Quando ripresi finalmente il controllo di me per prima cosa dovetti cercare subito un fazzoletto con cui ripulirmi: un rigagnolo di sborra mi stava, infatti, colando dal buco del culo ormai del tutto sfondato. Ancora ricordo esattamente come accadde, anche perché, nell’isolamento dove sorge una miniera, si può perdere facilmente la nozione del tempo, ma non si può dimenticare l’emozione di essere scopato da un drago del sesso, reso ancor più infoiato dall’isolamento forzato. Già da un paio d’anni avevo preso il diploma d’infermiere. La vita in ospedale però non mi entusiasmava più di tanto. Chiesi ed ottenni di essere destinato a svolgere mansioni diverse, così venni spedito, come volontario, all’interno della miniera. Spesso, infatti, mi ero riproposto di dare una mano concreta laddove ce n’era bisogno. Finalmente avevo la possibilità di realizzare tutto questo. Al mio arrivo il capo dei minatori, un toro baffuto sui cinquanta vestito con una camicia a scacchi sbottonata in cima che fasciava una pancia piuttosto prominente e dalla quale usciva uno sbuffo di riccioli neri, con ai piedi un paio di grossolani stivali ed in testa l’immancabile elmetto, mi aveva accolto bruscamente. Dopo avermi squadrato da capo a piedi, mi disse, senza mezzi termini, che uno sbarbino come me in quel posto, non ci sarebbe rimasto per più di due o tre giorni, tanto erano dure le condizioni di lavoro. Poi mi mostrò l’infermeria, una piccola stanzetta nella quale però c’era tutta l’attrezzatura necessaria, con annessa un’altra stanzetta ancor più piccola dove avrei dimorato io. In effetti le condizioni di vita erano piuttosto dure. Sveglia all’alba e duro lavoro tutto il giorno. Continuamente arrivavano minatori con qualche piccola ferita, ma mai accadde nulla di speciale. Un pomeriggio invece si presentò un minatore per un infortunio ad un braccio. Era stato accompagnato e lasciato lì dai compagni che subito erano ritornati alle loro occupazioni. Il minatore aveva si e no 45 anni, non molto alto ma veramente possente, con folta peluria nera sparsa un po’ dovunque, specie sul torace villoso che, con mia grande gioia, potei esplorare, per scopi esclusivamente medici, dato che si dovette parzialmente denudare per essere curato. Aveva un brutta lacerazione sul braccio destro così chiesi e non ottenni che trascorresse la giornata in infermeria per tenerlo… sotto osservazione. Il capo dei minatori mi guardò un po’ storto: ebbi come la sensazione che mi avesse letto nel pensiero. Che avesse intuito il mio desiderio di farmi montare da quell’energumeno che mi girava intorno e con il quale non avevo combinato un bel niente? Dal mio arrivo in quel posto erano passati diversi giorni, a dispetto delle previsioni, e la mia voglia cresceva a dismisura. Puntualmente il minatore tornava per la cure mediche, e tutte le volte a fatica tenevo sotto controllo il mio istinto di saltargli addosso. La sola vista del collo taurino, del torace possente, coperto di peli scuri, il rigonfio del pacco mi conturbavano. Anche quella sera, come le precedenti, venne per rinnovare la medicazione. Si distese sul lettino e si denudò il torace. Notai che improvvisamente i capezzoli dell’omone si erano inturgiditi, forse per il freddo. Sembravano isole rosa in mezzo ad un oceano di peluria nera, tutta spanta su spalle, torace e pancia. Così d’istinto, mi venne di sfiorargliene uno, tanta era la smania che avevo addosso. Mi ritrassi subito e, arrossendo, incrociai il suo sguardo. Notai un guizzo nei suoi occhi e capii che aveva realizzato tutto e che non aspettava altro. Blocco la mia mano con stretta potente e decisa, dirigendola sul pacco seminascosto dalla tela dei calzoni: glieli sbottonai ed impugnai un cazzo di almeno 23 cm. di lunghezza, con un’enorme cappella già gonfia e pulsante che aspettava solo di essere avidamente succhiata. “E’ da quando ti ho visto che voglio farti la festa. E credo che qui, alla miniera, siamo in diversi, compreso il capo”. Poi mi mise una mano fra i capelli e mi spinse con delicatezza ma con fermezza la faccia verso il suo magnifico uccello. Era così grande che avevo qualche difficoltà, una volta entrato in bocca, a lavorarlo con la lingua, così cominciai a succhiarglielo, concentrandomi