Le case in città delle rispettive famiglie, si trovavano sulla medesima via. Ripresero la vita normale, e venne l’autunno. Luisa non volle più incontrare il fratello per farci l’amore e di questo Milone fu molto dispiaciuto ma comprese che senza l’alibi della campagna e il supporto psicologico di Eugenia, Luisa non se la sentiva più di continuare il loro andazzo pur riconoscendo che si era presa una bella vagonata di sollazzi e piaceri. Eugenia nutriva sempre la segreta speranza che avrebbe sposato il cugino, ma li suo sogno rimaneva tale. Milone conobbe una matura amica della madre che viveva i suoi ultimi sprazzi di giovinezza e aveva trovato in lui lo gigolò perfetto per prestazioni d’amore a pagamento: egli si faceva mantenere lussuosamente e viveva in casa della sua amante ricca, in cambio la faceva gemere di passione tutte le sere. Di tutto ciò i genitori erano dispiaciuti: essi non avrebbero visto male un imparentamento più stretto con la famiglia di Eugenia, nella speranza che il matrimonio facesse calmare lo spirito libertario del figlio. Quando tornava in famiglia, appariva spavaldo come sempre, sicuro di sé e dei suoi gesti. Il padre non gli risparmiava i rimproveri né le minacce; sua madre piangeva. Ma nessuno sentiva la forza di lottare a lungo contro il suo sfacciato cinismo. “Sposerai Eugenia”, concluse il padre, è ora che tu la finisca di procurare dispiaceri e dolori a tutti!”. Milone non si preoccupò dei rimproveri, ma l’ultima frase del padre lo lasciò turbato: il vecchio duca aveva ragione; sembrava destino che dovunque passasse Milone dovesse seminare preoccupazioni per chi l’amava. Non sapeva che cosa ribattere, se non che il suo desiderio era soltanto quello di dare gioia e di riceverne. “Ma, ascoltami un momento”, riprese Milone dopo una lunga pausa rivolto al padre. Non poteva accettare di chinare il capo senza reagire. “Niente discussioni”, tagliò questo bruscamente. “Ti cercherò io stesso un impiego. E tu lo accetterai, bello o brutto che sia”. “Un impiego?” mormorò, sbalordito, Milone. L’idea lo terrorjzzava. “Sì, un impiego. E molto presto”. Milone capì che suo padre parlava sul serio. C’era sempre tempo per ribellarsi. Per il momento gli conveniva aspettare che si calmassero le acque. Non avrebbe sposato Eugenia. A nessun costo. Voleva vivere sul serio, e in ben altro modo. Avrebbe trovato lui, prima o poi, il sistema di far soldi, il modo di curare la cerchia di gente brillante che frequentava. A costo di finire in galera. Che avvenire gli avrebbe offerto il matrimonio? Un matrimonio di noia, di squallide abitudini. Senza sale e senza il pepe cui era abituato. Milone aveva compiuto i diciott’anni: una data che aveva aspettato con impazienza, come se fosse il via per scattare nella corsa della sua nuova esistenza. Ritornò prima di tutto all’amore ubriacante di Cecilia, e all’amore redditizio della matura amica di famiglia. Quando a poker gli succedeva di perdere forti somme, si faceva dare soldi da tutte e due le donne. Quando invece vinceva, era festa e follia per tutti. La duchessa sua madre che per lui aveva sempre avuto un debole, gli passava un vitalizio di nascosto dal marito, cosicchè lui potè prendersi un bell’attico che dava su piazza del Campo ed assumere un maggiordomo come si addiceva al suo rango. Impiegò sei mesi per arredarlo: voleva una casa degna delle donne che aveva conosciuto, e soprattutto degna di sé. Cecilia era ancora, per lui, una continua scoperta erotica: viveva per quegli occhi, per quel seno eretto e spavaldo, per quel grembo che fremeva per lui, ogni volta in modo più intenso. Senza stanchezze, senza respiro, come se non dovesse avere mai fine. Restava a letto con Cecilia per intere giornate. La sua bocca rossa gli fece dimenticare gli amori estivi. Non gli fu difficile cancellare, senza rimorsi, la vita di casa natia e dei