Nella mia vita ho posseduto un’infinità di cose di seconda e terza mano, dal triciclo alla bicicletta, dal motorino alla macchina, dalla prima ragazza a mia moglie. Pure lei l’ho presa consumata, infatti, prima d’incontrarmi aveva convissuto per parecchi anni con un altro uomo da cui si era separata dopo avere conosciuto il sottoscritto. Ho quarant’anni e da dieci sono sposato con lei. Entrambi proveniamo da famiglie dignitosamente povere. I miei genitori, di origine contadina, si sono dannati l’anima per assicurare a me e ai miei quattro fratelli una valida educazione e lo stretto necessario per vivere. Mia madre si è logorata il fisico pulendo scale e pianerottoli nei condomini, mentre mio padre, operaio metalmeccanico, ha consumato la salute aspirando vapori tossici dagli altiforni della fabbrica in cui lavorava che produceva manufatti di vetro. A differenza di molti coetanei, cui nell’infanzia non sono mai mancati giocattoli e doni di ogni tipo in occasione dei loro compleanni, ho appreso molto presto il significato della parola indigenza. I miei genitori erano soliti vestirmi con gli abiti e le scarpe smesse dai miei fratelli che se le tramandavano l’uno con l’altro fino a me. Questa pratica si è protratta per parecchio tempo, fino a momento in cui, compiuti i sedici anni, ho iniziato a lavorare. Da quel giorno ho iniziato a comprare solo cose nuove, ciononostante però mi è rimasta la voglia di entrare in possesso di cose riciclate, tant’è che col trascorrere del tempo questo desiderio si è trasformata in una vera mania ed ha condizionato la mia vita. Fin da bambino ho inteso il sesso, la carnalità e l’erotismo in maniera singolare, adeguandomi alle abitudini del mondo che mi circondava. Il giorno in cui lo sperma uscì per la prima volta dal mio pisello non accadde per i movimenti della mia mano, come succede ai ragazzi che a una certa età scoprono il piacere di masturbarsi, ma per mano di un altro. E’ stato Luigi, il più anziano dei miei quattro fratelli, ad iniziarmi a questo tipo di piacere prendendosi cura del mio pisello, dopodiché proseguii nel tastarmi l’uccello da solo, senza nessun’altra intrusione. . Il primo rapporto sessuale l’ho consumato all’età di 17 anni, con una puttana. Per la modica somma di alcune decine di migliaia di lire si fece scopare, in breve successione, da me e dai quattro compagni con cui mi ero recato a farle visita. In quell’occasione, ovviamente, non fui il primo a scoparla, bensì l’ultimo del gruppo. La cosa si ripeté le volte seguenti,. In ogni circostanza in cui mi capitò d’andare in loro compagnia a puttane, mi ritrovai ad essere sempre l’ultimo della fila. Nel corso della mia vita ho fatto l’amore con molte donne, nessuna delle quali era vergine. Confesso di avere avuto un irragionevole timore d’incocciare in una donna immacolata, apprensione che mi è rimasta addosso fino ad oggi. In ogni donna ho cercato una figura materna che potesse sostituire mia madre, ma non l’ho mai trovata. Soltanto deflorando una vergine avrei potuto trovare ciò di cui avevo bisogno. Oggi ho superato questo tipo di paura, finalmente ho l’occasione di porre fine a quest’inquietudine che mi porto dentro. Ho preso possesso di una stanza d’albergo e sono in attesa che una donna mi raggiunga. E’ un appuntamento speciale il mio, perché lei è vergine. Sto uscendo da una fase della vita molto particolare, caratterizzata da un lungo periodo di depressione e da un totale disinteresse verso il sesso. Ormai sono due anni che mia moglie ed io non facciamo l’amore ed è assai probabile che lei abbia una relazione con un altro uomo, ma non me ne importa