Giulia odiava il turno di notte. Aveva lavorato duro per diventare una poliziotta, ma purtroppo essendo tra gli ultimi arrivati, le toccava spesso quella sgradevole incombenza. Ma non aveva poi molta importanza. A Giulia piaceva indossare l’uniforme. Aveva faticato tanto per arrivare a questo, ed era comunque felice di aver avuto successo. Dopo il suo divorzio si era sentita persa, spaventata all’idea di non sapere cosa fare della propria vita. A 36 anni Giulia non era certo più una ragazzina. Ma aveva trovato il coraggio e la forza di buttarsi anima e corpo nella realizzazione di quel sogno che portava dentro di se fin dall’infanzia: indossare l’uniforme della Polizia. Negli anni il sogno si era accantonato in una parte remota della sua mente. Il matrimonio, la dedizione al marito, la vita sociale l’avevano distolta dalle sue aspirazioni. Aveva fatto la brava moglie, la casalinga di lusso, e si era tenuta in forma e assicurata una notevole avvenenza, anche aiutata dal suo metro e settantotto di altezza. Senza la sua uniforme che nascondeva la sua linea, Giulia poteva sembrare una modella con una piccola seconda di seno, ma 60/90 di vita e fianchi. Era orgogliosa del proprio corpo e aveva sempre cercato di mantenerlo snello e tonico con tanta palestra e molto sudore. All’Accademia di Polizia si distinse sempre in qualunque esercizio fisico lasciando dietro di sé non soltanto tutte le altre donne, ma anche diversi uomini. Il turno di notte si dimostrava ogni volta tranquillo. La parte più noiosa era pattugliare i ricchi quartieri residenziali per tutelare i residenti dai frequenti furti in appartamento. Non succedeva mai niente e quella sera non pareva fare eccezione. Giulia voltò per la via che portava alla casa dei Bertini, una famiglia importante in città. Il Dott. Bertini era un giudice. E aveva specificatamente richiesto alla Polizia una sorveglianza speciale della propria abitazione durante il periodo di vacanze della famiglia. Piccoli privilegi dei potenti. Come voltò l’angolo Giulia parve scorgere una luce all’interno dell’abitazione. Controllò il suo schedario sul suo piccolo palmare e vide che il ritorno dei Bertini era previsto solamente due settimane dopo. Girò la macchina per controllare le serrature della casa. Inizialmente pensò si trattasse di uno di quei timer usati per accendere luci o stereo durante la propria assenza per simulare una presenza che non c’era in modo da scoraggiare i ladri, ma poi si ricordò che, nonostante passasse sempre di li alla stessa ora, non aveva mai notato nessuna luce prima d’ora. La procedura avrebbe voluto che Giulia lasciasse l’auto visibile parcheggiata sulla strada, ma il freddo intenso la convinse ad imboccare il vialetto che scompariva dietro un’alta siepe che proteggeva l’ingresso. Uscendo dall’auto non si accorse di essere osservata dall’interno della casa. Prese il suo manganello e lo fissò alla cintura e si diresse verso l’ingresso. Cercò di aprire la porta girando la maniglia e spingendo. Ma pareva ben chiusa. Ritentò, poi soddisfatta andò verso il retro. La porta posteriore si aprì quando girò la maniglia. Giulia sentì l’adrenalina accelerare il battito del suo cuore. Estrasse il manganello ed entrò con circospezione all’interno dell’abitazione. Tutto era silenzioso e tutto pareva in ordine. La sua radio gracchiò. Era la centrale per il controllo. Una procedura normale quando non si riusciva a contattare un agente nella propria auto. Raccolse il ricevitore e confermò che tutto andava bene. Disse così perché non voleva rompere le scatole a nessuno per un semplice controllo di abitazione. Non parendovi essere nessuno all’interno, Giulia si rilassò. Rimise il manganello nella cintura ed entrò nel salotto. Solo allora udì un rumore alle sue spalle, ma, prima che potesse fare qualunque cosa, tutto intorno a se diventò buio. La prima cosa che Giulia sentì riprendendo i sensi fu un forte pizzicore alle guance e realizzò che qualcuno la stava schiaffeggiando. Aprì gli occhi e vide davanti a se quattro uomini di grande stazza con delle calze di nylon sulla testa. Cercò di urlare, ma le era stato cacciato della stoffa quasi fino in gola, probabilmente un indumento, tenuto fermo da un paio di giri di nastro isolante intorno alla testa. Cercò la pistola, ma si rese conto che le era stato tolto tutto il cinturone. In quel preciso istante si prese coscienza della situazione e del pericolo che correva. “Mi pare che la troia si sia svegliata” sentenziò il più grosso degli uomini. Giulia cercò di mettere a fuoco quello che le stava intorno per comprendere con esattezza la propria situazione. Le sue mani erano legate dietro la schiena con le sue proprie manette, e il cinturone con lo spray irritante, la pistola e il manganello le era stato tolto. Anche la radio non risultò più in suo possesso. Di fronte a lei si