Bruma e caligine avvolgono la collina, mentre il sole sta calando ad occidente. Il castello si staglia netto contro il rosseggiare dell’astro morente, e i densi vapori che velano il mondo intorno non sembrano abbastanza per la sua antica mole. Ma l’ombra che sta arrivando dai confini del mondo non e’ l’unica presenza oscura nei dintorni. Le mura che si ergono maestose non rendono giustizia agli spazi nascosti nel suo ventre vetusto e sconosciuto. La punta dell’iceberg; ecco cosa difendono quei merli che si infiammano nell’ultimo bagliore. E quasi nessuno conosce le immense cavita’ sotterranee che scavano il cuore della collina e su cui riposano le fondamenta del maniero. Sono in pochi a conoscerle. E, di quei pochi, ancor meno sono quelli che siano mai usciti per raccontarne l’esistenza ad un mondo incredulo e svogliato. Una sola persona tra queste e’ in vita in questo istante. E si sta recando verso l’avita dimora, fosco, intabarrato in un nero mantello, rimuginando in se’ chissa’ quali misteri, seguito dall’oscurita’ e preceduto dalla paura, incurante delle grida dei lupi e del rumore sommesso degli animali da preda intorno a lui. A grandi passi avanza verso il portone, che si dischiude silenzioso al suo tocco deciso; un passo ancora e l’antichissima quercia si richiude alle sue spalle, inghiottendolo e preparando gli onori di casa per il Signore di quest’angolo di mondo. La stanza e’ illuminata da un grande fuoco le cui lingue danzano creando giochi di luce sulle pareti, mentre l’aria e’ attraversata da una sommessa musica di violino, con qualche nota che talvolta sembra stridere, proprio nell’istante i cui una fiammata piu’ vivida sembra infiammare le pietre annerite del camino. L’uomo non si ferma, non si siede, non degna di uno sguardo gli arazzi alle pareti, ne’ gli stemmi ed i trofei che fanno bella mostra di se’ tutto intorno. Lancia il mantello con sicurezza attraverso la stanza verso un tronco nodoso e contorto, come torturato da una potenza sconosciuta, che funge da attaccapanni, e mostra il suo abito nella luce tremolante: una lunga tunica bianca, con un cappuccio che ricade sulle spalle, mentre ai suoi piedi si intravedono neri stivali, con una catena che lo stringe in vita a mo’ di cintura. Il suo passo e’ deciso, il suo sguardo attento e mirato. Sa cosa lo aspetta. Sa che ha un compito da svolgere. E sa che non sara’ facile. Ma e’ la sua missione, la sua scelta di vita, ed insieme la sua eredita’, il compito cui e’ legato da in numeri generazioni, di cui e’ rimasto l’unico ed ultimo depositario, padrone e servitore insieme della causa cui ha giurato fedelta’ con il suo sangue di Gran Maestro, le cui stille hanno abbeverato la pala d’ebano dell’Ordine di cui e’ l’estremo dignitario, ultime gocce dopo quelle degli antichi e recenti suoi predecessori. Solo. Solo e’ rimasto in quest’opera, solo di un Ordine un tempo potente ed illustre, ed ora relegato nei racconti e quasi nel mito, come un racconto di una notte buia per impaurire i bambini. Se le nonne e le mamme giu’ nella valle ne conoscessero l’esistenza, forse sarebbero piu’ caute ad invocarlo per far addormentare figli e nipoti. E’ un compito duro per le spalle di un solo uomo, per quanto forgiato dal ferro e dal fuoco, e per quanto erede di una tradizione multisecolare, per quanto sorretto dagli sguardi severi che dai dipinti alle pareti lo guardano e sembrano incitarlo e spronarlo all’opera. Dal nobile e senza macchia Hugues de Payns, fino all’ultimo eponimo della prima schiera, Jacques de Molay, caduto per non aver saputo far fronte alla necessita’ di rinnovamento dell’Ordine, e poi, sulla parete opposta, ritratti di volti incappucciati, in cui solo gli occhi lanciano bagliori dal vuoto di un volto nascosto ai profani, i volti sconosciuti dei Maestri della seconda schiera, quelli segreti, e conosciuti solo dal predecessore che li aveva nominati, ed al successore cui avrebbero trasmesso scettro, conoscenza