L’esperimento

Decisi di provare, senza starle a chiederle troppi permessi.Tornando a casa, le dissi con tono garbato, ma che non lasciava spazio a repliche: “Oggi e’ il giorno. Preparati per le undici”.Mia moglie annuì, ma senza alcun entusiasmo.La cosa era stata più o meno decisa, di comune accordo, tempo prima. Al momento si era dimostrata incuriosita da questo esperimento di cui non le avevo voluto dare nessun particolare, ma ora – alla prova dei fatti – era chiaramente riluttante. Sapeva che riguardava la sfera del sesso, ma nulla più. Decise, comunque, di tener fede alla parola data – avrebbe forse po-tuto fare altrimenti?.Cenammo, parlammo, guardammo un po’ di TV; ma vivevamo entrambi nell’ansia dell’attesa.Ero eccitato: non potevo distogliere il pensiero dall’esperimento che stavo per fare, con lei (anzi di lei).Anche lei, era eccitata (la conoscevo troppo bene per non capirlo anche se non voleva darlo a vedere), ma soprattutto era preoccupata. Fino a che punto sarei arrivato?Si fece l’ora e senza che io dovessi aggiungere altre istruzioni, si alzò per andarsi a preparare.Si chiuse in stanza da letto, ma era come se la stessi vedendo.Si spogliò’, aprì il cassetto della biancheria e ne estrasse gli indumenti prescelti.Indossò il reggicalze di pizzo bianco (sulla sua carnagione chiara il bianco faceva uno splendido effetto).Si sedette sul bordo del letto per infilare le calze: bianco panna, velatissi-me. Piegò la gamba, infilò il piede nella calza arrotolata, poi distese la gamba e tirò su. Si passò entrambe le mani, lentamente, dal tallone fin sopra alla coscia, per eliminare ogni piega. Infine agganciò il reggicalze.Ripeté rapidamente l’operazione anche per l’altra gamba.Poi indossò la sottoveste, di seta bianca, lunga quattro dita sopra il ginoc-chio, un discreto merletto sui seni e come orlo.Il petto ancora florido (non aveva raggiunto la trentina) acquistava bellezza e mistero sotto quel velo di seta.Per ultimo infilò le mutandine, di microfibra, anch’esse bianche.Dopo aver calzato le scarpe, si controllò allo specchio. Tutto a posto: era bellissima. Piaceva anche a sé stessa. Emozionata dall’incognita di quello che stava per accadere, non riuscì a trattenersi dal socchiudere gli occhi e massaggiarsi il pube, ma fu solo un attimo.Proprio in quel momento io entrai.L’abbracciai, la baciai, le massaggiai anch’io la fica.Lei ricambiò.Era veramente stupenda. I capelli corti, ondulati, dai riflessi rossicci, le in-corniciavano lo splendido viso. Gli occhi, verdi, brillavano come forse mai prima di allora.A quella vista esitai, fui sul punto di rinunciare, ma ormai era tardi. Con un movimento repentino, di sorpresa, la incappucciai, con un sacchetto di pe-sante tela nera. Lei emise una specie di rantolo per lo spavento. Ora era totalmente cieca, immersa nel buio, il suo unico contatto con l’esterno, l’udito. La avvicinai alla poltrona, e senza profferire parola, la feci sedere.Estrassi dal mio cassetto un vassoio, su cui erano appoggiati gli oggetti del mio esperimento. Il tintinnio di questi sulla superficie metallica del vassoio la fece trasalire. Fu quasi sul punto di alzarsi, ma io la bloccai.Senza che avesse il tempo di reagire (ma – davvero – non ne aveva inten-zione) le legai entrambi i polsi ai braccioli della poltrona. Le legai anche le caviglie, cosicché ora non poteva più muoversi.Potevo procedere.Sul vassoio, visibile solo a me, troneggiava l’enorme membro artificiale.Era una mia creatura, una macchina infernale, frutto di ore di lavoro, prove, fallimenti, soluzioni geniali. Niente a che vedere con quanto si può trovare in commercio. Era come un bellissimo pene umano, ma con una forza tutta sua, che risiedeva nell’elettrico cuore vibrante: potente, fluido, e molto silenzioso.