Milena e’ una gran bella ragazza. Alta, bionda, magra, con un seno piccolo, due gambe lunghe, cosce sode ed un sedere rotondo e sporgente. Si veste sempre in modo provocatorio, non sexy, e’ avara di scollature ma piena di aderenze. Il suo sguardo e’ quello di una trentenne che gia’ ben conosce le cose della vita, abituata ad essere sempre scrutata e corteggiata. Le piace scandalizzare le persone con le parole, eccitare le fantasie e scopare, anche se non e’ una ragazza facile da avere. La cosa che la diverte di piu’ e’ eccitare gli uomini e lasciarli a bocca asciutta, con quell’atteggiamento quasi a dir loro “ma che vuoi?”Da sempre pero’ quello sguardo sprezzante e i suoi discorsi da troia mi hanno dato il desiderio di punirla come si deve, di riportarla all’ordine e di farne una mia schiava. Un giorno al telefono, dopo un po’ di cazzate, le dissi di colpo “tu lo sai che devi essere punita per quello che fai. Voglio frustarti e torturati fino a che non avrai espiato col dolore tutti i tuoi peccati. Vieni sabato pomeriggio alle quattro per firmare il contratto di sottomissione”. Senza aggiungere altro riattaccai il telefono.Era per lei una chance da prendere al volo, contavo sull’insoddisfazione della sua anima malata, sul desiderio di provare di piu’ e anche sul suo desiderio perverso di mettermi alla prova. Giunse il sabato e alle 16.03 sentii suonare. Era in ritardo di tre minuti e li avrebbe pagati tutti sulla sua pelle. Entro’. Era tutta in nero. Una gonna corta a mezza coscia aderente, un maglioncino a girocollo con maniche lunghe, calze velate, scarpe aperte col tacco. Quella troia doveva aver fatto girare mezza citta’ mentre veniva a piedi a casa mia con quella massa di capelli biondi su tutto quel nero ed il rumore dei tacchi sul selciato.Vidi che era imbarazzata, le offrii un te’ e davanti alle tazze le mostrai il contratto.Lo lesse ad alta voce come le avevo chiesto, sentivo la sua voce che in certi punti diventava piu’ roca “… che il mio padrone potra’ liberamente concedermi a chiunque e per un tempo a piacere”, “…che il rapporto entra in vigore ogni qualvolta il mio padrone mi dica ‘le porte sono aperte’ e termini quando mi dica ‘si chiudano le porte'”, “…che la parola per sciogliere il contratto sia ‘si aprano le porte’. Potro’ pronunciare questa parola per sciogliermi da ogni vincolo del presente contratto. Se usero’ la parola il contratto avra’ immediatamente termine e non potra’ piu’ essere reiterato”.Non so se Milena gia’ si fidasse di me ma avrei dovuto in ogni caso conquistare la sua totale fiducia per portarla alla sofferenza piu’ profonda.Quando termino’ di leggere non riusciva a guardarmi negli occhi. Vedevo che il foglio che teneva tra le mani vibrava leggermente. Rimase con lo sguardo basso, verso il tavolo di legno che ci divideva facendo finta di rileggere. Poi alzo’ gli occhi e ci incrociammo, nei miei feci balenare uno sguardo duro e tagliente. Disse solo “Accetto” ma aggiunse un mezzo sorriso che mi fece imbestialire. In cuor mio pensai “Non sai cosa ti aspetta troietta”. Firmo’.Eravamo in ballo ed il ruolo piu’ difficile adesso era il mio. Lei era rimasta silenziosa per tutto il tempo. Si aspettava che il gioco emozionante iniziasse ma le dissi alcune cose prima per aumentare il desiderio con l’attesa. “Quando ti rivolgi a me dovrai usare sempre la parola padrone. Le porte sono aperte. Hai capito?”. “Si”. “Allora non hai capito un cazzo, vero?”. Il cambio di tono e l’uso di una parolaccia le fecero sbarrare gli occhi, li abbassò maliziosamente e disse “Si… padrone”.La condussi nel secondo corridoio, nella parte piu’ buia della casa. Finestre e porte erano chiuse e l’antro era illuminato solo da una lampada da tavolo. A circa due metri d’altezza passava una trave di legno a cui era fissato, per il lungo, un tubo di acciaio. “Alza le braccia e afferra il tubo”. Si alzarono anche i suoi seni e il maglioncino scopri’ parte del ventre piatto. Iniziai da li’ toccandola col palmo aperto. La sentii gemere. Le diedi un colpo. “Troia, sto solo sentendo se puoi fare al caso mio come schiava, non iniziare a sbrodolare”. Non era abituata a sentirmi parlare