ed ordini. Al suo passaggio lungo il corridoio, come tra due ali di giudici, i volti sulle tele, ed i loro occhi fiammeggianti si posano sull’uomo in tunica che avanza lentamente, come se il peso e l’onere di secoli di storia, doveri ed onore si abbattesse tutto assieme sulle sue spalle. A sinistra la fila si interrompe, per continuare a destra, e quando anche l’ultimo ritratto getta su di lui il fardello dell’impegno sottoscritto con il sangue, l’uomo si arresta. I suoi occhi si concentrano su quelli del dipinto che sembrano ammiccargli. L’uomo annuisce silenzioso, trae un profondo respiro e si arresta un istante. Dinanzi a lui il pavimento digrada, come in una rampa per il passaggio di antichi carriaggi e chissa’ cos’altro. Dopo pochi metri il cupo corridoio sembra terminare; ma e’ solo un illusione ottica voluta dallo sconosciuto architetto: non e’ che una rapida ed imprevista curva che spezza la prospettiva. A destra si apre uno scalone in pietra, che sembra voler affondare nelle viscere del mondo stesso. Il passo pesante, con la tunica che spazza i gradini resi lustri dal tempo, l’uomo scende lentamente, passo dopo passo, mentre la scala si rastrema. Dieci, venti, cento gradini, che sembrano trasportare in un’era diversa da questa, lontana nel tempo e nello spazio, fuori dal presente, ed immersa in un passato senza tempo. La gia’ scarsa luce affievolisce con ogni passo, e le luci alle pareti lasciano il posto a fumose torce odorose di resina e di rare essenze che fumigano attraverso feritoie nelle pareti. L’uomo sorride, amaro, guardando quei segni del passato, quella forma sostanziale che un tempo doveva impressionare e predisporre l’animo alla confessione ed alla espiazione.. . Ed ora? Un’epoca priva di valori, piena di vuoti gusci umani che non riescono a scendere nelle profondita’ insondabili dello spirito umano, senza nerbo, ne’ sostanza, senz’anima e senza vera vita. Una stretta porta si presenta davanti alle oscure riflessioni dell’uomo, che si arresta con la mano sull’antico saliscendi corroso dalla ruggine. Al contatto col freddo metallo, passate visioni di alacri e possenti fabbri nell’atto di forgiare il metallo passano davanti ai suoi occhi. Il passato.. . sempre a chiedersi se fosse migliore, o solo diverso. Quel passato in cui il potere dell’Ordine arrivava sino al punto di imporre la conoscenza dell’io profondo a chiunque si trovasse ad incappare nelle maglie dei Fratelli Cercatori, quel passato in cui le ignare anime acquisite a volte con la forza venivano con forza, amore ed a volte violenza portate nel regno della luce. Un passato finito ormai da molto tempo.. . cosi’ tanto che anche l’immaginazione a volte faceva fatica a penetrarlo. Un’epoca terminata con l’entrata in clandestinita’ dell’Ordine, e con l’adozione della tenuta ancora attuale, quella che ancora drappeggia le membra dell’uomo assorto con la mano sul saliscendi. E con l’altra che accarezza la catena che gli cinge le reni. Ogni anello, un Maestro.. . ogni anello porta ancora il monogramma inciso di ciascuno dei suoi predecessori. Chi un giglio, chi una spada, e la mano che scorre sulla catena sembra quasi riemergere dagli abissi del tempo, mentre le dita leggono la storia sul metallo antico. La nave.. . l’anello di Cuthbert venuto da lontano a dare nuova linfa ai metodi dell’Ordine, la stella, il simbolo dell’astrologo che amava portare lentamente alla luce la personalita’ di chi a lui si affidava, la ruota di Turgut, l’unico Maestro proveniente dal lontano Aral, con il suo bagaglio di conoscenze del suo popolo nomade, la vite di Omar, il moro che aveva ricucito l’antico strappo tra i due rami dell’Ordine, il compasso del filosofo Gerolamo che nel settecento aveva codificato le regole che tuttora vigevano per l’ultimo rappresentante di una razza ormai in estinzione. Regole che dicevano, che ordinavano, che esigevano.. .i Fratelli Cercatori potevano soltanto cercare possibili anime elette