nulla. Improvvisamente, quasi per incanto, sono uscito dal letargo in cui ero sprofondato. Ho voglia di tornare a vivere, di gioire e recuperare il tempo perduto. Addosso ho una smania forsennata di fare sesso, soprattutto con una donna vergine: la prima della mia vita. Trovarla non è stato facile, all’inizio della mia ricerca pensavo fosse impossibile trovarne una disposta a perdere la sua verginità con un vecchio quarant’enne come me. Ora che sta per accadere ho persino timore di non riuscire ad avere un’erezione sufficiente per penetrarla, ma è pur vero che fare sesso è un po’ come andare in bicicletta: una volta imparato non si scorda mai. Ho affidato il mio sogno ad un’inserzione pubblicitaria su uno di quei giornali gratuiti, a diffusione settimanale, che pubblicano annunci di persone che ambiscono conoscersi. Per farlo ho compilato un’apposita scheda in cui mi veniva chiesto di descrivere le mie caratteristiche fisiche, l’età e il tipo di lavoro. Ho risposto a tutte le domande con estrema sincerità, ma ho mentito su una: ho risposto “no” al quesito se ero coniugato. Alla domanda: “Come dovrebbe essere la Vostra partner?” ho risposto “Vergine”, poi ho inviato il coupon alla redazione del giornale. L’annuncio è comparso più volte sul periodico fintantoché, con grande sorpresa, ho ricevuto una lettera alla casella postale che avevo preso in affitto. L’autrice della missiva mi ha chiesto di prendere visione di una mia foto. Ho provveduto ad inviargliela all’indirizzo di una casella postale: la sua. Oggi finalmente c’incontreremo. Sono agitato, a intervalli regolari guardo il quadrante dell’orologio che porto al polso e il tempo sembra non dovere passare mai. Di comune accordo abbiamo fissato l’incontro all’Hotel Verdi in pieno centro cittadino. Ho preso l’impegno di prenotare la camera e di farmi trovare nella stanza prima del suo arrivo. Le quattro sono passate da una decina di minuti e lei ancora non si fa sentire. Ho timore di essere rimasto vittima di uno scherzo, probabilmente qualcuno si è divertito alle mie spalle approfittando dello stato depressivo in cui mi trovo e della mia proverbiale ingenuità. Il cellulare che mi porto appresso squilla: deve essere lei, ne sono certo. Come d’accordo debbo comunicarle il numero della stanza in cui sto. Il numero di telefono è l’unica cosa che sa di me. – Pronto. – Sono la Vergine. Mi conferma il numero della stanza. – Il 53, si trova al terzo piano. – Va bene, fra poco sono lì. Sono attimi di smarrimento questi che precedono l’incontro, addosso ho la tremarella. Vado in bagno e piscio per l’ennesima volta per l’emozione. Un battito sordo alla porta attira la mia attenzione. Mi avvicino all’uscio e l’apro. Resto sorpreso nel trovarmi di fronte a una suora. – Desidera? – dico educatamente, scocciato per la sua presenza che potrebbe inficiare l’imminente l’arrivo della mia ospite. – Sono quella dell’annuncio. La “Vergine” – risponde, timidamente, chinando il capo e il velo che le cinge la fronte. Resto interdetto: non so che risponderle. E lei a togliermi dall’imbarazzo. – Non mi fa entrare? – Sì… sì… venga, si accomodi. Mi scosto dall’uscio e lascio che entri, poi chiudo la porta dietro di noi. – Comprenderà che è una bella sorpresa trovarmi di fronte a una come lei – dico con un certo imbarazzo. – Se lo è per lei, anche per me è difficile essere qui. – Sì, è vero. Non ci avevo pensato. Resto stupito dalla sua naturale disinvoltura. Si avvicina alla finestra e guarda fuori in strada, si gira e scruta ogni angolo della stanza, infine si rivolge a me. – Non si preoccupi. Piuttosto, forse sarà bene che ci presentiamo. Io