inibizioni e dei tabù. Doveva chiamare le cose con il loro nome. Rimase silenziosa per un po’. Poi disse. – Mi immaginavo l’affare del giardiniere… – Finsi di incazzarmi. Alzai la voce. – Adesso basta! Non sei un’educanda. Certamente conosci le parole cazzo, figa, culo, scopare e così via. Usale. Ma attenta: questa è la tua ultima possibilità. Altrimenti me ne vado dove sai. – Deglutì. Poi alzò gli occhi e mi fissò. Le sorrisi. Funzionò. Riprese. E, questa volta, superò il blocco. – Dopo aver visto che si toccava l’uccello da sopra la tuta, sono rientrata sconvolta. Sentivo molto caldo e mi sentivo bagnata tra le gambe. Ho dovuto toccarmi la figa, mi sembrava di impazzire. Ho desiderato che mi seguisse in casa. Volevo sentire quel suo grosso cazzo prima in bocca e poi nella figa. Sono venuta immaginando che mi stesse scopando sul tavolo della cucina. Ecco, sei contento? – Evitai di rispondere. Affondai i colpi. Le chiesi. – Ti piacerebbe realizzare questa fantasia? Ovviamente senza conseguenze. Se vuoi ti spiego come fare. – Rimase indecisa per un momento. La incalzai. – Pensaci. Anche se il bestione dovesse raccontare qualcosa, nessuno gli crederà. E’ il tipico sbruffone. E ricorda: se lo farai, ti restituirò il rullino. – Sapevo essere particolarmente convincente. E lei era allettata dall’idea di poter realizzare senza compromessi una simile fantasia. Si lasciò andare completamente. – Sono una puttana. Una grandissima puttana. Perché è vero. Non vedo l’ora di farmi scopare da quel bestione là fuori. Voglio il suo cazzo! – Finalmente. Le ordinai. – Alzati e togliti subito quella stupida vestaglia. – Obbedì. Rimase in piedi, davanti a me, lasciando cadere a terra la vestaglia. Sotto indossava ancora la camicia da notte e le mutandine. Tirava su con il naso. Segno che aveva ancora qualche remora. Decisi di agire in fretta. La feci sedere di nuovo e le spiegai cosa doveva fare, dopo che io fossi uscito e avessi finto di andarmene. In realtà sarei rimasto appostato per verificare. Le davo solo pochi minuti per eseguire le mie istruzioni. Altrimenti, sarei andato in città a sviluppare le foto. Annuì. Uscii e, salutato con un cenno Alberto, mi allontanai dal cancello per poi risalire sulla collinetta. Per prima cosa, tolsi il primo rullino e ne inserii un secondo, nuovo. Poi, inquadrai la finestra del soggiorno. Con lo zoom vidi tutto molto chiaramente, nei minimi dettagli. Era ancora seduta sulla poltrona. Ad un tratto, iniziò ad eseguire le mie indicazioni. Intanto io scattavo, dosando le foto con attenzione. Si tolse le mutandine. Poi uscì, indossando soltanto la camicia da notte. Il giardiniere smise di lavorare e la seguì con lo sguardo, rimanendo a bocca aperta. La madre di Elisabetta percorse, senza mai degnare di uno sguardo Alberto, tutto il tragitto dalla veranda fino al box. Sembrava un’attrice consumata. Era a piedi nudi e camminava ondeggiando il bacino. Quando si piegò, per prendere da uno scaffale del garage alcune riviste, il giardiniere potè vedere chiaramente che la donna non indossava gli slip. Quando si girò per ritornare verso casa, con un gesto studiato ma che sembrò casuale, lasciò scivolare una spallina e scoprì un seno. Fece tutto il percorso lasciandosi guardare dall’uomo, che cominciò, sottovoce, a farle dei complimenti. Lei continuò ad ignorarlo. L’uomo, alterandosi, alzò la voce. Parlava in dialetto stretto, a me incomprensibile, e si tastava spingendo il bacino verso la donna. Quando lei, continuando a trascurare gesti e parole del bestione, rientrò in casa e chiuse la porta, lui disse con chiarezza una sola parola. – Troia! – Come d’accordo, lei si spostò in cucina, fingendo di preparare qualcosa. L’ampia vetrata permetteva ad Alberto di osservarla e di apprezzare i dettagli del suo corpo. Lei si piegava per aprire un cassetto basso e si scopriva completamente il culo. Oppure si accarezzava con noncuranza le tette, come se fosse un gesto abituale. Ma lo spettacolo raggiunse l’apice, quando si sedette sul tavolo e allargò lentamente le gambe. Leggeva una rivista e intanto si accarezzava la figa. L’uomo perse ogni ritegno. La bestia che era si era trattenuta fino a quel momento uscì allo scoperto. Dopo aver gettato un rapido sguardo attorno, corse verso la porta ed entrò in casa. Tornai a inquadrare con lo zoom la cucina. Purtroppo non potevo apprezzare il dialogo. Ma le immagini erano più che eloquenti. Quando Alberto raggiunse la madre di Elisabetta, lei era ancora sul tavolo e si stava masturbando con foga. Lui si