da iniziare alla conoscenza. E propagare il messaggio, sperando che venisse raccolto e seguito. Con atto di volizione da parte del prescelto. Illuminismo, lo avevano chiamato. Ma la crisi delle vocazioni che ne era seguita aveva quasi estinto l’Ordine. La ricerca della qualita’ era stata pagata a caro prezzo con il depauperamento della quantita’. Tanto che si contava un vuoto di dieci anni tra il sessantatreesimo Maestro ed il sessantaquattresimo. Ma la crisi era stata riassorbita, ed ora l’uomo senza nome – sarebbe stato rivelato soltanto dopo la sua morte dal suo successore, peraltro non ancora designato – era li’ a ripercorrere la storia del suo ordine. Lo faceva ogni volta che apriva quella porta. E mentre meditava la sua mano sinistra era giunta all’ultimo anello.. . il suo. Aveva voluto incidere sulla sua parte di catena i cerchi di Saturno: nell’entusiasmo della prima volta aveva voluto collegare l’antico astrologo con se stesso, traghettatore verso il futuro, novello Caronte nocchiero dell’Ordine verso un futuro proiettato nello spazio e chissa’ dove ancora.. . Adesso questa scelta quasi puerile lo faceva sorridere, ma gli regalava ancora qualche oncia di adolescenza spumeggiante. Ed il sorriso, fin li’ amaro, si era aperto in un sogno nuovo. Oltre quella porta c’era il sogno di ogni Maestro. La pietra preziosa che tutti avevano cercato, e pochi trovato. Lui l’aveva trovata. Ed a lui, e a nessun altro, incombeva l’onore e l’onere ti dar forma al prodigio. Come un tagliatore di diamanti. Come uno scultore. Conscio delle possibilita’ immense che si schiudevano alla sua arte, cosi’ come dei rischi che anche un solo minimo errore poteva apportare al gioiello, depauperandolo senza scampo. Il Maestro e’ ancora fermo con la mano sulla porta. 1000 anni di storia dell’Ordine lo hanno forgiato ed educato per un momento simile. Ma adesso e’ solo di fronte al compito che lo attende. Solo. Lui, la sua conoscenza, la sua arte. Sa di non essere il migliore di sempre. E’ soltanto il migliore di oggi. Forse i tempi eroici avrebbero potuto offrire di meglio, ma il destino aveva scelto lui per il compito supremo.non sapeva se esserne fiero ed orgoglioso, o solo impaurito. Ma non aveva scelta. Stava a lui, ed avrebbe agito. Lucido, certo di dare tutto se stesso nell’opera catartica. Prendendo un profondo sospiro, e spingendo la pesante porta ferrata, un sinistro cigolio accompagna il nostro uomo nella segreta del castello. E la porta che rientra scattando nel suo alveo ci trasporta nella reale irrealta’ di un istante senza tempo ne’ luogo. Ha gli occhi chiusi. E respira intensamente. Cerca la concentrazione necessaria. Sa che ne avra’ bisogno. Ripercorre con gli occhi della mente gli ultimi e convulsi giorni, una settimana ormai, che hanno cambiato la sua sino allora consueta esistenza di Gran Maestro dell’Ordine. Non era arrivata attraverso i Fratelli Cercatori. Aveva bussato alla porta del castello, asserendo di essere stata guidata da una luce intima. Aveva voluto entrare, chiedendo riparo per il corpo e per lo spirito. Aveva ascoltato il Maestro, e lo aveva riconosciuto come tale. Aveva capito dove era arrivata. Ed aveva chiesto di rimanere. Di essere iniziata. E lui si era sentito fremere. Aveva quel sesto senso che gli permetteva di capire la profondita’ di una vocazione. Lo avevano scelto per questo. Ed aveva compiuto i passi di rito. L’avvocato del diavolo, l’interrogatorio, la porta aperta ogni mattina con l’ingiunzione di andarsene pena supplizi per il corpo e per la mente.. . ma lei era rimasta. Tenendo gli occhi confitti in quelli inquisitori del Gran Maestro che cercava di appurarne la reale vocazione. Li aveva abbassati solo quando Lui le aveva comunicato che era stata accolta come inizianda . Da iniziare, ed era giunto il momento del vero inizio. Non la vedeva da tre giorni. Tre giorni che entrambi avevano trascorso in isolamento e riflessione. Lui percorrendo le strade