sono Eleonora, ma per tutti sono Suor Gertrude. Si avvicina verso di me e allunga una mano nella mia direzione. Distendo la mia e stringo le sue dita. – Ah, sì.. Piacere Mario, sì… Mario – Il nome che pronuncio è il primo che mi viene alla mente. Accidenti! Le ho mentito, avrei potuto dirle quello vero e invece non l’ho fatto. E’ che sono maledettamente imbarazzato, molto più di quanto avessi preventivato. – Se è infastidito dall’abito che indosso e dalla mia persona è ancora in tempo a tirarsi indietro, non mi offendo mica. – Beh, un certo imbarazzo l’ho, le mentirei se dicessi il contrario, ma l’abito che indossa mi da il convincimento che lei possa essere davvero vergine come afferma e questo è molto importante per me. Superato l’iniziale imbarazzo sono andato subito al sodo, senza tanti preamboli. Ma forse sono stato fin troppo sfacciato nel pronunciare la frase. Osservo il viso ovoidale della donna reso in quel modo dalla fascia bianca che lo cinge d’intorno. Il colorito delle guance è pallido, le labbra rosee sono sovrastate dalle narici di un naso a forma aquilina ed assai pronunciato. Dimostra una trentina d’anni o poco più, non è affatto bella, tutt’altro. Meglio così, perlomeno non correrò il rischio di perdere la testa per lei, specie in momenti di depressione come quello che sto attraversando. – Vuole che mi spogli? Non ho molto tempo a mia disposizione. Alle sei devo essere di ritorno in convento. Mi guarda nello stesso modo risoluto con cui ha formulato la domanda. Da me si aspetta una risposta immediata che esito a darle. – Beh… sì. Se desidera accomodarsi in bagno e togliersi gli abiti di dosso può farlo. – Non occorre, mi spoglio qui. Appoggerò le vesti su di una sedia. Dal capo sfila la catenella che porta al collo su cui pende un grosso crocifisso. Lo avvicina alle labbra e lo bacia, dopodiché lo ripone in una tasca dell’abito e toglie il velo. – E lei non si spoglia? – domanda, volgendo lo sguardo nella mia direzione. – Ehmm… sì. Senza il velo il viso appare più tondo, ha i capelli corti di colore scuro che le donano un aspetto giovanile. La imito e inizio a spogliarmi. Tolgo la camicia e calo i pantaloni, lei si libera dell’abito talare che le giunge fino ai piedi e rimane in sottoveste: un modello disusato e assai poco seducente. Resto in boxer, ma ho l’impressione che lei non abbia nessuna intenzione di togliersi altri indumenti di dosso. – Beh… io sono pronto – dico, indicando con le mani il mio corpo seminudo. – Anch’io lo sono. – Che facciamo? Ci corichiamo sul letto? – Se crede. Sorrido e la precedo sulle lenzuola. Supino attendo che guadagni lo spazio che ci separa. Lei si avvicina al margine del letto. Si libera delle calze, pone le natiche sulle coperte e in un batter d’occhio si è coricata al mio fianco. Il silenzio nella camera è interrotto dal rombo di una moto che transita nello stradello con cui confina l’albergo. Resto muto per un po’ di tempo indeciso sul da farsi e il tipo d’approccio che debbo usare. In altre occasioni, con altre donne, in situazioni simili a questa, mi sarei comportato saltando addosso alla mia compagna di letto, ma con lei è diverso, molto diverso. – Come lei ben sa il mio…. pene non si rizza a comando, ma ha bisogno di certe stimolazioni. Se vogliamo adempiere a ciò per cui siamo qui convenuti ho bisogno che lei collabori con me. – Non si preoccupi, coopererò. Mi insegni lei a farlo. – Beh… sì, certo. Ci scambiamo queste poche parole tenendo entrambi gli occhi fissi sul soffitto, senza mai incrociare i nostri occhi. Infine mi decido a prendere l’iniziativa e allungo una mano sopra la coscia della sua