CAPITOLO V – UNA PUNIZIONE RIVELATRICEIn ogni caso la vita in casa Foisson non era certo sempre così piacevole per Jennifer. Il duro impegno dello studio non era nulla se raffrontato alle punizioni che doveva subire. Come Marie aveva previsto e auspicato, le continue battute ricevute avevano finito per ridurre in cattivo stato il posteriore della giovane. La donna si era così vista ‘costretta’ a variare modi e strumenti del supplizio. Già al termine della terza settimana infatti la tutrice, dopo avere a lungo contemplato i glutei della ragazza già pronti all’iniziale sculacciata, informò Jennifer che non sarebbe stato opportuno continuare con la consueta punizione. Ordinò quindi alla giovane di alzarsi e andò di persona a prendere un nuovo attrezzo dall’armadio. Tornò tenendo in mano un flagello costituito da una lunga impugnatura dalla quale si diramavano numerose strisce di cuoio sottile. Jennifer notò che ogni striscia aveva alcuni piccoli nodi che sicuramente servivano ad aumentare l’efficacia dello strumento. Marie ordinò alla ragazza, che in precedenza si era già privata di gonna e mutandine, di togliersi il maglioncino che stava indossando. Jennifer eseguì pur domandandosi cosa avesse in mente la donna e rimase davanti a quest’ultima con addosso la sola camicetta d’ordinanza. La tutrice posò il flagello sulla scrivania e le si avvicinò. Iniziò quindi a sbottonarle con calma la camicetta partendo però dai bottoni situati appena sotto i seni e scendendo verso il basso. Una volta che ebbe finito Marie prese a tirare con decisione i lembi della camicetta e sollevandoli, li annodò appena sotto la linea dei seni. La donna indietreggiò poi di alcuni passi per osservare il lavoro compiuto. Davvero eccellente! Il drappeggio lasciava completamente esposto al suo sguardo il ventre e il sesso della ragazza. Anche la schiena, al di sotto delle spalle era totalmente esposta. L’aspetto complessivo era, agli occhi di Marie, estremamente eccitante. Jennifer nonostante fosse visibilmente imbarazzata aveva disciplinatamente tenuto le braccia lungo i fianchi rinunciando ad ogni tentativo di coprirsi. Le braccia, spalle e seni erano ancora protetti dalla camicetta e ciò accresceva a dismisura la sensazione di nudità e vulnerabilità delle altre zone del corpo prive di qualsiasi difesa. Marie cercò di fissare nella mente ogni particolare del corpo della ragazza. Le gambe flessuose, il ventre piatto, il timido e delicato boschetto di peli castani che le ricopriva il pube. Erano tutte immagini che quella notte avrebbe lasciato libere di tormentarla piacevolmente fino a quando non avesse concesso alla sue agili dita di dare sollievo alla sua eccitazione. Ma era presto per questo. Adesso il suo appagamento sarebbe venuto direttamente dalle urla, dai gemiti e dalle contorsioni della sua vittima."Alza le braccia e incrocia le mani sopra la testa" ordinò la donna. "Bene così. Ora divarica un po’ le gambe."Jennifer eseguì. Schwapp! Il flagello iniziò a colpire, inaspettato, il ventre di Jennifer. I singoli colpi non erano dolorosi come quelli della canna ma la ragazza sapeva bene che anche colpi leggeri, se prolungati, potevano divenire insopportabili. Anche la schiena si aggiunse presto agli obiettivi dello strumento. Seguirono poi le cosce, questa volta colpite nella parte anteriore. Quando ciò accadeva le spire del flagello proseguivano poi ne varco tra gli arti della ragazza arrestandosi dolorosamente contro la delicata pelle all’interno dell’arto. Il peggio però doveva ancora venire. Ad un certo punto Marie cambiò l’angolo con cui portava i colpi contro le gambe della giovane, imprimendo allo strumento una traiettoria verticale, dal basso verso l’alto, anziché una orizzontale. Con la rapidità di un serpente le molte lingue del flagello si incunearono facilmente tra le gambe divaricate della loro sfortunata preda e si abbatterono sul suo sesso indifeso."Aaarghh!"Il grido di Jennifer non era di semplice dolore ma di puro terrore. Mai aveva immaginato che una punizione potesse essere rivolta anche contro la parte più intima del suo corpo. Certo durante le sessioni che aveva