(Una nota di colore: circa a due terzi della lunghezza avevo tracciato una riga. Era il limite di penetrazione che non intendevo superare – se mai ci fossi arrivato.)Lo lubrificai esternamente con un olio profumato, massaggiandolo come se fosse stato vero, provando un gusto del quale – francamente – mi vergo-gnai.Il petto di mia moglie palpitava, ansioso. Era l’angoscia di non capire cosa le stava accadendo intorno.Afferrai l’arnese con una mano, con l’altra iniziai ad abbassarle le mutandi-ne. Avevo il cuore in gola. Lei, docile, assecondò la mia azione, finché le mutande le scoprirono totalmente le sua cosa più preziosa. Le lasciai co-sì, a metà coscia. Le mie pulsazioni aumentarono ed anche le sue : era come se sentissi il suo battito in sincronia col mio.Senza indugiare ulteriormente, trattenendo il respiro per l’emozione, ap-poggiai l’ogiva del membro artificiale all’ingresso della vagina. Lei arretrò d’istinto, senza realmente rendersi conto di ciò che accadeva.Ipocrita, la rassicurai con una carezza sul volto incappucciato, poi ripresi.Lentamente il membro si fece strada. Percepivo il dilatarsi del suo ventre, involontario segno di piacere. Accennando un dolcissimo movimento a stantuffo, la penetrai fino alla riga. Non notai alcuna resistenza, quindi, in-credulo, decisi di osare, e continuai, continuai, fino a che quel cazzo gi-gantesco scomparve del tutto dentro la fica di mia moglie.Stavo scoppiando dall’eccitazione, ma dovevo procedere.Dal vassoio presi il telecomando che mi consentiva di calibrare le vibrazio-ni della mia macchina.Attesi qualche istante, per allentare la tensione, poi, quando lei meno se lo aspettava, schiacciai l’interruttore. Mia moglie ebbe un sussulto, come per effetto di una scarica elettrica, poi si rilassò nuovamente. Io, pian piano, aumentai l’intensità della vibrazione. Ora percepivo un ronzio, sordo, pro-venire da dentro di lei.In principio sembrò non avere alcun effetto, poi lei incominciò a sospirare, sempre più forte, ondeggiando il bacino.Di colpo, portai le vibrazioni al massimo.Ebbe un secondo sussulto, ma dopo il quale, stavolta, non si rilassò.Ora si dimenava, si agitava, mugolava.Strinse i pugni e tirò a sé le braccia, quasi volesse svincolarsi da quei le-gacci, ma fu inutile.Continuava a contorcersi dal piacere. Più volte sollevò il sedere dalla pol-trona, per poi ricadervi con violenza.Nel farlo, contraeva i muscoli delle cosce, esaltando la bellezza di quelle gambe, sottili e nervose.Unì le ginocchia, strofinandole l’una con l’altra, forse nel vano tentativo di estrarre quella macchina infernale che le vibrava dentro… o forse per esaltarne l’azione.Prese a fare un movimento ritmico, lento, avanti e indietro con le anche. Avanti e indietro, avanti e indietro, come se qualcuno la stesse realmente scopando. Chissà ora cosa sognava…In un crescendo di orgasmo, accelerò il movimento. Più che una scopata, ora sembrava una monta. I capezzoli le si irrigidirono, quasi volessero sfondare il delicato merletto che li copriva. Muggì, muggì di piacere. Poi riversò la testa all’indietro, in preda alle convulsioni, urlando nel delirio dell’estasi.Improvvisamente ammutolì, ebbe un ultimo spasmo poi si afflosciò, cessò ogni contorsione, si calmò con un sospiro profondo.Capii che era finita.Spensi la macchinetta ed estrassi l’arnese, grondante di muco biancastro.Potevo fermare il cronometro: era durata in tutto 56 secondi.