Una sera Milone se ne stava sul balcone a fumare l’ultima sigaretta. Guardava le luci sparse nella pianura e lo rodeva una tristezza rabbiosa. Sarebbe stato tutto diverso se non avesse avuto bisogno dei soldi di suo padre. Così, invece, doveva obbedirgli, almeno fino a, quando, non avesse fatto un buon colpo alla roulette. Purtroppo, i colpi grossi erano così rari che si era dimenticato quale sapore avessero. Alle sue spalle, la camera era al buio. Si girò per caso e vide filtrare uno spiraglio di luce dall’uscio che metteva in comunicazione la sua stanza con quella delle ragazze. Nel silenzio, ascoltò le voci sommesse di Luisa e d’Eugenia. Si stavano spogliando. Quella sera il caldo lo faceva bollire. Le voci delle ragazze lo fecero sussultare vagamente. Cercò di non pensarci, ma quando le sentì ridere ebbe un brivido incerto lungo la schiena. Lentamente immaginò vaghe nudità accese nel buio, braccia e spalle di donne che contorcevano come in un sogno stupefacente. Si scosse, gettò lontano il mozzicone. Sentì una vampata nel petto, nel ventre, fino al sesso. Voleva distrarsi, pensare ad altro, ma non ci riusciva: era ancor nitido il ricordo del pomeriggio al fiume, quando aveva goduto immensamente grazie agli artifizi suoi, della sorella e della cugina, né poteva dimenticare la promessa che aveva fatto loro e la malizia che esse avevano messo nello sguardo. Di là, oltre l’uscio, cominciò il rumore dell’acqua nel lavandino. Si alzò dalla ringhiera del balcone e rientrò nella camera. Lo assalì la memoria di Cecilia, le belle tette coraggiose, la bocca e la pelle calde: fu una sensazione rovente che si confuse con altre sensazioni erotiche. Sentì il fruscìo delle sottane e volle guardare attraverso il buco della serratura. Luisa era davanti allo specchio. Era nuda e si stava spazzolando i capelli con lentezza, ma si vedeva chiaramente che non rimirava il suo volto bensì gli occhi erano rivolti in basso all’altezza del bacino a rimirarsi la vulva che si apriva e chiudeva col ritmo impresso dall’ apri e chiudi delle gambe: il movimento continuo evidentemente aveva provocato lo sfregamento del clitoride che si ergeva dal pelo sericeo sollevando le ninfe che sporgevano così verso l’esterno. Ripose la spazzola e con gesto aggraziato sollevò prima una gamba indi l’altra poggiando i talloni sullo sgabello dov’era seduta: così il fratello poté rimirare riflessa l’immagine completa della vagina, di color rosa intenso tutta resa brillante dal muco secreto per l’eccitazione. Con due dita della mano sfregava, dall’alto in basso e viceversa, lo spacco vulvare andando poi con le dita fradice a stordire la testa del clitoride il tutto con movimenti via via più veloci e reclinando il capo di lato. Luisa non gli era mai sembrata così bella, in pieno fiore, con gli occhi profondi ma ora non più i ingenui com’era abituato a vederli, bensì socchiusi per l’ebbrezza della libidine. L’occhio si spostò verso destra per vedere Eugenia, anch’essa nuda, curva sul lavandino che si risciacquava le mammelle piene e a forma di boccia, spruzzandole con l’acqua fredda, così che i capezzoli le si indurivano ergendosi notevolmente permettendole di pizzicarseli con leggerezza dopo aver palpeggiato e soppesato i seni con voluttà. Piegata com’era mostrava il deretano in tutto il suo splendore sferico, e verso il basso, dall’incavo delle gambe, sporgeva la parte terminale della vulva, coperta da peluria castana, tal da sembrare un frutto carnoso pronto per essere addentato. Milone vedendola rifletté come il suo corpo placido e morbido delineasse i contorni di una ragazza tranquilla, proprio esattamente l’opposto del corpo tutto impeto e impulsi della sua amante Cecilia. Quando lei si girò fu sorpreso dalla quantità di pelo che sormontava il monte di venere e quando si sedette sul bidet alzando una gamba per mettersi a cavallo rimanendo così con le ginocchia leggermente piegate tale da restare un poco sollevata, gli apparve una vagina di dimensioni mai viste con le ninfe che fuoriuscivano dalle labbra in modo tale da far apparire il clitoride grande quanto un mignolo. Passò un poco di sapone e poi si sciacquò indugiando con la mano sul clitoride prendendolo tra le dita come fosse stato un piccolo pene e sfregandolo con movimenti circolari. Eugenia, salvo astinenze prolurgate, non avrebbe mai suscitato il suo interesse. Il guaio era che, appunto, l’astinenza si prolungava, in quell’esilio agreste. Le due amiche si lisciarono ancora per qualche minuto. Non avevano fretta di mettersi a dormire. Luisa si distese sul letto matrimoniale che utilizzava, per mancanza di letti