su quella stupenda cappella, ed a leccargli l’asta, giungendo fino ai coglioni tondi e sodi che riuscii, spalancando le mie fauci, a far entrare entrambi, con tutto il pelo ispido, dentro la mia cavità orale. L’omone trasalì, mugolando e con l’altra mano mi accarezzava dappertutto, fino a prendere il mio, più piccolo ma rispettabile cazzo. Poi cominciò a tormentare con il dito medio lo sfintere anale, che pulsava per l’emozione di spompinare un così stupendo arnese. Confesso che avevo paura perché il mio buchetto di rado era stato visitato da esemplari così grossi come quello che stavo succhiando. Poi, senza neppure domandarmelo, mi girò e mi fece mettere disteso sopra di lui, in modo da poter leccare bene l’entrata del mio culo, sempre più desideroso di essere tormentato da quell’energumeno mentre cercavo di far entrare il più possibile in gola l’uccellone. Poteva sentire lo sfintere che pulsava dal desiderio mentre la sua barba mi dava un po’ il solletico. Cominciai a sorridere, distraendomi un attimo dalla pompa che gli stavo facendo. Fu allora che mi disse: “Ora ti voglio sfondare, ma voglio guardarti in faccia mentre lo prendi, perché mi piace vedere un frocetto che gode col mio arnese in culo”. Mi girò mettendomi steso sul lettino, mentre lui in piedi, appoggiava le mie caviglie sulle sue spalle pelose. Si sputò in mano e si unse l’asta già bagnata della mia saliva. Quando la punta della cappella fu a contatto con l’entrata del culo stavo per dirgli che non avevo mai preso un cazzo così fuori misura ma non ne ebbi materialmente il tempo. Un dolore lancinante si diffuse in me, e stavo per cacciare un urlo quando, prontamente, estrasse la parte d’uccello che mi aveva infilato, se lo ribagnò nuovamente con la saliva ! e me lo riappoggiò di nuovo. “Chiudi gli occhi e rilassati” suggerì. Questa volta cercai di spalancare l’ano più che potevo perché fremevo dalla voglia di gemere sotto i colpi possenti dell’omone. Spinse forte ed entrò fino alla base dell’asta. La pelle del culo era tutta in tensione a causa di quel cazzo che sembrava dovermela lacerare in quel preciso momento. Dopo che fu entrato l’omone si fermò. “Aspetterò un po’ così finché il tuo culo si sarà abituato alle dimensioni dell’ospite, dopo pomperò fino a farti svenire, ma di piacere. Ti assicuro che non sarò più tanto delicato”. Non resistetti. Fui io ad iniziare le danze, dando dei piccoli colpi di reni che lo stimolarono e gli diedero il segnale d’avvio. Improvvisamente mi trovai a vivere magnifiche sensazioni. Il cazzo entrava violentemente nel mio culo in tutta la sua lunghezza e non ne usciva che lentamente, facendomi godere come mai. Sentivo il fuoco dentro di me, fiammate di passione che salivano dal bacino e si diffondevano in tutto il corpo. L’omone si divertiva a guardarmi godere, mi chiavava e mi diceva che ero un frocetto, una specie di cagna in calore, e voleva che glielo ripetessi. Mi accorsi che questo lo esaltava di più e cominciai ad assecondarlo. Desideravo eccitarlo all’estremo: volevo morire sotto i colpi micidiali di quel toro. Poi notai che si divertiva anche per un altro motivo. Il capo era entrato, forse attratto dal ritardo dell’omone e dai rumori provenienti dall’infermeria. Aveva chiuso a chiave la porta e si era messo ad osservare la scena, mentre si stava massaggiando il pacco. Aveva un bel cazzo, grosso quasi quanto quello dell’omone. Quando lo vidi, feci per ritirarmi ma lui mi disse: “Non preoccuparti, non c’è nessun problema se tu farai ciò che ti dico io”. Così, con mia grande soddisfazione, mi ritrovai a gestire due uccelli in contemporanea. L’attesa di vari giorni stava per essere ricompensata. L’omone mi inculava mentre il capo me lo aveva già spinto, senza troppi complimenti in bocca, giù fino all’esofago, nonostante le lacrime per i conati di vomito che reprimevo con fatica. Poi il capo volle provare una specie di 69 con me che, disteso su un fianco sul lettino lo spompinavo e ricevevo in culo, da tergo e con le gambe divaricate, il cazzo dell’omone. Non avevo mai provato niente d! i simile. Anche il capo mi spompinava, mi leccava le palle, poi riusciva a inumidire l’asta dell’omone che si muoveva spasmodicamente nel mio culo, fino a titillargli, con la punta