cosi’ e rimase di sasso. MI aveva sempre visto come una persona gentile e premurosa e adesso la ruvidezza dei miei modi la sconcertava.Con la mano continuai a sentirne il fianco, la schiena. Era calda e liscia. Mi stavo incazzando con me stesso per l’eccitazione che quella cagna mi stava dando. Mi misi dietro di lei per non darle elementi di comprensione. Con la destra le sentii le scapole attraverso la maglia. Lei fremeva. Scesi e le afferrai una natica con forza, il pollice sul fianco e le dita che non entravano nel suo culo solo a causa della minigonna tesa “Sei proprio una cagna, io ti sto palpando come una vacca al macello e tu te la godi. Hai molto da imparare”.Continuai a palpeggiarla, toccandole rudemente i seni sopra la maglia. Lei si agitava. “Una schiava sta ferma quando il padrone la saggia” le dissi con durezza all’orecchio. E le tirai un ceffone sul viso. Era impreparata a quella violenza cosi’ sproporzionata al suo difetto. Lacrime le rigavano le guance. I suoi occhi azzurri mi guardavano increduli. Le dissi “Tu capisci vero che devi pagare per il male che hai fatto e che io sono stato mandato a te per pagare le tue colpe”. “Considerami un inviato di un Dio collerico la cui religione non conosce il perdono ma solo espiazione!” Dicendo questo le strizzai la punta di una seno tra pollice e indice. Mugolo’ e cerco’ di staccarsi da quel dolore. Ma le mani, sebbene non legate, rimasero aggrappate al tubo. Vedevo insinuarsi in lei un fremito, pensava fosse solo un gioco tra due amici, un modo quasi per scopare senza dover rendere conto ai propri partner ‘ufficiali’. In realta’ si stava rendendo conto che aveva trovato l’occasione che aveva cercato in tuta la sua breve vita per liberarsi dal peso delle sue pene.”Spogliati e mettiti in ginocchio” le ordinai. Mi sedetti su di una poltrona, comodo, e rimasi a guardarla mentre si spogliava. Si giro’ di schiena e con le mani prese ad alzarsi il maglioncino nero. Non lo fece pero’ per vergogna ma per farmi eccitare per riprendere il controllo. Al che mi alzai di scatto, mi piantai in piedi con la bocca a due centimetri dal suo orecchio e le urlai “SENTI TROIA NON SIAMO QUI PER FARE I TUOI SPORCHI GIOCHETTI!” La voltai verso di me afferrandola brutalmente per una spalla e per la gola, con i miei occhi fissi sui suoi e le mia faccia quasi a contatto con la sua continuai ad urlare “IO SONO QUI NON PER IL MIO PIACERE MA PER LA TU EDUCAZIONE, CAGNA!” Abbassando il tono aggiunsi “Non ho ancora deciso se tenerti come schiava e redimerti o se abbandonarti e lasciarti marcire nell’inferno della tua merda. Per cui adesso spogliati e basta, sei ad una visita d’ispezione non a sollazzare uno dei tuoi cazzi!”Balbetto’ qualcosa di incomprensibile che assomigliava ad una scusa. Gli occhi bassi, la sensazione che qualcosa in lei si stava rompendo ed aprendo.Mi risedetti con aria scocciata. Lei continuava a tenere gli occhi bassi, riprese il bordo del maglioncino e lo sollevò. Scoprì la sua pancia piatta, i suoi fianchi magri, apparve anche il suo reggiseno, bianco, senza spalline, balaustrato. Quando aveva ormai le braccia alzate ed il volto coperto dalla maglia le dissi “Fermati”. Rimasi a guardare il suo corpo, lei mi vedeva attraverso il tessuto che le aderiva al volto, volevo che mi guardasse, che guardasse i miei occhi mentre la osservavano clinicamente. Le dissi “d’ora in poi in mia presenza non indosserai piu’ reggiseno.” Mi fermai e lei riprese ad alzarsi il maglione per farlo uscire. “Stai ferma cretina! Non ho finito e non ti ho dato il permesso di continuare!” Con il tono di prima ripresi “.. con un seno cosi’ ridicolo non sono necessari”. Il fatto di avermi inavvertitamente disobbedito e l’offesa al suo bel seno, sul quale sapeva che migliaia di uomini avevano segretamente desiderato di avvinghiarsi, incrinarono ancor di piu’ il suo fragile equilibrio. Inizio’ a piangere sommessamente, in quella posizione ridicola, non prosegui’ non voleva ovviamente farsi vedere da me mentre piangeva, ancora la sua mente la bloccava.Sadicamente le dissi “Riprendi”.Quando il suo viso sgusciò fuori dal maglione piangeva piu’ forte, il suo volto