subito capitava che qualche colpo impreciso finisse per raggiungere quel bersaglio. Ma si trattava, almeno così aveva sempre pensato, di accidenti sfortunati, di dolorose casualità. Adesso era diverso. Non potevano esserci dubbi. Il colpo era stato deliberato. Non vi erano stati errori. La ragazza era talmente sconvolta da non rendersi conto che immediatamente dopo il colpo si era piegata in due, stringendo con ambo le mani la parte colpita e serrando le gambe. Quando si riebbe alzando lo sguardo vide la tutrice che la fissava con espressione crucciata."Mi scusi, Madame" iniziò. "Non pensavo che mi colpisse anche … voglio dire … mi ha preso di sorpresa.""Ti dispiacerebbe rimetterti in posizione invece di farfugliare scuse?" fu la risposta piccata. Jennifer infatti, come incapace di muoversi, era rimasta nella sua strana posa."Sì, Madame" rispose la giovane che nonostante ciò faticò non poco a riassumere la posizione eretta. Il flagello riprese a colpire il ventre e le cosce della ragazza. Jennifer sopportò stoicamente i colpi che le piovevano addosso in rapida successione. Quando però le lingue di cuoio tornarono ad attaccarle nuovamente il sesso, la giovane ripeté quanto fatto in precedenza."Jennifer! Non farmi perdere la pazienza! Sai benissimo che non devi muoverti se non vuoi peggiorare la tua situazione" esplose Marie.La tutrice era visibilmente contrariata. La ragazza, piangendo, si rimise ancora in posizione. Questa volta riuscì a sopportare alcuni dei crudeli colpi ma infine tornò piegarsi in due. Poi, resasi conto di ciò che aveva fatto, si gettò ai piedi della tutrice."La prego non ce la faccio! È più forte di me. Farò qualsiasi cosa, accetterò qualsiasi punizione ma per pietà non questa!" implorò quasi istericamente.Non era certamente la prima studentessa a rivolgere questa supplica all’infernale Madame Foisson. Generalmente Marie era lieta di sentire queste preghiere dopo un severo trattamento. Erano il segno della sua vittoria e le aprivano la strada per imporre nuovi e più crudeli supplizi. Questo caso era tuttavia diverso. Si sentiva delusa e avvilita. In un angolo della sua mente aveva osato sperare che questa pratica potesse stabilire tra lei e la sua pupilla una sorta di legame di sudditanza che assumesse anche un carattere erotico. Era evidente che ciò non era avvenuto. Sapeva che Jennifer cercava in ogni modo di resistere alla carezza dello strumento. Però non vi riusciva. Ogni ulteriore fallimento della ragazza era fonte di frustrazione anche per la sua carnefice. Così non si poteva andare avanti. Naturalmente poteva legare Jennifer e di continuare a batterla liberamente. Non le sembrava comunque opportuno. Usare il flagello sul sesso della ragazza era sicuramente troppo piacevole per rinunciarvi in modo definitivo e legare la vittima per costringerla a esporsi ai colpi poteva essere eccitante. Ma la donna era altresì consapevole di stare giocando una complessa partita a scacchi per la conquista del cuore e dello spirito della sua pupilla. C’erano altri fattori da tenere in considerazione che non l’appagamento immediato delle proprie voglie. Era assolutamente necessario che Jennifer sentisse di meritare tutto quello che le veniva inflitto. Il trauma che le avrebbe procurato costringendola con la forza a subire la punizione rischiava di far sentire la ragazza come vittima di un’ingiustizia e poteva spezzare il tenue sentimento di affetto che, ne era sicura, si era già stabilito tra loro. Presto, anche di questo era sicura, Jennifer si sarebbe cacciata, suo malgrado, in qualche pasticcio. In quel caso la ragazza avrebbe sentito di aver violato non una semplice regola scolastica ma soprattutto la fiducia di una persona che le voleva bene. Avrebbe perciò imputato solo a se stessa la responsabilità di trovarsi legata ad un tavolo e flagellata brutalmente. La decisione era presa. Senza dire una parola ma con aria volutamente inferocita Marie andò a riporre il flagello e ritornò con altri due strumenti. Dopo averne posato uno sulla scrivania si posizionò a fianco di Jennifer. Teneva, tesa fra le mani, una cinghia di cuoio lunga una