L’infinito. Sibilla era magica! Sibilla valicava i confini culturali e sociali e planava all’interno delle anime lasciandole indolenzite. Sibilla ti fissava e dai suoi occhi lo sconquasso delle onde sui cupi scogli ti sommergeva imponente. Sibilla sfiorava, baciava, amava come fosse l’incarnazione dell’amore. Sibilla era giovane e nonostante le sue rotondità giunoniche fossero bilanciate dal viso fanciullesco sul quale spiccavano labbra voluttuose, sembrava rappresentare tutta la storia dell’umanità. La conobbi a Segesta mentre scendeva dalla ripida discesa che portava al teatro greco incurante del sole siculo che s’abbatteva violento sul creato. Il suo passo danzante ed il suo sorriso ingenuo mi inebetirono impedendomi di distogliere lo sguardo dal suo finché non fu, ferma, dinanzi a me! Sembrava che un pezzo dell’astro si fosse staccato e fosse atterrato proprio al mio cospetto ed io non sapevo cosa dire. La mia mente sembrava eludere qualsiasi controllo e le membra fattesi leggere faticavano a sostenermi. Sibilla mi scrutò per interminabili secondi e poi ridendo proclamò: “Tu sei buono!!”. Non seppi rispondere e nemmeno ricambiare il sorriso immerso com’ero in una sorta di paralisi onirica; la sconosciuta che mi sorrideva a pochi centimetri si voltò mostrandomi le nude spalle coperte appena da uno scollato vestito il quale, non seguendo subitaneamente il movimento del corpo, s’impennò mostrandomi parte dei glutei. “Stai andando al teatro vero?” mi disse sempre voltandomi le spalle. “La strada è ancora lunga e farla in compagnia è molto meglio!” e così facendo mi prese la mano e mi tirò verso l’alto. Mossi le gambe senza proferire verbo e mano nella mano salimmo. Pensai, rozzo e misogino individuo, fosse pazza, ma lei parlava e mi narrava di Segesta, degli Elimi e dei Selinuntini, di Cartagine, dei Greci di Siracusa e a me sembrava che lei fosse già viva 2400 anni fa. Non sembrava seccata o stupita dall’inetto interlocutore a cui faceva da cicerone e, continuava spiegandomi ciò che aveva scritto Goethe, quando dal fondo della valle aveva scorto, alto sullo sperone di roccia, l’armonia e la perfezione del tempio greco stagliarsi dinanzi alle brulle alture sicule. L’autobus che portava i turisti non disposti a sfidare la canicola pomeridiana sulla vetta del sito dove il teatro ammiccava il mare, rombò vicino a noi coprendo le ultime parole di Sibilla. Appena scomparso dietro il tornante ella riprese a parlare con tono sempre gioioso. “Come possono salire in quella maniera perdendosi tutta la città tra il tempio ed il teatro?” “Loro non sanno vedere il fascino e la storia che queste pietre emanano e la loro fantasia è intorpidita, mentre noi stiamo viaggiando tra i millenni.” “Anzi, penso che questa strada asfaltata impedisca alle nostre sensazioni di godere appieno della magia di Segesta e, se sei d’accordo, propongo di lasciarla e d’inoltrarci tra i resti del centro abitato.” Senza aspettare la mia replica che non sarebbe arrivata, mi trainò oltre il ciglio della strada e con molta attenzione ci inoltrammo tra i muri diroccati dell’abitato. “Cerchiamo di non farci vedere!!” disse sorridendo sottovoce avvicinandosi al mio orecchio, “sai il regolamento non permette dei fuori percorso a causa dei furti, ma noi non siamo ladri bensì sognatori e non possiamo certo sognare sull’asfalto mentre un diesel petulante ci ammorba col rumore ed il fumo!!”. La seguivo tra i cespugli di lentisco mentre camminava dandomi la sensazione che conoscesse la toponomastica dell’antica città perfettamente. Il suo profumo m’inebriava le nari e le sue forme sinuose m’apparivano come un ghiacciaio che scende dalle vette ai prati. Si fermò a un tratto chinandosi sul terreno e scostò delicatamente la terra con le dita. Provai un senso d’abbandono nel momento in cui per chinarsi dovette lasciarmi la mano. “Guarda cosa ho trovato!”. mi disse raggiante mostrandomi dei pezzetti di terracotta sui quali c’erano dipinti delle graziose figure nere danzanti. “Immagina quali mani avranno dipinto queste figure e quali bimbi ci avranno giocato”. Il suo sguardo si perdeva in quei cocci ed il suo sorriso s’irradiava d’intorno facendomi dimenticare il caldo, la sete, il tempo!! Avrei voluto scostargli le ciocche di capelli neri che gli incorniciavano il viso e baciarla, dirgli che l’amavo da sempre, portarla con…………!! Si voltò improvvisamente e mi disse: “Perché non lo fai?”. Riuscii ingloriosamente a proferire la mia prima parola: “Cosa??”. “Perché non mi baci??”. Il mio mutismo era tornato e la mia lingua affondava neghittosa incapace di muoversi mentre vampate di calore suppongo trasformassero il mio viso in un pomodoro. I suoi occhi nei miei, le sue labbra sorridenti e le mie contratte, il suo corpo rilassato splendido il mio teso e goffo. Si avvicinò e non riuscii che a socchiudere gli occhi: le sue labbra incontrarono le mie una volta e poi ancora con più forza. Intorno la storia testimone dell’ennesima nascita della forza più devastante che l’evoluzione ci ha donato. Miliardi di cellule che sublimano e tutto il creato scomparì mentre galleggiavo etereo sulla più bella nuvola che gli alisei m’avevano destinato. Le braccia inerti sui fianchi accennarono una reazione involontaria e lentamente come se non volessero distruggere un sogno cinsero la vita di Sibilla che docilmente seguì l’invito delle mani a congiungere i corpi. Era leggiadra, profumata, dolce, morbida: era mia!!! Il tempo, clessidra impietosa che aveva reso quelle pietre una volta aggraziate ed accoglienti, cumuli informi, cessò di scorrere. Sibilla si sfilò il vestito, mi spogliò e fu l’amore. I massi resi morbidi dalla sublime congiunzione e le carezze trasformatesi in lampi infiniti che solcavano la pelle come comete l’universo: due corpi e il mistero dell’esistenza scomparso! Il tempo fisso come quel sole che celebrò la rinascita di Segesta intorno a due corpi immortali stagliati in quell’istante, immoti ed infiniti. Giacemmo silenziosi mentre i colori intorno a noi si arrossavano ed il cielo virava allo smeraldo. I nostri cuori, metronomi potenti che avevano sopportato l’esplosione dei sensi, unico rumore intorno a noi. Sono tornato a Segesta anche quest’anno, come un pellegrino seguo con precisione il sentiero fino allo spiazzo dove sotto una pietra angolare sono nascosti dei cocci con delle figure nere dipinte. Mi siedo e li guardo mentre gli occhi immancabilmente si velano. La mente, scrigno di tutte le follie, si apre e sterminati prati di fiori ricoprono l’arida valle mentre le rovine intorno a me s’innalzano magicamente ricomponendosi come allora ed i bimbi vocianti corrono sulle vie ciotolate. Sul promontorio dinanzi la collina vedo minuscoli gli uomini che stanno innalzando quello che sarà delizia per tutti i viaggiatori sensibili. Tra le case intravedo la ripida discesa che porta alle fortificazioni e un giovane risalire. Una ragazza avvolta in una veste sgargiante sta scendendo; s’incontrano, rimangono vicini qualche istante e poi, mano nella mano, risalgono verso il teatro.
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