La sala era illuminata irregolarmente, con molti angoli in ombra, che lasciavano all’immaginazione piu’ di un dettaglio. Ma in ogni caso, era la quantita’ che lasciava stupiti. Oggetti di svariate forme e dimensioni, alcuni dall’uso evidente quanto spaventevole, altri invece incomprensibili ad un primo esame. Carrucole pendenti dall’alto soffitto, ganci ed anelli ovunque, alle pareti ed al pavimento, fruste e tenaglie appese alle pareti, rastrelliere di cunei ed aculei, collezioni di cilindri in legno e metallo d’ogni foggia e dimensione. Enormi ceri circondati da una corte di candele piu’ piccole, maschere facciali, divaricatori a vite, un tavolo con in bell’ordine morsetti e pinze. . . poi, nell’estremita’ della lunga sala, una gabbia di dimensioni umane, in metallo, dalle cui maglie sporgevano verso l’interno innumerevoli spine, mentre, appoggiata alla parete opposta, era una tavola con i rulli chiodati, e grandi argani alle estremita’. E poi, panche inclinate, gogne, gruppi di pesi in ordine di dimensione, uno strano armadio evidentemente moderno che stonava nell’insieme di antichita’ intorno, una ruota, cavalletti, piramidi di squarto, la famigerata culla di Giuda, sedie chiodate, e, infine, al centro, illuminato d quattro torce ai suoi angoli, l’Altare. Grande, levigato, da cui pendevano fermi e cinghie ovunque, sia dal basso, sia dal baldacchino che lo sovrastava. Una mano sulla sua spalla, tenera e pressante assieme. Il Maestro le si era avvicinato in silenzio. “E’ tempo”, ripete’. La donna annui’, mentre le ginocchia le tremavano, e un caldo e potente languore le si sprigionava dai recessi piu’ intimi della sua carne. Mosse i primi passi, incerti e spauriti, senza sapere bene quale direzione prendere. Si volse accorata verso il Maestro, quasi a chiedere consiglio. In silenzio l’uomo indirizzo’ lo sguardo verso l’Altare al centro, con uno sguardo enigmatico ed assorto, e privo di qualsivoglia espressione. Si incammino’, seguito dalla donna. Appariva come un sacerdote antico, carico di sapienza e di anni, quasi curvo sotto il peso della responsabilita’. Ma passo dopo passo una nuova forza si impadroniva di Lui, e le sue spalle si sollevavano, come in una nuova e possente reincarnazione. Attorno a Lui sembrava sprigionarsi un’aura leggera e luminosa, come se l’intera forza dell’Ordine fosse affluita alle sue membra. Giunsero. “Distenditi”, ordino’ alla donna. Che con levita’ accompagnata da desiderio prese posto nel luogo a lei deputato. E da lei da sempre atteso. Era infine iniziato il rito cui aveva sempre agognato. Sognato e sperato. Temuto ed invocato. Il Maestro era in piedi vicino a lei. La guardava, e sul suo volto apparve l’ombra di un sorriso. “Ancora decisa?”, le chiese. “Si’ mio Maestro”, fu la risposta, e senza alcuna ombra di esitazione nella voce. “. . .monica. . .” sussurro’ dolcemente “stai per conoscere la vita interiore che hai sempre cercato e che troppo a lungo e’ stata relegata ai margini del tuo universo, rendendoti incompleta ed imperfetta. Conosci quali misteri stai per penetrare? Conosci da quali misteri stai per essere penetrata? Conosci l’impegno che prendi, e l’impegno che Io prendo con te? Sai che una volta iniziato il cammino, ci sara’ un solo modo per interromperlo? Potrai, in ogni istante pronunciare il tuo atto di apostasia, e la porta si aprira’ di nuovo. Ma sara’ una fuga senza ritorno. Non potrai mai piu’ avvicinarti alla luce del tuo spirito, e sarai costretta a vivere nel rimorso e nel rimpianto dell’occasione sprecata. Vuoi ancora ch’Io dia inizio all’ordalia?”