sessantina di centimetri."Mani sulla testa!" ordinò con tono impersonale. Appena la ragazza assunse la posizione, la donna iniziò a usare la cinghia sul ventre della giovane, poi sulla schiena e sulle cosce. La punizione fu abbastanza breve e non troppo soddisfacente per Marie. La seconda parte sarebbe stata sicuramente migliore. Andò a riporre la cinghia sulla scrivania e chiese a Jennifer, con tono noncurante, di spogliarsi completamente. La ragazza esitò un attimo, poi si tolse la camicetta riponendola vicino al resto dei suoi indumenti. Era rimasta con il solo reggiseno ed invece di iniziare a slacciarlo si mise a guardare la sua tutrice con aria implorante."Anche quello, Jennifer" replicò Marie, un po’ stupita degli ammiccamenti della giovane. Con l’aria di stare per affrontare un chissà quale orrendo destino, Jennifer si slacciò il reggiseno e lo posò accanto alle sue mutandine. La ragazza stava adesso in piedi, completamente nuda, davanti alla tutrice. Il braccio sinistro le penzolava sul fianco ma quello destro era ripiegato sul petto in una estrema e disperata difesa dei seni. Il viso, avvampato dall’emozione, era chinato in avanti. Lo sguardo timoroso vagava inquieto tra il volto dell’istitutrice e la trama del tappeto. La donna non poté fare a meno di paragonare la posa di Jennifer a quella della venere di Botticelli. Una venere acerba, del tutto inconsapevole della carica di sensualità della sua postura. Ma anche una venere stranamente impaurita. La mano destra aveva saldamente afferrato la spalla sinistra e la stringeva con forza come ad assicurarsi che nessuna forza al mondo avrebbe potuto strappare dalla sua posizione il braccio che le proteggeva il petto. Per la tensione anche la mano sinistra aveva preso a stringere la coscia. Le unghie affondavano nella carne. Marie le si avvicinò sorridendole gentilmente. Poi, con gesto delicato, le prese l’estremità del mento con una mano e lo sollevò lentamente."Non c’è ragione di vergognarsi" disse la donna quando i loro sguardi si incrociarono. La mano di Jennifer allentò la morsa sulla spalla e la tutrice, con cautela, le prese il polso destro e iniziò ad allontanarlo dalla sua posizione. Jennifer non oppose resistenza e in pochi istanti i seni della ragazza furono completamente esposti. Marie, arretrando leggermente, abbassò lo sguardo per osservarli. Improvvisamente si era insinuata in lei una certa inquietudine. La ritrosia della ragazza non poteva essere dettata dal solo pudore. Doveva esserci qualcosa d’altro. Forse voleva nascondere una qualche imperfezione, un neo imbarazzante o un piercing! Un anellino al capezzolo sarebbe stato forse accettabile come segno di devozione verso di lei non certo per moda o spirito di ribellione! In ogni caso sarebbe stato un peccato se la sua immatura bellezza fosse stata rovinata in un particolare così importante. Presa da questi timori la donna non si limitò alla prima impressione ma continuò studiare i seni di Jennifer con attenzione fino quando non si convinse che non vi era nulla fuori dall’ordinario. Ma allora perché la ragazza era così nervosa? Perché anche adesso non riusciva a reggere il suo sguardo? Tornò a osservarle i seni. Non erano molto sviluppati. Il petto di Jennifer, più che quello di una paffuta teen-ager, avrebbe potuto essere quello di una dodicenne i cui seni avevano appena iniziato a gonfiarsi. Eppure erano magnifici. La pelle bianca e liscia sembrava promettere infinita dolcezza. I delicati capezzoli risaltavano come boccioli di rosa sulla neve. Marie se ne sentiva irresistibilmente attratta. A stento si trattenne dal baciarli e dallo stringerli tra i denti. Certo era vero che il corpo di Jennifer, compresi i suoi seni, era quello di una bambina. Solo l’altezza, la muscolatura e le proporzioni ben equilibrate tradivano una età superiore. Per Marie l’aspetto fanciullesco della ragazza era eccitante ma si ricordava bene quanto fosse importante per una adolescente sentire di stare diventando donna."Dimmi Jennifer, ti vergogni perché pensi di avere i seni troppo piccoli?" domandò la donna nel suo tono più gentile. La ragazza non rispose. Allora