Questo sabato notte è lento a morire. Emma sta di là, corica sul letto e dorme. Il rumore del suo russare è una nenia assordante che non mi fa dormire. Da più di mezzora sto seduto sulla tavolozza del water e scruto le mattonelle del pavimento per placare l’ansia del mio cuore. Emma è un tipo appariscente; un tipo di donna che non passa inosservato. Ha poco più di trent’anni e le sue forme giunoniche attirano su di sé gli sguardi di molti uomini. Indossa più volentieri abiti attillati che ne mettono in risalto le forme tonde del suo giovane corpo. Disdegno le donne magre in dieta perpetua perché nascondano frustrazioni e complessi d’ogni tipo. La donna in carne invece trasmette allegria e voglia di vivere. Se le forme del suo corpo sono sode e abbondanti, il viso dalle gote rossastre aveva un aspetto dolce e aggraziato. Ha i capelli di colore castano chiaro, mossi e arricciati, che le conferiscono una parvenza di donna vivace. Emma lavora come impiegata all’ufficio acquisti del servizio economato dell’ospedale, l’avevo appreso, casualmente, da un collega. Quando mi capitava d’incrociare il suo sguardo avevo l’impressione di trovarmi di fronte ad una persona speciale e non mi sbagliavo. Un giorno che stavo consumando un pasto alla mensa dell’ospedale fui avvicinato da un collega medico. – Carlo, avrei un piacere da chiederti. Un amica ha urgenza di fare una lastra al torace. Posso mandartela al più presto? – Certamente, se vuoi anche oggi pomeriggio, magari verso le quattro quando sono più libero. – Vieni, te la presento. E’ una nostra collega. Mi alzai da tavola e lo seguii dappresso. Si fermò ad un a tavolo occupato da tre donne; una era Emma. Desiderai che fosse lei la donna che doveva eseguire l’esame. Infatti, fu così. Dopo una breve presentazione ci accordammo sull’orario dell’esame, dopodiché ritornai al mio tavolo. Durante la presentazione, una cosa mi colpì: la sua voce. Il timbro, contrariamente all’aspetto fisico, era greve, quasi mascolino come chi possiede un alto tasso di testosterone nel sangue. Si presentò in radiologia all’ora convenuta; alle quattro precise. L’invitai a privarsi di camicetta e reggiseno per effettuare il radiogramma. Rimasi stupito dalla perfezione dei seni, mi era capitato rare volte di osservare tette così perfette. Voluminose quanto basta erano senza pieghe nella parte inferiore. L’areola dei capezzoli, di colore marrone chiaro, circoscriveva un cerchio piuttosto grande. Le punte turgide lasciavano trasparire una certa emozione. Posizionai Emma contro lo stativo facendole aderire il torace alla lastra radiografica, dopodiché mi allontanai, poi pigiai l’interruttore che azionava i raggi X. – Adesso si può rivestire – dissi dopo avere eseguito il radiogramma. Dopo alcuni minuti ero nel mio studio ad osservare la lastra del torace sul negativoscopio. Non rilevai alcun segno di focolaio broncopolmonare. Si trattava semplicemente di una forma di bronchite che si sarebbe risolta nel giro di pochi giorni. – Dottore, non so come ringraziala. Lei è stato così gentile. – Non si preoccupi signorina, faccia attenzione a non esporsi all’aria fredda – Le strinsi la mano e la salutai. Ho rivisto Emma numerose altre volte. C’incontravamo alla mensa durante l’ora di pranzo. Ieri l’ho invitata a cena, a casa mia, e lei ha accettato. Mentre eravamo seduti sul divano, intenti a gustare un calice di vino, ci siamo ritrovati abbracciati l’uno all’altra scambiandoci tenere effusioni. Nella semioscurità del salotto, debolmente illuminato da una lampada da tavolo, i nostri corpi si erano cercati, poi si è liberata della gonna alzandosi in piedi. L’abito le è scivolato sul pavimento mettendo in evidenza le forme rotonde del corpo che già avevo intravisto in radiologia. La sua bellezza mi è apparsa straordinaria. I fianchi stretti si allargavano sul bacino dando forma a delle natiche straordinarie. Indossava un intimo di colore nero, trasparente, che ne metteva in evidenza l’areola dei capezzoli e i peli del pube. Preso com’ero da tanta eccitazione l’ho trascinata sul tappeto. Con lei ai miei piedi mi sono tolto gli abiti e sono rimasto con indosso gli slip. E’ stata lei a fare cadere quell’ultima mia difesa. Lo ha fatto afferrando l’elastico delle mutande trascinandole per terra. L’uccello, liberato da quell’involucro pulsava