era contratto nel dolore del pianto. Appoggiò il maglione su di un tavolo al suo fianco, si riprese un poco e inizio’ ad abbassare la minigonna, dimenticandosi del reggiseno. Era il momento per un altro colpo “BUTTA VIA QUEL REGGISENO!!” le urlai. Con la gonna a mezza coscia inizio’ a piangere a dirotto, si stava accovacciando a terra non riuscendo piu’ a reggersi in piedi, il suo corpo come svuotato della sua personalità, stava regredendo all’eta’ in cui non sai cosa sia bene e cosa male. La lasciai piangere accovacciata per terra per qualche decina di secondi. Quando si stava per riprendere e prima di sentirla dire “non ce la faccio piu’ finiamo qui”, mi avvicinai a lei e la accarezzai sulla testa, la strinsi a me e le dissi con tono dolce “brava piccola mia, stai imparando, ti stai pulendo dallo schifo del mondo, non avere paura ci sono io qui con te per aiutarti”. A queste parole il suo sguardo si acquietò, il svolto si distese, nuove forze ripresero il suo corpo. La aiutai ad alzarsi sorreggendola, le dissi “con me vicino nessuno potra’ farti del male”. Le asciugai le lacrime con le dita, si rimise in piedi, ancora vicino a lei aggiunsi “e adesso riprendi a spogliarti come una brava bambina”.Mi sedetti nuovamente, lei era in piedi, prostrata ma con una nuova energia che le stava crescendo dentro, vedevo i suoi occhi ancora arrossati riprendere il vigore dell’infanzia. Si tolse il reggiseno ed i suoi capezzoli rosa apparvero sui suoi seni bianchi e delicati. Si chino’ per togliersi la gonna ed i movimenti ritornavano a quelli di quando era adolescente e si spogliava quasi ignara del suo corpo. Quasi con fastidio si tolse i collant. Le dissi con voce calma “d’ora in poi solo calze autoreggenti o guepiere”. Mi guardo’ con quell’emozione che una quattordicenne ha quando scopre il primo sguardo di un uomo maturo sul suo corpo. Sorrise addirittura dicendo “Si, padrone”. Era rimasta con il tanga, adesso un po’ titubante e imbarazzata inizio’ a sfilarlo facendo attenzione a non mostrarmi il suo sesso, imbarazzata dalla depilazione che solo qualche ora prima avrebbe sfoggiato orgogliosa. Aggiunsi “d’ora in poi solo slip di cotone, bianchi, sgambati, freschi.”***Milena era nuda davanti a me. Le dissi di girarsi e di afferrare con le mani la sbarra. Vedevo il suo bel culo bianco ancora segnato in alto dal tanga stretto. Come devono soffrire le troie per far eccitare i maschi, pensai.Mi alzai e andai nel ripostiglio, presi della corda, un foulard ed una listarella in plastica lunga circa un metro, di quelle che si usavano una volta per appendere i poster. Tagliai due pezzi di corda e le legai i polsi alla sbarra di ferro, senza guardarla. Le scostai le mani e provai la resistenza delle corde. Il suo sguardo era tornato preoccupato. Era diventata la mia schiava senza che le dovessi torcere un solo capello ed era chiaro che si domandava fino a che punto avessi voluto arrivare. Esaudii subito il suo desiderio mettendomi dietro di lei e bendandola col foulard. Lo strinsi forte e le girai attorno. Feci in modo che udisse chiaramente i miei passi attorno a lei, che sentisse i miei occhi guardarla, nuda, attaccata per i polsi ad una sbarra sopra la sua testa, incapace, anche volendo, di sottrarre il suo corpo al mio dominio.Iniziai dandole un colpo col frustino di plastica, di traverso, sulle natiche. Era un colpo leggero, per metterla a suo agio, giusto per farle capire che aveva immaginato bene quello che le sarebbe successo di li’ a poco. Il secondo colpo fu piu’ forte e la sentii ispirare. Non voleva gemere, voleva fare la brava schiava, ma non aveva ancora capito nulla. Per farle meglio comprendere tirai il terzo colpo con forza per strapparle un grido ed una contorsione. Al quarto colpo la vidi lasciar andare la sbarra con le mani e saltellare sui piedi. Alla quinta vergata il suo grido fu chiaramente udibile anche dalle scale del palazzo. Diminuii la forza e continuai a colpirla sulle natiche che iniziavano a striarsi di rosso. Ormai pero’ la pelle si era riscaldata ed anche i colpi piu’ leggeri, che alternavo a quelli forti, la facevano sobbalzare a gemere. Dal decimo colpo ripresi con le vergate, il suo corpo si muoveva in spasmi, le mani avevano abbandonato la sbarra e si divincolava sui polsi trattenuti dalle corde. Inizio’ a mugolare “No, basta, ti prego, basta, mi fa male, no!