gamba, sollevo con prudenza la sottoveste di cotone che avvolge il suo corpo. Appoggio le dita sopra un ginocchio e le faccio roteare all’interno della coscia. Eleonora ha un sobbalzo. Continuo nella mia opera e risalgo con la mano lungo la coscia fino all’inguine. Resto stupito nel costatare che è priva di mutande, compio un allungo con le dita e mi ritrovo a esplorare il fitto groviglio di peli che sovrasta il pube, scendo più in basso e colgo nelle dita le grandi labbra estese come ali di una grande farfalla. Il solco che le separa è umido, gocciolante d’umore. Intingo le dita ed effettuo una breve stimolazione manuale del clitoride. Lei ha un nuovo sobbalzo ed emette un breve lamento con le labbra. La cosa mi turba più di quanto potessi immaginare, ho il cazzo duro che pulsa e preme sotto il tessuto dei boxer. Li sfilo dai piedi e metto in mostra il mio uccello. La mia compagna di letto sembra non essersi accorta della mia manovra, per tutto il tempo è rimasta impassibile a guardare il soffitto senza preoccuparsi di me. Le prendo una mano e la conduco a contatto dell’uccello, lei cerca di scostarla ma glielo impedisco con la forza delle mie braccia. – Non devi avere nessuna paura del mio sesso – le dico – E’ lui che ti penetrerà, impara a conoscerlo. – Mi scusi. Ha ragione. La sua mano perde in rigidità accettando che la conduca ad avvolgere per intero l’uccello. Solo ora ho la sensazione che la mia ospite, non ha mai stretto fra le dita un cazzo. Lo sta facendo per la prima volta e lo fa con molta delicatezza, con la manualità di una principiante, strofinandomi col palmo della mano la cappella. Godo! Cazzo se godo! Ho voglia di penetrarla, subito, ma recedo dal mio desiderio. Mi alzo e mi metto in ginocchio fra le sue gambe che opportunamente ho provveduto a divaricare. La guardo in viso. Eleonora è decisamente brutta, ma poco importa. L’unica cosa che mi preme è che la sua figa sia immacolata. Lei evita d’incrociare il mio sguardo, ruota il capo da un lato e resta immobile. Afferro i bordi della sottoveste, in corrispondenza dei suoi fianchi, e gliela sfilo verso l’alto facendola passare oltre il capo. Finalmente è nuda. Il colore della pelle è candido come il latte. Il pube, come ho avuto occasione di costatare poc’anzi è ricoperto da una selva di peli neri e arricciati. I seni piccoli e schiacciati, così come appaiono in questa postura, si caratterizzano per l’ampia sagoma dei capezzoli di colore bruno e la punta eretta supera l’ordinaria misura. Stendo le mani sulle sporgenze carnose che si elevano al centro delle mammelle e le accarezzo. Il ritmo respiratorio della donna sale congiuntamente al battito cardiaco. Avrei voglia di succhiarle i capezzoli, ma mi trattengo. Esercito una presa sul loro apice strizzandoli entrambi, lei emette un esclamazione di dolore e tenta di allontanare le mie mani dalle mammelle. Chino il capo sulle sue labbra per darle un bacio, lei scosta il viso ed evita la mia bocca. Affondo il muso sul suo collo, ma lei ancora una volta è pronta ad allontanarmi. Resisto alle fragili difese che interpone e la riempio di succhiotti. – No. la prego. Per favore la smetta. non voglio… non voglio – urla, ribellandosi ai miei gesti. – Perché? – Perché no! Non desidero essere baciata. Chiaro! – Va bene. allora divarichi le gambe. E’ il momento di sverginarla, in fin dei conti è questo il motivo per cui entrambi siamo capitati qui. – Non perdiamo altro tempo, lo faccia! Mi penetri! Mi penetri. Inarco il culo all’indietro e accosto la cappella alle grandi labbra. Sono pronto, il momento tanto atteso è prossimo. L’umido della passera è un invito