suoi. Il tran-tran monotono dei genitori, le noiose occupazioni di tutti i giorni gli apparvero come lontani fantasmi. Gli era rimasto solo un rimpianto: tutti gli avvenimenti gli avevano impedito di parlare di più con sua sorella minore Gaia che però, chissà per qual motivo aveva sempre sentita vicina, mai ostile. Anche lei, a quanto aveva intuito, intendeva vivere tutta la sua libertà. Passò così molto tempo. Finì anche l’amore per Cecilia: senza drammi, senza lacrime. Fu lui a lasciarla, per altre avventure, per altre scoperte. Ogni tanto, come mosso da un vago senso dei suoi doveri di figlio, tornava nella vecchia casa per una breve visita. Una sera arrivò che la famiglia stava per mettersi a tavola. Non si faceva vedere da quasi un anno. Ci fu in suo onore un coro di felicitazioni. La madre, nel frattempo, si era un po’ ingrigita, e soffriva di reumatismi. Il padre si era fatto più curvo, più calvo, ma sempre lo stesso: malinconico, con la solita aria da vecchio nobile incartapecorito. La sorella Luisa era diventata una magnifica donna e lo guardò con fare complice, memore delle notti e dei giorni passati a trastullarsi con lui. Al suo ingresso, gli avevano tutti ricambiato il saluto con una esclamazione di sorpresa. Gaia invece si era alzata in piedi, e gli era corsa incontro gettandogli le braccia al collo e ridendo con una allegria forse eccessiva. La famiglia lo guardò attentamente: più bello che mai, elegante, con un’aria sicura e più matura, come se il mondo si lasciasse dominare da lui. Sembravano tutti fieri di lui, ma anche intimiditi. Milone sapeva che i genitori non si erano rassegnati alla sua lontananza, e che non approvavano la sua vita di ribelle gaudente. La vicenda del matrimonio non era stata dimenticata, tanto più che il padre di Eugenia insisteva a chiedere notizie di lui; “Milone”, gli disse il padre timidamente “se vuoi mangiare con noi…” “Sì, ti pare”, si intromise Gaia, “ha proprio bisogno di noi , lui”. Sedette a tavola. Gaia lo volle vicino; lo servì lei stessa, con le belle mani svelte, ben curate, signorili. Milone la osservò: la sorella aveva una grazia particolare, nel corpo ancora da adolescente; era già donna, sembrava cresciuta all’improvviso, in poco più di un anno. Il padre domandò a Milone come gli andassero le cose “Me la cavo bene. Anzi, se avete bisogno …… qualunque cosa…… dite”. “Sì, io”, saltò su Gaia; aveva un modo di fare spontaneo, simpatico. Il fratello la contemplò: “Sei diventata carina, sai? Allora, cosa desideri?”. “Be’, una volta mi avevi promesso un collo di volpe siberiana…”. Milone si fece portare l’impermeabile frugò nella tasca, ne trasse un involto: “Eccolo qui”, disse, “vedi che io non mi dimentico di te”La ragazza ebbe un piccolo sobbalzo di gioia sulla sedia. Abbracciò Milone, lo baciò sulla guancia: vivace, civetta, deliziosa. Il padre ebbe un commento poco garbato: “Eh, quella lì…”, disse. “Cosa vuoi dire, con “quella lì”?”, rispose Gaia. “Tu”, rispose il padre bofonchiando, “sei tutto il giorno in giro fra parrucchieri e boutiques. Ecco quel che ho da dire”. “E a te cosa importa?”, disse Gaia. Milone interruppe il battibecco rivolgendosi a suo padre: “E per te ho portato una collezione di pipe di schiuma. Guarda se ti piacciono, altrimenti te le cambio”. Il padre fu contento e commosso. Alla madre aveva portato una collana d’ambra molto apprezzata e a Luisa un rubino color sangue di piccione che poi la sorella avrebbe potuto farsi montare come preferiva dall’orefice. Quando le consegnò la pietra la sorella lo guardò con fare interrogativo e Milone sottovoce “mi hai donato il tuo primo sangue, l’ho racchiuso in questa pietra per ricordo “. Luisa sentì un groppo in gola, lo abbracciò con enfasi e gli sussurrò all’orecchio “grazie e sappi che non mi pento di nulla”. Il pranzo finì in allegria. Milone, questa volta, si