…”. Stava diventando una brava schiava. Continuai ritmicamente ignaro delle sue richieste. Aumentavo e diminuivo il ritmo dei colpi, aumentavo la pesantezza delle sferzate e le riportavo leggere quando sentivo il suo sedere ben arrossato.Dopo una decina di minuti di trattamento continuato le sue grida si fecero piu’ forti, il suo corpo fremeva e si contorceva, sui polsi si iniziava a vedere il rossore dello sfregamento delle corde. Mi fermai. Andai nel ripostiglio e tornai con una museruola. Faceva ormai troppo baccano con le sue urla e strepiti e non volevo deconcentrarmi. Quando senti’ il bavaglio entrarle in bocca, che era una palla fissata ad una cintura da legare dietro alla nuca, disse spaventata “ma cos’e’?”. Con una sberla le dissi “taci schiava”. Non si aspettava che il gioco fosse tornato cosi’ crudo. Le aprii le mascelle come si fa coi cani, premendo con pollice e indice sui due snodi e inserii la palla in bocca. Non fece resistenza e riuscii comodamente a fissare la cintura sulla nuca. Tornai dietro e le diedi un colpo forte con la verga sulle natiche. La sentii ispirare forte. Controllai che la palla non le bloccasse la possibilità di respirare. Ripresi a colpirla, questa volta con un ritmo ipnotico, crescente sia in frequenza sia in forza. Al quindicesimo colpo era ormai in completa agonia, i mugugni e gli ululati sordi si susseguivano senza soste, il dolore le annebbiava il cervello e vedevo la saliva scendere dai lati della bocca che rimaneva aperta dalla pallina. Le natiche erano ormai completamente rosse e si iniziavano ad intravedere alcune striature violacee. Sospesi i colpi e quasi si accasciò. Allora ripresi, sulla parte bassa della schiena, dove il dolore e’ meno sopportabile e piu’ profondo. Le diedi solo cinque colpi di media potenza e ad ognuno di essi la sentivo urlare cupamente e respirare affannosamente.Ormai era pronta. Presi allora uno spolverino, di quelli che si usano per spolverare le superfici dei mobili. Glielo passai sulla pelle infuocata. Sentivo il suo sollievo ed il suo dolore al contempo. Sollievo per l’aria che lo spolverino muoveva raffreddando la pelle e dolore per il leggero sfregamento delle piume sui pori aperti.Presi lo spolverino con la sinistra e dal davanti iniziai ad accarezzarle le gambe salendo lentamente fino all’inguine. Con la destra impugnai il frustino e ripresi a colpire, prima lentamente e poi vigorosamente mano a mano che lo spolverino si avvicinava al suo sesso. Gemiti e dolore iniziarono a susseguirsi assieme, in un unico movimento alternato, alzava e abbassava la testa, prendeva la sbarra tra le mani e la lasciava andare, dolore e eccitazione si mescolavano, vedevo le sue gambe che si serravano sullo spolverino e si allargavano ad ogni colpo che infliggevo al suo sedere martoriato. Lo strumento aveva raggiunto il suo sesso e lo strofinavo leggermente. Col frustino continuavo a colpirla sul sedere, un colpo, uno sfregamento, colpo e sfregamento, così in continuo accentuando il piacere col dolore.Dopo meno di trenta secondi collasso’, il suo corpo smise di darle retta, i muscoli si contraevano al ritmo dell’orgasmo e del dolore, i mugolii rano diventati un ululato continuo di piacere rotto solo dalle brevi e rapide ispirazioni, continuai a colpirla ed accarezzarla fino a che, con un ultimo spasimo, ispiro’ e lancio’ un grido profondo attraverso la museruola e continuando a tremare.Calai l’intensita’ e la frequenza di colpi, calai la rapidita’ con cui strofinavo il suo sesso con lo spolverino, non aveva piu’ equilibrio si lascio’ andare con il peso di tutto il corpo sui polsi. L’orgasmo terminava di scuoterla con scosse sempre piu’ dilatate e mugolii sempre iu’ deboli.Posai i miei strumenti e afferrai il suo corpo sollevandola. Mentre ancora fremeva tra le mia braccia per gli ultimi spasmi dell’orgasmo, le slegai i polsi e la feci adagiare a terra sul tappeto. Slacciai la museruola e le accarezzai i capelli..