unici, ogni volta che aveva un’ospite e attese che Eugenia la raggiungesse. Quand’essa arrivò Milone era in preda ad una parossistica erezione che iniziava a fargli male e pensò allora come poteva liberarsi da quella tensione. Non aveva voglia di masturbarsi in solitudine semplicemente guardando attraverso il buco della serratura e quindi si guardò bene dal toccarsi poiché, in quelle condizioni, sarebbe bastato un attimo per venire. Intanto vedeva Luisa sussurrare qualcosa ad Eugenia ma non sentiva cosa dicesse. Capì subito, quando le vide accarezzarsi reciprocamente e darsi tanti piccoli baci sul collo, sui seni, sul ventre fino ad arrivare alle vagine spalancate per accogliere le lingue audaci e lambire i rispettivi sessi. Assistette a tutto il numero delle ragazze fino al loro sfinimento . La luce fu spenta subito dopo lasciando Milone come il viaggiatore che, nel deserto, crede ormai di aver raggiunto l’acqua per accorgersi che è solo un miraggio. Mentre attendeva che le ragazze si addormentassero, il suo sesso lentamente detumesceva ed era un bene, pensando al passo successivo. Alle due della notte quando il silenzio della casa era totale si mise nudo e senza fare il minimo rumore entrò nella camera. La luna illuminava i corpi nudi delle cugine dando alla loro pelle maggior candore; poteva distinguere nettamente le areole dei seni disciolte a formare delle macchie di inusitata estensione. La vista di tutto quel ben di dio fece riprendere slancio al suo arnese e quindi si apprestò, accostandosi dal fondo, ad interessarsi della vulva di Luisa. Le gambe erano scosciate e quindi non gli fu difficile intravedere lo scuro ingresso del sesso. Il leggero afrore che emanava, dovuto alle carezze e leccate della cugina lo eccitarono oltre ogni misura: iniziò con estrema lentezza a leccare l’ingresso della vagina sentendo come, pur Luisa dormisse, questa reagisse prontamente ai suoi stimoli iniziando a colare il liquido che percepiva leggermente salato ma delizioso. Mugolando qualcosa, Luisa, pronunciò il nome di Eugenia farfugliando “non…. hai….ancora.. sonno….hai… ancora…. voglia”. Milone si arrestò; non voleva che la sorella si svegliasse ma lei “no…..continua.. se vuoi… è bello…. ancora….. se vuoi”. Mentre aveva ripreso a suggere quello che in quel momento gli pareva essere il sesso di Cecilia, la cugina nel dormiveglia, sentendo Luisa gemere, si rivolse verso di essa arrivando con la faccia a lambire involontariamente il glande del cugino che nel frattempo, si era sistemato di traverso. Sarà stata anche semi – incosciente ma, al contatto con la pelle tesa e liscia della cappella di Milone si mise a succhiare, seguendo, nel suo pompare, probabilmente un’azione di cui si credeva partecipe in sogno. Così mentre lui si bagnava tutto il viso col succo di Luisa, Eugenia si sorbiva una poderosa scarica di sperma, non riuscendo più Milone a trattenersi. Non se ne avvide per nulla però perché continuava a succhiare ed inghiottire rinverdendo così l’asta che stava per afflosciarsi. Milone, a questo punto, pensò quindi che fosse giunto il momento buono per invertire le parti infilando in bocca a Luisa il glande nuovamente teso e rivolgendo le sue attenzioni alla vulva di Eugenia. Si trovò in un mare di sugo odoroso prodotto durante la fase onirica mentre sul naso sentiva nettamente la protuberanza del clitoride che non aspettava altro che di essere lambito. Tutto si ripeté come la prima volta senza che sorella e cugina si rendessero conto come tutto fosse reale pur se da loro vissuto come in sogno. Saziate che le ebbe del suo nettare, non ancora appagato ma eccitato fuori misura dalla situazione follemente erotizzante, si accinse a saggiare con l’asta la vulva della sorella. La strada era viscida e sdrucciolevole e non ci volle molto per essere presto tutto dentro a riempire lo spazio. Luisa impercettibilmente diede di bacino con colpi leggeri ma persistenti tanto che Milone non fece che lo sforzo di tenersi sospeso per non pesare su di lei, mentre la sua vagina lo mungeva strettamente. Venne con un piacere intensissimo (era la terza volta che eiaculava) in pratica senza l’emissione di sperma. Si sentiva sfinito e se ne sarebbe andato se la vista della boscosa fica della cugina non gli provocasse un nuovo guizzo di vitalità. Si spostò quindi di lato e, inserendosi un dito nell’ano per aiutarsi ad avere una nuova erezione massaggiando il perineo, deflorò anche lei con maggior facilità che la sorella per il fatto che probabilmente Eugenia doveva essersi già fatta da sola chissà quando. Albeggiava quando si ritirò nella sua camera e si buttò sul letto