trovava dietro di lei. Si tolse rapidamente gli stivali e slacciò le bretelle. Sotto era nudo. Lei continuò a dargli le spalle fingendo di non averlo sentito. Poi, recitando da professionista, si voltò e simulò uno spavento. Cercò di uscire dalla stanza ma il bestione la prese, la spinse contro i mobili e le strappò via la camicia da notte. Si allontanò un po’ e cominciò a masturbarsi guardandola. Le mani di lei si mossero cercando di proteggere le parti intime, ma lo sguardo tradì le sue emozioni. Sembrava ipnotizzata. L’uomo aveva un uccello di dimensioni notevoli e la madre di Elisabetta cominciò a passarsi la lingua sulle labbra seguendo i movimenti della mano di lui. A quel punto Alberto le si avvicinò nuovamente, le spinse le spalle per farla inginocchiare e appoggiò la cappella alla bocca di lei, che con la lingua iniziò timidamente ad assaggiare il grosso cazzo. Ma lui non era tipo da smancerie. Tenendola per i capelli, la costrinse ad ingoiare di botto buona parte del suo affare. Lei appoggiò le mani ai fianchi di lui cercando di opporre resistenza. Il peloso giardiniere le tirò con forza i capelli e cominciò a muoversi nella sua bocca, mentre lei si dibatteva. Poi ad un tratto smise di ribellarsi e, impugnando l’asta con entrambe le mani, si impegnò in un pompino da vera puttana. Vedevo le guance incavarsi per lo sforzo del risucchio. Poi, lo lasciava scorrere fuori dalle labbra e lavorandolo con le mani e con la lingua lo accoglieva nuovamente nella bocca. Ad ogni movimento lui spingeva con più forza, continuando a tirarla per i capelli. Dopo un po’ riuscì a far entrare completamente l’uccello nella bocca di lei. Le labbra carnose della donna circondarono la base del grosso cazzo. Aveva gli occhi stralunati per lo sforzo, ma non cedeva. Improvvisamente il bestione, posizionò le mani dietro alla nuca della donna e iniziò a fotterla in gola. Si muoveva con regolarità e, dopo ogni colpo, l’uccello scompariva completamente dentro alla bocca di lei, che stava godendo di quel trattamento masturbandosi la figa furiosamente. Le scaricò la prima sborrata direttamente nello stomaco, sempre costringendola con forza a contenere quel grosso affare. Vidi il corpo di lei vibrare per l’orgasmo mentre ingoiava lo sperma. Era una vera puttana. Il cazzo dell’uomo non ebbe neanche un piccolo cedimento. Infatti, senza perdere tempo, la prese di peso, la mise supina sul tavolo e la penetrò senza alcuna difficoltà. La pompava con violenza. Un ritmo costante. Sembrava inesauribile. Lei si aggrappò con le mani al tavolo e con le gambe cinse il corpo grasso e peloso dell’uomo. Lo incitava, ne assecondava i movimenti muovendo il bacino e, a tratti, ruotava il capo sbattendo i lunghi capelli biondi. Le mani dell’energumeno impugnarono con forza le tette di lei e, dopo alcuni colpi più veloci, si fermò. La bocca era spalancata. Stava godendo dentro di lei, che si alzò aggrappandosi al giardiniere ed ebbe un orgasmo che le fece vibrare, nuovamente, tutto il corpo. Poi, Alberto si sfilò. Mentre la madre di Elisabetta restò accoccolata sul pavimento della cucina, lui si rivestì di tutta fretta, uscì dalla casa, caricò l’attrezzatura sul camion e se ne andò. Sembrava scappasse. A quel punto, scesi dalla collinetta ed entrai nella casa. La trovai ancora così. Raccolta a terra. Sorrideva, con gli occhi chiusi. Le chiesi. – Ti è piaciuto? – Aprì gli occhi, mi guardò e mi rispose. – Si. Da impazzire. Grazie. – La aiutai ad alzarsi e le porsi la vestaglia che avevo raccolto in soggiorno. La indossò e con uno sguardo carico di sensualità mi domandò. – E adesso? – Appoggiai il primo rullino sul tavolo. Sul frigorifero c’era una tavoletta bianca a cui era appeso un pennarello rosso. Scrissi il mio numero di cellulare. Le dissi. – Non credo che, dopo questa esperienza, potrai tornare alla vita di prima. Grigia e piatta. Ti lascerò riflettere per qualche giorno. Poi ti cercherò. Però, se vuoi, puoi chiamarmi tu. Ricorda, ci sono tante altre possibili avventure da vivere. Basta volerlo. – La baciai sulla fronte e uscii dalla villa, senza attendere un’eventuale risposta. Salii in macchina a tornai a casa. Il cazzo mi faceva male, per quanto era duro. Non vedevo l’ora di farmi una sega rivivendo la scena di cui ero stato spettatore. Non avevo potuto farlo durante, per continuare a scattare le foto. Ma ero stato fortunato. Il rullino che avevo in macchina era l’arma che mi avrebbe permesso di realizzare le mie più turpi fantasie.
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