la tutrice tornò a sollevarle il viso fissandola negli occhi. Jennifer non trovò nemmeno allora la forza di rispondere ma scosse la testa in cenno d’assenso, rossa di vergogna. "Sei una sciocchina!" esclamò la donna afferrandole i seni con entrambe le mani. Jennifer, sorpresa, sobbalzò. Marie sentiva il cuore della ragazza battere all’impazzata. "Guardali!" disse ancora la donna sollevando i seni della giovane quasi a volerglieli porgere. Quando Jennifer, che aveva sempre la testa bassa, aprì gli occhi, la donna allontanò le mani non senza stringere per qualche attimo ogni capezzolo tra pollice e indice. Poi continuò. "Forse non sono molto grandi ma sono sicuramente molto belli e perfettamente proporzionati alla tua figura."La ragazza la guardava imbarazzata e dubbiosa. Marie le cinse le spalle con un braccio e andò avanti. "Forse in questo paese di cow-boys pensate che tutte le donne debbano avere fianchi larghi come quelli di una mucca e dei seni enormi. Ma questa non è la vera bellezza. Pensa alle indossatrici. Sono ritenute le donne più belle del mondo eppure i loro seni sono a stento più grandi dei tuoi!" Jennifer fece un piccolo sorriso all’idea di quel singolare del paragone. La tutrice le restituì un sorriso generoso. "Se uno stilista dovesse organizzare una sfilata con le ragazze della scuola non sceglierebbe certo quelle compagne che ti sembrano così ‘dotate’. Gli parrebbero come … come delle vacche grasse!" Dicendo l’ultima frase, la donna aveva assunto un’espressione volutamente buffa. Aveva infatti l’aria di chi finge imbarazzo per essersi lasciato scappar detto qualcosa di sconveniente ma che in realtà aveva tutta l’intenzione di dire. Jennifer scoppiò a ridere di cuore. Anche Marie rise, felice dell’effetto delle sue parole, poi seria continuò. "Però piccola mia, quello stesso stilista sceglierebbe sicuramente te. Non gli sfuggirebbero la tua grazia, la tua dolcezza, il tuo visino da angelo spaurito." A quel punto Marie le accarezzò il volto e poi mettendo la sua fronte quasi a contatto con quella della ragazza prese a sussurrarle piano. "Per questo non hai bisogno di metterti certi vestiti provocanti. Quando qualcuno vede una ragazza così carina vestita come una … be’ … capisce subito che la ragazza non è sicura di sé e ne approfitta. Se non impari tu ad amare te stessa non lo potranno fare nemmeno gli altri."Le due erano una di fronte all’altra. Solo pochi centimetri separavano i due corpi. Eppure una barriera invisibile sembrava impedire di avvicinarsi oltre. Una barriera che solo un atto di coraggio avrebbe potuto rompere. "In ogni caso Jennifer, devi sapere che … io ti voglio bene … e che farò di tutto perché tu possa essere felice e serena." Lo sforzo di pronunciare tali parole era stato così forte da far quasi balbettare persino l’imperturbabile Madame Foisson. Ma ne era valsa la pena. Jennifer dopo qualche esitazione avvicinò il suo corpo a quello della donna fino a quando non si toccarono. Gettò poi un’occhiata timorosa verso Marie che le restituì un imbarazzato sorriso di resa. Rassicurata si abbandonò ad un profondo abbraccio, la testa chinata sulla spalla della tutrice, le braccia fortemente strette attorno alla vita dell’altra. Marie ricambiò l’abbraccio e prese a carezzarle dolcemente la nuca. Più tardi, a letto, la donna avrebbe a lungo ripensato a quell’abbraccio. Jennifer si era stretta a lei, nuda e vulnerabile, forse non avrebbe accettato carezze troppo intime ma sentiva che non si sarebbe opposta a un lungo tenero bacio. Invece lei non aveva fatto nulla. E non per calcolo. L’emozione che aveva provato quando Jennifer si era completamente abbandonata a lei era stata così forte, così completa, da non lasciare posto ad alcun pensiero sensuale. Aveva ricevuto ciò che aveva dato e non aveva sentito la necessità di altro. Con sgomento si rese conto che non era stata Madame Foisson ma Marie ad abbracciare Jennifer. Possibile che in quei pochi giorni passati assieme la semplice attrazione fisica si fosse trasformata in qualcosa di più profondo? Doveva stare attenta. La posta in gioco rischiava di divenire pericolosamente