inalberandosi verso l’alto. Emma, sdraiata ai miei piedi, ha iniziato a carezzarlo con entrambe le mani. Dopo avermi strizzato per bene le palle, ha afferrato con decisione l’uccello ed ha iniziato a masturbarmi. Ha continuato a farlo per alcuni interminabili minuti, dopodiché mi sono chinato su di lei. Ho liberato le giunoniche tette dall’involucro del reggiseno e mi sono chinato con le labbra sui dolci frutti del suo petto succhiandoli con avidità. Emma mugolava. Sentivo che le piaceva essere leccata a quel modo. Anch’io godevo nell’avere fra le dita due gioielli della natura. Mi ha attirato a sé ed ha infilato la lingua nella mia bocca, poi ha iniziato a frugarmi nella cavità scopandomi con la lingua dentro e fuori le mie labbra. Ho cominciato ad ansimare, la mia mano desiderava infilarsi nel suo bene più prezioso: la fica. In ginocchio osservavo il cespuglio dei peli che e scuri nascondeva la preziosa fessura. Mi sono infilato col viso fra le sue gambe e ho posato le labbra sulla fica. Ciò che le mie labbra sono andate a scoprire aveva dello straordinario. Stavo appoggiando la punta della lingua sulle grandi labbra, quando scivolando verso l’alto ho incontrato un’inusuale lunga protuberanza: era il clitoride. Mai avrei immaginato di scoprire in una donna un simile attributo. La sua lunghezza era di uno o forse due centimetri: era enorme. Allibito dalla rivelazione ho sollevato il capo e ho guardato Emma. Lei ha sorriso quasi a volermi rassicurare dallo stupore che albergava sul mio viso, poi con la mano mi ha sospinto il capo verso quel coso. Ho cominciato a succhiarlo. Era flessuoso, ma abbastanza rigido da estendersi dritto. Ho continuato a spremerlo liberando la passione che avevo in corpo. Emma godeva. Cazzo se godeva! Urlava Alternavo lenti passaggi di lingua sul corpo del clitoride con veloci sfregamenti dell’apice. Mi piaceva succhiarlo. Cazzo se mi piaceva! Con le labbra l’ho scappucciato e ho iniziato a spompinarlo. Per rendere più fluidi i movimenti delle mie labbra mi sono aiutato buttando fuori una grande quantità di saliva. Più continuavo nella mia azione e più mi eccitavo. Sbavavo saliva senza interruzione affondando il mento in quella dolce meraviglia della natura. Poi le ho infilato due dita nella figa. Lei ha avuto un sussulto. Si è scossa in tutto il corpo e mi ha spinto il pube verso il mio mento. – Sì… sì… godo! Godoo! Godooooo. Non riuscivo più a tenerla ferma. Si dimenava tutta, specie col bacino. L’avevo completamente abbrancata, ma lei si muoveva come una pazza scatenata, urlando ed inarcandosi. – Basta… basta!… Mi fai morire… basta!… Basta!!!! Più m’implorava di smettere e più continuavo a succhiare quel meraviglioso clitoride. – Uaah.….. Uaaahh…… sto male, basta smettila! Una serie prolungata di orgasmi avevano caratterizzato quei momenti. L’intenso piacere le aveva provocato un’eccezionale fuoriuscita d’umore dalla figa. La girai carponi e senza troppo indugiare le infilai il cazzo nella fessura. – Sì… voglio che tu goda, con la stessa intensità con cui mi hai fatto godere me. Spingilo dentro tutto… fammelo sentire in fondo alle budella. Dopo ore in cui il mio uccello era rimasto teso e rigido, poteva volare verso il suo nido. La posizione era la mia preferita. Mi piace tenere appoggiate le mani sui glutei di una donna mentre accompagnano i movimenti del cazzo. E’ accaduto anche con lei. L’uccello scorreva facilmente nella cavità, aiutato dall’abbondanza dell’umore. La figa ha iniziato a contrarsi in maniera convulsa. Allora ho deciso di accelerare i movimenti spingendo in profondità l’uccello. Siamo venuti quasi simultaneamente in un coro di urla e grida. Emma è distesa sul mio letto addormentata, chissà se è vera. Mai avrei immaginato di fare all’amore con una donna con un simile attributo, mai avrei ipotizzato tanta delizia. Sono le tre di notte. Mi alzo dal water dove sto seduto da più di mezz’ora e vado in cucina. Accendo il fuoco sotto la piastra del forno a gas. Appoggio il tegamino con lo spezzatino della cena dell’altra sera e tra un boccone e l’altro non posso fare a meno di pensare che ognuno di noi in questa vita è destinato ad essere qualcosa. Tu, Emma, eri destinata ad essere una donna straordinaria. Continua a russare l’alba è ancora lontana.
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