trovavano quattro uomini, di cui uno, quello che aveva parlato, era stato chiamato Stefano. “Marco, sposta la sua auto sul retro in modo da non dare nell’occhio. Giorgio, prepara il computer portatile, e tu, Andrea, vai a prendere la videocamera”, ordinò Stefano. Giulia si guardò nervosamente intorno mentre i tre eseguivano gli ordini di quello che, evidentemente, era il capo. Questi si inginocchiò davanti a Giulia e le rivolse finalmente la parola. “Bene, troia, questo è un piacevole imprevisto. Pensavamo di trovare la famiglia Bertini in casa e di rapire la figlia di quel giudice figlio di puttana per venderla, ma anche tu puoi fare al caso nostro. Forse addirittura potremo ricavare più del previsto da una come te”. Giulia non riusciva a capire di cosa stesse parlando, ma vide puntarsi la propria pistola alla tempia. Giorgio nel frattempo era tornato e si portò alle sue spalle per toglierle le manette. Lentamente si alzò, non perdendo mai di vista l’arma che Stefano non smetteva di puntarle addosso. “E adesso puttana, liberati di quella uniforme”, le ordinò. Giulia lo fissò con disappunto senza muoversi, ma non poteva dire una parola essendo ancora ben fissato il bavaglio. Fu un errore e Giorgio le somministrò un manrovescio. Non si mosse ancora e venne colpita nuovamente. Un rivolo di sangue cominciò ad uscirle dall’angolo della bocca. “E’ la tua ultima possibilità. Puoi toglierti quella uniforme da sola. O lascerò Giorgio fare a modo suo. Solo che sarà molto più doloroso, e alla fine resterai comunque nuda”, la ammonì Stefano. Giulia si rese conto di non avere scelta e cominciò a sbottonare la sua giacca. Si maledisse per aver scelto una biancheria molto sexy quella sera. Che sarebbe stata ben presto rivelata ai quattro malviventi. Si sentiva più femminile mettendo biancheria sexy sotto l’uniforme da poliziotta. E quella sera aveva indossato un reggiseno nero con pizzo che le piaceva particolarmente e le mutandine coordinate. Si tolse le scarpe ed i pantaloni che seguirono la giacca e la camicia sul pavimento. Stefano la fermò. Il volto di Giulia era paonazzo dalla vergogna. Era sola, in mutandine e reggiseno di fronte a quei delinquenti. Le sue mani vennero strette da uno di loro e brutalmente riportate dietro la sua schiena. Venne ammanettata nuovamente. Nel frattempo Andrea e Marco erano tornati. “Cominciamo con le foto per prima cosa”, ordinò Stefano. Giorgio spinse Giulia per terra in modo che si rimettesse seduta. Si mise di fronte a lei e le diede un calcio per farle aprire le gambe. Aprendole, sentì le mutandine infilarsi tra le sue labbra vaginali. Sempre più. Giorgio si chinò ed abbassò il reggiseno, facendo balzare fuori i piccoli seni della donna. Posizionata come volevano, Andrea cominciò a scattare con la macchina digitale che probabilmente avevano trovato nella casa. “Basta così!”, ordinò Stefano. “Abbiamo scherzato abbastanza! Prendetela e spogliatela, fotografate figa e culo e spedite gli scatti”. Marco e Giorgio presero Giulia sottobraccio e la trascinarono in sala da pranzo. C’era un grande tavolo che doveva probabilmente poter mettere a tavola 20 persone. Venne spinta e costretta a sedersi sul bordo. Sentì il click di un coltello a serramanico e percepì la lama tagliare la sua biancheria. Giorgio si pose nuovamente di fronte a lei, e senza preavviso strinse i suoi capezzoli molto forte. Il suo urlo le morì in gola, impedito dal bavaglio. Giulia guardò i propri capezzoli e li scoprì pieni ed eretti, con la punta rivolta al cielo. Notò poi Marco avvicinarsi con qualcosa in mano. Disse qualcosa sul di più che avrebbe rappresentato fotografarla con il badge. Si rivolse verso di lei e cercò di appuntarle la spilla sul seno sinistro. Giulia cercò di divincolarsi mentre l’uomo le conficcava la sua stessa spilla da poliziotta nella carne tenera del suo seno. Lacrime cominciarono a scendere sulle guance della ragazza. Giorgio le abbassò le mutandine e la costrinse ad aprire le gambe. Andrea ricominciò a scattare. Le ordinarono di girarsi. La presero per i capelli e la costrinsero a mettersi a pancia sotto, piegata a novanta gradi sul tavolo, con i piedi che toccavano appena il pavimento. Le mutandine erano sempre abbassate. Altri scatti, poi capì che stavano legando le sue caviglie alle gambe del tavolo. Era un tavolo largo che la costrinse ad aprire oscenamente le gambe. Di fronte a lei, all’altro capo del tavolo Giulia poteva vedere il computer portatile. Andrea scaricò le immagini nel computer. E cominciò a digitare furiosamente. Dopo pochi minuti le rivolsero lo schermo. Un tuffo al cuore la colpì mentre leggeva “schiava in vendita”. “sbrighiamoci, abbiamo solamente un’ora, mettete tutto in rete e vediamo se esiste un potenziale acquirente”, ordinò Stefano. “Nel frattempo vediamo quanto è veramente troia questa qui”.
Aggiungi ai Preferiti