alta.Le due rimasero abbracciate, quasi immobili, per un tempo indefinito. Poi simultaneamente e in silenzio si separarono. La tutrice, con un certo imbarazzo, ricordò alla ragazza che la punizione non era ancora terminata."Sì, Madame" fu la risposta."Non ti preoccupare non c’è ancora molto" la rassicurò la donna andando aprendere il frustino posato sulla scrivania. "Ricordati solo di tenere le braccia sempre dietro la schiena."Il frustino era lungo circa sessanta centimetri ed era ovviamente destinato ai seni della giovane. Il primo colpo fu per il seno destro e prese in pieno il capezzolo. A Jennifer mancò il fiato quando ne sentì il morso ma riuscì a non muoversi. Il colpo successivo fu sul seno sinistro e quello dopo riuscì a raggiungere entrambi i capezzoli, fortunatamente con minor forza dei precedenti dato che in questo caso era necessario sfruttare buona parte della lunghezza dello strumento a scapito della potenza. Seguirono molti altri colpi. Ora alternati tra i due seni, ora in lunghe serie su un solo bersaglio. A volte i colpi erano portati in verticale, dall’alto verso il basso, anziché in orizzontale e terminavano inevitabilmente sui capezzoli già tormentati. Erano questi i colpi più forti e dolorosi. Ogni volta le strappavano un grido soffocato dalle sue stesse lacrime. Per sua disdetta, il trattamento ebbe l’effetto di risvegliare l’eccitazione nella carnefice. Fu così che quando ritenne di aver sufficientemente punito i seni della ragazza invece di porre fine alla sessione, la tutrice vibrò un ulteriore colpo sul sesso della sua protetta. Questa volta la reazione fu più composta che in precedenza. Solo un gemito e un accenno di piegamento in avanti. Le mani erano invece rimaste al loro posto e la posizione eretta subito riconquistata. Jennifer guardò spaurita la sua persecutrice domandandosi cosa le sarebbe capitato adesso. Marie si prese cura di fugare i suoi dubbi."Jennifer, lo so che sei spaventata ma vorrei darti altri dieci colpi come questo. Sono sicura che sei in grado di sopportarli. Te la senti di provare?" La richiesta era formulata gentilmente ma la ragazza sapeva di non avere scelta."Sì, Madame. Sono pronta" rispose la giovane divaricando le gambe per offrire un migliore accesso al frustino."Brava!" disse la donna deliziata. "Ti farò una concessione. Sarai tu a chiedere di ricevere ogni colpo. E dopo averlo ricevuto ringrazierai e chiederai il successivo. Naturalmente dovrai indicarne anche il numero esatto. In questo modo avrai abbastanza tempo fra un colpo ed un altro per recuperare perfettamente." Difficilmente questo trattamento poteva essere visto come una concessione ma Jennifer non se ne avvide affatto e fu sincera quando ringraziò la tutrice per la sua gentilezza. La tortura procedette solenne come una cerimonia religiosa. Il frustino sibilò nell’aria. Poi lo schiaffo dell’impatto sui tenerissimi petali rosati, sovrastato da un gemito disperato."Uno! Grazie, Madame. Posso averne un altro?", la devota preghiera della supplice prontamente esaudita dalla sacerdotessa del sacrificio. Per dieci volte il cuoio si congiunse alle segrete carni della giovane. Ogni volta aumentavano i gemiti e gli spasmi. L’ultimo colpo fu, come sempre, il più forte. Le lacrime e il dolore impedirono alla ragazza di correttamente ringraziare la sua carnefice. Nonostante gli sforzi dalla sua gola uscivano infatti solo suoni disarticolati. Quando si accorse che la donna, notata la sua difficoltà, le si stava avvicinando, Jennifer fu presa dal panico. Sapeva che tutrice non avrebbe sprecato quell’occasione di darle una lezione supplementare per la sua pur involontaria omissione. Tentò ancora disperatamente di parlare ma non vi riuscì. Iniziò a tremare incontrollabilmente. Chiuse gli occhi aspettando l’inevitabile ma invece del morso infuocato del frustino sentì solo il calore dell’abbraccio della donna e delle sue parole. "Non ti preoccupare Jennifer. Va bene così! La punizione è finita." Per la seconda volta la ragazza si abbandonò in lacrime tra le braccia dell’altra, esausta e riconoscente.
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