del mondo, che aveva quasi dimenticato, lei nel silenzio avvolgente della segreta, per dimenticare quel mondo da cui desiderava elevarsi.. ed ora stavano di nuovo per trovarsi l’Uno di fronte all’altra. E per la prima volta in ruoli ben definiti. Non piu’ un cortese padrone di casa che accoglie l’ospite in cerca di conforto. Ma un severo Padrone inflessibile pronto a forgiare lo spirito di un diamante grezzo, ed a plasmare il corpo con ogni mezzo a sua disposizione, senza mai voltarsi indietro e con l’obiettivo luminoso e brillante davanti agli occhi ed al cuore. Ricordava ancora il momento in cui lei si era presentata . “.. . posso.. .? disturbo.. .? mi chiamo monica.. .” . Ed il ricordo era gradito al suo cuore. Ed ecco arrivare il momento atteso e temuto. Con il cappuccio sugli occhi, l’uomo attraversa diagonalmente l’ampia sala, non degnando di uno sguardo gli innumerevoli oggetti carichi d’anni e di storia che essa contiene. Punta dritto verso una piccola porticina. La cella in cui e’ rinchiusa la nuova adepta. Apre lo spioncino, e la vede. In ginocchio, a capo chino, vestita d’un ruvido saio, nella stessa posizione che le era stato ordinato di mantenere tre giorni prima. “monica!”, la chiama, e la sua voce infrange il silenzio. “e’ giunto il momento. Puoi uscire, se lo desideri, e non tornare mai piu’. Ma la tua scelta di adesso sara’ definitiva. Non avrai altre vie d’uscita. Hai maturato la tua decisione?”. Silenzio. Il saio che trema leggermente. I capelli le coprono il volto, le mani contratte, quando, d’un tratto, di getto, giunge la sua risposta. “si’. Si’ Signore. Ho scelto la mia strada. Voglia Ella accogliermi per educarmi e rendermi vera. Mi aiuti a trovare cio’ che ho dentro e che non ho ancora potuto far vivere. Mi faccia essere completa.”. Ancora silenzio. E tensione nell’aria. Palpabile. Fin quando una chiave di ferro penetra la serratura sbloccandola. “La porta e’ aperta: esci ora o mai piu’!”. “mai mio Signore. Ho trovato la mia strada. E la seguiro’ sino in fondo. Con il Suo aiuto.”. E ancora alcune gocce di silenzio teso tra i due. Lui le si avvicina, le pone una mano su una spalla. E declama, forse piu’ per se stesso che per lei, per mantenere le antiche tradizioni.. .”ignis ferrumque, vos voco, et vos clamo: estote parati in gerenda et aperienda anima, et ad renovandum corporem. Dona nobis vim et pneuma, ora et semper .”. Parole nate in un tempo lontano, quando l’Ordine era stato creato , ma che mantenevano ancora intatto il loro fascino. “fuoco e ferro, vi chiamo e vi invoco: siate pronti nel preparare e nell’aprire quest’anima, e a rinnovare questo corpo. Dacci la forza e lo spirito, ora e sempre”. E, al di la’ del significato, il loro effetto lo facevano ancora. Infatti lo sguardo di lei si era alzato mentre Lui sottovoce recitava la formula; e senza una parola si era avviata verso la porta, fermandosi sulla soglia per guardare, per la prima volta con abbastanza luce, la grande sala che la attendeva. Colonne di pietra a sostenere volte annerite dal fumo e dall’umidita’, pietre scolpite in facce mostruose e ghignanti, torce ovunque e lunghe teorie di strani oggetti e macchinari un po’ ovunque appoggiati sulla nuda pietra. Un fremito lungo le di lei carni: una cosa e’ sognare e desiderare la catarsi e l’espiazione, l’elevazione e la purificazione, attraverso le sevizie e la tortura. Un’altra, il vederne gli strumenti in attesa. Ma la sua decisione era presa, ed il momento di sconforto lascio’ il campo libero alla gioia per la fine dell’attesa. Alle sue spalle, Lui. “Avanti”, disse con voce ferma, ma che tradiva l’emozione dell’artista di fronte ad un capolavoro. “E’ tempo.”. Cosi’ l’inizianda si incammino’ verso la sua ordalia. Giorni interi di sevizie la attendevano, torture senza fine, dolore e piacere misti in un girotondo che l’avrebbe portata alle stelle. Bastava fare il primo passo, e poi.. .
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