. “Si’, Maestro. Sono conscia di ogni aspetto, e conosco le regole. Mi sento pronta ad affrontare l’iniziazione, pronta con tutte le mie forze e tutto il mio spirito. Lo voglio, e lo desidero. Sia fatto di me quanto il mio Maestro desidera e ritiene utile alla mia crescita.” Il Maestro annui’. Gravemente, ponderando ogni parola dell’allieva, come se cercasse leggendo tra le righe di intuire qualche segno di cedimento e di insicurezza in lei. Ma l’indagine lo soddisfece, e, traendo un lungo respiro, si accinse all’opera. Opera d’arte, pensava mentre tra se’ e se’ recitava alcune antiche strofe rituali, ridendo di se’ all’idea che tornassero alla luce le litanie imparate da bambino, quando ancora non capiva bene le finalita’ di cio’ che studiava. E adesso era Lui dall’altra parte della cattedra, ed a Lui, ed a Lui solo, incombeva l’onere dell’insegnamento. Si riscosse. La guardo’, e le sorrise, ottenendone un sorriso timido in risposta. “Le mani sopra la testa!”, le ordino’. E lei, come avesse ricevuto una scossa, di scatto porto’ le braccia dove ordinato. Due fasce in cuoio le imprigionarono i polsi, mentre le catene cui erano collegate si innestavano nei denti dell’argano all’estremita’ posteriore dell’Altare, pur senza entrare ancora in tensione. Altre due fasce le circondarono le caviglie, ed analogamente le loro catene morsero i denti dell’argano anteriore. Le catene scorrevano entro anelli posti ai quattro angoli dell’Altare, cosi’ che gli arti si trovassero ad essere in posizione divaricata. La mano del Maestro aziono’ una leva: e gli argani scattarono. . . pochi centimetri, per poi bloccarsi di nuovo. Un altro tocco alla leva. . . un terzo, ed un quarto. Le catene avevano iniziato a tendersi, portando seco gli arti. Un quinto scatto, un sesto, e gambe e braccia cominciarono a trovarsi innaturalmente tese. Un settimo, e la tensione incontro’ l’approvazione del Maestro. Qualche goccia di sudore imperlava la fronte dell’uomo, che guardando la sua allieva vide di non essere il solo a provare tensione emotiva. . . con il lembo della manica, deterse il sudore dal volto di lei, e le sorrise di nuovo. Ma non pronuncio’ nessuna parola. Combatteva contro il suo cuore che batteva all’impazzata. D’improvviso, ecco apparire un lungo pugnale istoriato nella sua mano destra. La donna ebbe un fremito, ma il Maestro la tranquillizzo’: “non temere, non e’ per te. Comunque, non ancora, e non nella forma che paventi.”. Lentamente, senza fretta, inizio’ a lacerare la tunica che ancora ricopriva la donna. Partendo dal fondo per giungere sino al collo, senza discostare i lembi recisi. Giunto alla fine del percorso, con un unico, ampio gesto li separo’. Lasciando che il suo sguardo indugiasse sulla pelle nuda di lei, alla sua merce’ ed al suo sguardo attento. Le sue mani iniziarono a sfiorarla, delicatamente, per imparare a conoscerla, le caviglie, l’ansa del ginocchio, la rotondita’ delle cosce, la curva dei fianchi, i seni rotondi, ed il niveo collo, per poi tornare sui propri passi, e giungere ancora alle caviglie immobilizzate nel nero cuoio. Metodicamente, la accarezza, con pressione sempre maggiore, indugiando ogni volta un po’ di piu’ sul seno ormai reso turgido dalle continue attenzioni. Una sottile striscia ancora di cuoio appare sulla scena, ed inizia a stringere i seni alla loro base, incrementando il turgore, ed immobilizzandoli in posizione eretta, tesi verso l’alto, mentre le rosse punte dritte e gonfie svettavano alla sommita’. Due dita esperte li afferrarono, con forza ma senza brutalita’, ed iniziarono a manipolarli, ruotandoli, torcendoli, tirandoli, e torturandoli senza sosta. Il Maestro doveva renderli piu’ grandi e sensibili. . . ma non era soddisfatto della sua opera. Decidendo pertanto di ricorrere ad un ausilio tecnico. Dalla rastrelliera alle sue spalle stacco’ uno strano strumento, con un due piccoli tubi che fuoriuscivano, terminando con delle estremita’ a forma di corolla. “Non avere paura, e’ solo una pompa a depressione. Ti aspirera’ e gonfiera’ i capezzoli come non li hai mai visti sinora. E saranno