della lingua i coglioni rigonfi. Il minatore, dopo quasi un quarto d’ora dentro il mio culo dolorante era prossimo a venire. Mi pompava con possenti spinte sempre più ravvicinate ed, ogni volta, sempre più in profondità. Quel cazzo mi stava sconquassando tutto quando sentii un rantolo rauco: era l’omone che mi stava venendo dentro, in fondo al culo. Io ero in estasi e cercavo di agevolarlo stringendo lo sfintere per farlo godere ancora di più quando, le parti si invertirono: mi ritrovai il cazzo del capo in culo e quello dell’omone, tutto grondante di sborra e sporco di merda in bocca. “Ora lo pulirai tutto”, ordinò. L’omone aveva preteso che gli nettassi il cazzo alla perfezione. L’altro invece esplorava parti così profonde del mio culo che di rado erano state visitate da un uccello e che ora si ! erano incredibilmente dilatate. Mai ero stato così umiliato e mai avevo goduto così profondamente: quei due leggevano perfettamente nei miei desideri più nascosti, realizzandoli. Mentre stavo leccando l’arnese dell’omone percepivo i colpi del capo, già entratomi dentro con molta facilità grazie al mio culo ormai molto ospitale: spingeva con un ritmo più veloce dell’altro ma ugualmente deciso. Sentivo il suo maschio odore di sudore, avvertivo la sua pancia e lo sfregamento dei suoi peli contro la mia schiena. Tutto questo mi eccitava incredibilmente. Essere pompato in quel modo mi dava ancora più foga e così completai la mia opera di pulizia del cazzo dell’omone che nel frattempo aveva cominciato a farmi una sega. Non ne potevo più di trattenermi, così gemendo venni, con copiosi fiotti, quasi subito al contatto con la ruvida e callosa mano del minatore. Imbrattai il braccio ed il torace dell’omone. Afferrandomi per i capelli mi costrinse a ripulirlo minuziosamente del mio stesso seme affondando la lingua nella folta peluria che avvolgeva quel corpo maschile. Nell’estasi sentii che anche il capo mi stava venendo dentro: si svuotò del tutto i coglioni e! mi allagò completamente il retto, tanto che, quando finalmente estrasse il suo cazzo, un rigagnolo di sborra cominciò ad uscire dal culo. “Adesso, frocetto, pulirai a dovere anche il mio” aggiunse il capo. Naturalmente acconsentii, così come avevo fatto con l’omone. Nel frattempo questi si era ripreso e già mi inculava nuovamente, questa volta a pecorina. Sentivo la sua pancia appoggiata sulle mie chiappe. Lo eccitava tanto il fatto di scopare un culo pieno di sperma e spingeva senza alcun freno, facendomi mugolare dal dolore e dal piacere insieme. Dopo i primi colpi poteva vedere rivoli di sborra che gli lucidavano l’asta e, per l’eccitazione, mentre spingeva mi sculacciava sulle natiche ed io, noncurante, andavo incontro alle sue spinte col mio culo, facendomi impalare in una sorta di saldatura immensa. Anche il cazzo del capo aveva ripreso vigore e ricominciai a spompinarglielo. Questa volta riuscìi a prenderglielo tutto. Il capo sembrò gradire molto e mi accarezzava la testa. Poi mi mise le sue mani sulle tempie e, immobilizzandomi, cominciò a muovere avanti il bacino per affondare l’asta il più possibile ! nell’esofago. Stavano per venire di nuovo. L’omone estrasse il suo cazzo dal mio culo arrossato e lo portò alla mia bocca in modo che, contemporaneamente mi trovassi a spompinare due cazzi gonfi, grossi e duri come il marmo. Se lo menarono e vennero uno dopo l’altro. Cercai di bere tutto il loro delizioso nettare, che colava anche sul mio mento, tanto ne avevano ancora i due dentro i coglioni, mentre le loro lingue si esploravano a vicenda. Poi mi lasciarono, ahimé, solo e col culo in fiamme. Avrei voluto continuare tutta la notte ma purtroppo, la mattina seguente, il capo mi disse, con sorriso beffardo, che di froci non ne volevano alla miniera e che aveva già disposto il mio trasferimento per la giornata stessa. Così, a malincuore, feci i miei bagagli e me ne andai, con un’andatura un po’ traballante perché il mio culo bruciava ancora ma già rimpiangeva la festa che gli avevano fatto la sera precedente. Quando ripresi finalmente il controllo di me per prima cosa dovetti cercare subito un fazzoletto con cui ripulirmi: un rigagnolo di sborra mi stava, infatti, colando dal buco del culo ormai del tutto sfondato.