cui non so sottrarmi. La defloro con delicatezza, senza farle sentire troppo male. Questa perlomeno è la sensazione che ho. Nell’attimo in cui la penetro sento il suo corpo irrigidirsi, lei digrigna i denti lasciandosi sfuggire un lieve lamento. Affondo l’uccello nella cavità e lo faccio scorrere avanti e indietro più volte. Lei emette dei gemiti o forse è un pianto pieno di rammarico, non faccio caso ai lamenti, proseguo nella mia opera e continuo a spingere ed estrarre l’uccello dalla figa. La parete che lo circonda è stretta e sento che aderisce alla perfezione alla superficie tonda del mio uccello. La donna non accompagna col corpo i miei movimenti, ma ho l’impressione che la parete elastica della vagina si contragga più volte sull’uccello. Eccitato come sono non impiego troppo tempo a venire: per tutta la durata dell’amplesso non ho pensato che a soddisfare il mio piacere senza preoccuparmi d’acquietare il suo. – Vengo!… Vengo… – Urlo a piena voce. Sfilo l’uccello dalla figa appena prima che uno schizzo di sperma macchi l’addome, poi mi rovescio su di lei e resto appiccicato al mio sperma. Ho il respiro ansimante: a fatica recupero lo stato di normalità. Quando mi stacco rotolo al suo fianco e resto immobile accanto a lei. La religiosa si alza dal letto, recupera la sottoveste e l’abito talare, poi entra in bagno. E’ tutto finito, le ho tolto la verginità violando la sua preziosa fessura, ma addosso ho un forte senso d’insoddisfazione. Mi alzo dal letto, afferro un lembo del lenzuolo e asporto le tracce di sperma che ho sull’addome e l’uccello, poi mi rivesto. Certe fantasie sessuali sopravvivono nelle nostre menti fintanto che non si realizzano, dopodiché perdono il loro fascino. E’ quello che sta succedendomi ora. La porta del bagno si riapre ed appare Eleonora, la religiosa indossa l’abito talare, si avvicina a me porgendomi la mano in segno di commiato. – La ringrazio per ciò che ha fatto, non immagina quanto è stata importante per me questa esperienza. Fra pochi giorni partirò in missione e non so quello che potrà attendermi là. Stringo la mano che mi porge senza dare troppo significato alle sue parole che invece lo sono, solamente quando se n’è andata torno a rifletterci sopra. D’improvviso ho un grande vuoto dentro. Da poco ho consumato un rapporto sessuale con una donna vergine e sento di nuovo il desiderio di fare l’amore, ma stavolta con una puttana. E’ il bisogno di sentirmi vittima e non carnefice che mi ammalia: è questo il ruolo che più mi si addice, ne sono certo. D’improvviso mi trovo a pensare che quanto è accaduto in quella stanza oltre che strano è perfino inverosimile. Perché ha voluto che la sverginassi? Ma quella donna era una suora per davvero? O era qualcos’altro. Mah… eppure vergine lo era per davvero. Esco dall’albergo e respiro l’aria fresca della sera, a piedi percorro il breve tratto di strada che mi separa dalla stazione ferroviaria, scendo nel sottopassaggio che conduce alle pensiline e risalgo i gradini che convogliano le persone ai binari 2 e 3 dove transitano i treni in direzione Bologna e Milano. Il rumore di una motrice viene a distogliermi dall’attenzione che riverso sulle rotaie. Un convoglio di carrozze ferroviarie sfila davanti ai mie occhi e arresta la sua corsa, si aprono le porte dei vagoni e ne scendono i passeggeri. Donne di pelle nera filano via sul marciapiede della pensilina. Sono puttane che si apprestano a raggiungere i viali della città per prostituirsi. Osservo le sinuose forme dei loro culi, sono tondi, abbondanti. di seconda mano. I miei preferiti
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