piu’ sensibili di quanto tu possa mai aver provato. Le applico’ le estremita’ ai capezzoli. E con un rumore secco avvio’ il compressore. Un gemito usci’ dalle labbra della ragazza, forse piu’ di stupore e sgomento che non di vero dolore: i seni sembravano voler sparire dentro i piccoli tubi, e la macchina risucchiarli voracemente. Qualche minuto dopo, l’Inquisitore ebbe la certezza che il lavoro svolto era sufficiente, e libero’ i seni dalla pressione: i due capezzoli apparivano come olive, grandi, duri, eretti, superbamente levati verso il cielo. “Buon lavoro. . . ” disse tra se’ l’uomo. “e non e’ che l’inizio. . . ” aggiunse ad alta voce. Si chino’ ad esaminare il risultato, e vide che era davvero cosa buona. La carne era tesa, vibrante, ed il dotto galattoforo si stagliava netto e non piu’ chiuso al centro del bottoncino di carne. Era il momento di procedere, prima che l’enfiagione diminuisse. Si volto’ per prendere due grossi aghi ipodermici, a punta conica, con la punta molto arrotondata: non dovevano ferire, solo penetrare. Li fece passare davanti agli occhi della donna, che li guardo’ con un misto di orrore e speranza, in una indefinibile attesa spasmodica. E procedette. Uno alla volta, li appoggio’ al forellino appena dischiuso, e lentamente, ruotandoli, li fece penetrare. Incurante delle grida della ragazza legata, continuo’ a spingere fin quando non furono dentro per quasi un centimetro, in grado quindi di rimanere in piedi da soli, come antenne drizzate sulla sommita’ di una torre. La donna lo guardo’ con un sorriso di riconoscenza quando arresto’ la pressione. Il respiro di lei era rotto da continui sussulti, mentre con gli occhi cercava di guardare cio’ a cui era sottoposta. Il Maestro la squadro’ con attenzione, notando gocce di sudore sul volto della donna, e detergendole. E vide poi che non erano le uniche tracce di umidita’ sul suo corpo. . . Gli aghi in posizione rappresentavano uno spettacolo emozionante, e da preservare. Eventuali scuotimenti del corpo della donna potevano disgregare l’equilibrio. Urgeva correre ai ripari. Due piccoli morsetti afferrarono le morbide carni dei capezzoli, e le strinsero attorno al loro nuovo cuore metallico, ottenendo insieme l’effetto di dare stabilita’ alla costruzione, e quello di impedire il deflusso del turgore adesso ai massimi livelli. L’inquisitore sorrise soddisfatto, di se’ e della sua vittima consensuale. Il primo passo era stato compiuto. Ma l’opera si preannunciava lunga, e non certo agevole. . . Il Maestro conosceva a memoria ogni passaggio teorico dell’azione appena intrapresa, ma una cosa era il saperlo. Altra il realizzarlo. Guardo’ con aria da conoscitore quelle membra offerte al suo agire, ed accarezzo’ le guance della ragazza: lei, a differenza di Lui, non conosceva neppure l’aspetto teorico di cio’ che la aspettava. Meritava quindi una continua rassicurazione sull’effettiva riuscita di ogni piu’ piccolo passo. E sulla sua possibilita’ di sostenerne l’impatto. L’uomo le disse: “Dovremo adesso aspergere le tue carni, come immagine del lavacro che purifichera’ il tuo spirito. Sara’ una cosa lenta e lunga. E non sara’ facile all’inizio. Ma gia’ da quasi subito imparerai quanto siano frammisti gli aspetti del dolore e del piacere: due sensazioni molto forti, che dovrai cominciare a vivere come indistinguibili ed inseparabili l’una dall’altra.”. Un cenno del capo di lei, senza alcuna parola se non un sospiro sommesso ed uno sguardo implorante e finalmente felice, furono l’unica risposta della donna. Il Maestro si volse; da una scansia alla parete prelevo’, dopo averlo scelto con cura tra altri presenti, un grande cero. Istoriato tutto intorno con immagini di supplizi passati, di processi inquisitori, di espiazioni inflitte a presunte streghe e ad aspiranti purificande.
Aggiungi ai Preferiti