con la testa frastornata dai ricordi lontani e recenti, sentendo sotto il naso, sulla faccia, sulle mani, quell’inconfondibile e persistente odore di mare e di conchiglie appena spiaggiate, che lo rendeva sempre orgoglioso dopo ogni conquista, in particolare questa volta che il fatto aveva l’alone della trasgressione e del proibito. La mattina dopo Eugenia fu la prima persona che Milone incontrò a colazione. La circondò con uno sguardo interrogativo e lentissimo. La ragazza se ne accorse e arrossì. Lui la rivedeva con le mani ricolme delle mammelle la sera e adagiata nuda con la vagina protesa a riceverlo la notte Non si poteva dire che quelle tette da casalinga fossero irruenti, ma ugualmente avevano dato a Milone una sensazione di avidità. “Hai dormito bene questa notte?” chiese con un tono di voce vagamente canzonatorio “Sì, grazie. Mi sono svegliata questa mattina tutta sudata, forse per il gran caldo”. Milone capì che col termine usato Eugenia volesse riferirsi al mare di sugo che si era ritrovata, una volta sveglia, fra le cosce e sul lenzuolo, guardandosi bene però dal riferirglielo . “Parliamone, se vuoi” disse lui di rimando. Lei arrossì ancor più violentemente e farfugliò di qualcosa legata a degli incubi avuti, ma non spiacevoli. Luisa li raggiunse tutta pimpante :”Ho una fame da lupi, questa mattina. Mi sento strana ….. chissà perché…”, poi, rivolgendosi al fratello, che la guardava con ammirazione disse : “Pensa, …..stanotte…. ti ho sognato….è stato bellissimo….” ed aveva una nota di estrema dolcezza nella voce; quindi iniziò la colazione con allegria. Milone non voleva, ma la tentazione di far capire loro che quanto accaduto fosse il contraltare, a parti invertite, delle esibizioni messe in atto da loro al fiume, appena l’altro ieri, era troppo forte, e così chiese la loro attenzione per quanto stava per dire: “Carissime sorellina ed Eugenia, quelli che voi chiamate sogni, incubi, non erano che pura realtà, tanto quanto lo fu quella dei fatti successi al fiume, solo che questa volta ero io la parte attiva; la notte appena scorsa, vi ho fatto visita molto…. ma molto tardi”. “Vuoi dire che eri realmente tu che hai fatto l’amore con me?” strabuzzò gli occhi Luisa rimanendo con la brioche strozzata in gola “e anche con me?” di rimando, come un pappagallo, Eugenia. “Si, mie care, una volta è toccato a voi, una volta a me. A me è piaciuto tantissimo sia la prima che la seconda volta; non so a voi, ma, se ricordo bene, al fiume ve la siete spassata credendo che dormissi, e, ieri sera, è pur vero che non eravate perfettamente coscienti, ma mi avete regalato la possibilità di ben quattro assalti.” Sui visi delle ragazze era dipinto lo stupore per quelle rivelazioni, ma poi, a guardarle con attenzione, non più di tanto: in fin dei conti ambedue erano consapevoli che chi la fa l’aspetti e, quindi, passato il primo momento d’imbarazzo, si misero a ridere guardandosi e osservando Milone che già vedeva aperta la strada per un terzo partouse, questa volta senza fingimenti di sorta. La prima a chiedere, a voler sapere, fu Luisa, che pretese per filo e per segno il racconto di tutto quanto il fratello le aveva fatto e, via via che lui raccontava, le si addolcivano i lineamenti e gli occhi mutavano l’espressione da limpida e forte a torbida e sognante quasi a sottolineare con il pensiero tutte le sensazioni di godimento provate, questa volta però con la certezza che alla fine aveva avuto un vero rapporto sessuale col fratello. La questione morale non la impensieriva: aveva letto, in un libro della biblioteca di casa, di avi e ave, fratelli e cugini, che si erano presi il loro piacere tra le mura dei loro palazzi senza remore di sorta, anzi con la benedizione papale (un Pio II° era tra gli avi della famiglia). Se, all’epoca valeva tale permissività, perché oggi non poteva, almeno tra le mura di casa, essere concesso? Eugenia non aveva tali pensieri, in quanto lei, in linea di sangue, era praticamente un’estranea per Milone; quello che le premeva sapere era se al cugino fosse veramente piaciuta, essendo consapevole di avere il corpo non proprio come quello di una pin-up. Milone, conoscendo le ansie della cugina, la rassicurò premurosamente: “Hai un corpo che sembra quello della “bagnante con griffoncino” di Renoir” mentì Milone per non crearsi una nemica in quel momento “sei morbida e dolce , e hai due mammelle che farebbero la gioia di chiunque, senza parlare del resto che può dirsi veramente unico” concluse; Eugenia arrossì ma si vedeva che intimamente era compiaciuta e rinfrancata.
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