sentì quasi felice di ritrovarsi in casa dei suoi. Fumando, parlò della sua vita elegante, e raccontò qualche episodio accadutogli durante i suoi viaggi all’estero; riuscì a far sorridere la famiglia. Poi, all’improvviso, senza una ragione precisa, si sentì ancora un estraneo, tra quelle pareti. Fra tutti, adesso lo incuriosiva soltanto Gaia, così diversa dall’ultima volta che l’aveva vista: l’aveva ritrovata spumeggiante, spiritosa, pronta alla battuta. Rise e scherzò con lei quasi tutta la sera. Quando Milone si alzò, salutando, per andarsene, Gaia gli passò l’impermeabile. Poi lo prese sottobraccio, e lo condusse fuori in giardino. Nella penombra, con aria di complicità, gli disse: “Vieni più spesso, Milone. Con questi non riesco più a vivere. Mi soffocano, mi controllano, mi annoiano con le loro premure e i loro moralismi. Io sono come te, sai? Ti giuro che non ne posso più”. Milone indugiò per osservarla un’altra volta, e notò l’aria furba e viva degli occhi della sorella. Un sorriso ambiguo gli sfiorò le labbra e disse come confidasse un segreto: “E così, vorresti frequentare un altro ambiente, vero? Fare un’altra vita…”. Gaia lo teneva per un braccio. Con un gesto molto femminile, un gesto d’amante capricciosa, gli girò il viso e gli accomodò la cravatta: “Milone, se sapessi come lo vorrei. Ma è impossibile. Non sono libera, e poi ci vogliono bei vestiti, eleganti… Non posso uscire con le camicette e le gonne da collegiale che mi impone mamma”. “Non preoccuparti”, disse Milone. Sembrò riflettere un momento: “vieni a trovarmi, combineremo qualcosa”. Gaia ne fu entusiasta: “Oh sì, Milone, quando?” “Anche domani. Domani pomeriggio. Di giorno ti lasciano uscire, no?”. Gaia gli fece una carezza. Milone la baciò castamente sulle labbra fresche e dolci e la sentì tremare fra le sue braccia. Il giorno dopo, di primo pomeriggio, lei suonò all’appartamento del fratello. Il cuore le batteva con tuffi nevrastenici. Il maggiordomo l’accompagnò in camera di Milone che era disteso tutto vestito sul grande letto, e dormicchiava. “Come mai?”, chiese Gaia. “Dormi?”. “No, mi riposo. Ieri sera s’è fatto tardi. Vieni avanti, cosa fai sulla porta? Siediti. Ah, fammi un favore: cercami il Ronson, deve essere lì da qualche parte”. Lei guardò in giro per la camera, trovò l’accendino, e venne presso il letto. Si chinò sopra Milone per accendergli la sigaretta. Ne chiese una. “Fumi anche tu?”.”Qualche volta, ma di nascosto”. “Non ti fa male? Sei ancora una ragazzina”. “Sono una donna. E non mi fa male, tutt’altro”. Accavallò le gambe, scoprendo le ginocchia, e rimase a fissare il fumo della sua sigaretta che saliva in lente spirali. In quell’atteggiamento un po’ studiato, c’era qualcosa di frivolo, di leggero e di incantevole. E anche un pizzico di impertinenza. Era evidente che Gaia voleva ribellarsj, e nella stanza di suo fratello poteva sentirsi libera. “Ascolta, Milone. Il tuo cameriere mi ha guardata in modo strano. Quasi non voleva lasciarmi passare. Credo che mi abbia preso per una delle tue amanti… dimmi la verità, ne vengono molte, qui?”. Milone sorrise: “Ma cosa dici? Qualcuna, può capitare…”. “Io gli ho detto che sono tua sorella, ma forse non mi ha creduta. Be’, poco male”. Milone chiamò il domestico, e gli presentò Gaia. Il domestico si convinse che era proprio sua sorella, ma ebbe un sorriso scaltro e asciutto. Tutto ciò sembrava divertire la ragazza: le offriva un sapore di intimità con Milone, e di avventura, che non aveva mai provato prima. Fece un’infinità di domande: quante stanze aveva, se aspettasse gente, se c’era una stanza per il cameriere. Milone rispondeva e la guardava con stupore. Era carina, tutta carina: dai capelli al seno, alle gambe sottili e alte. Osservò anche un pizzico di cattiveria, in lei, e di colpevolezza: nel modo di ridere, nel modo di sedersi e di mostrare le cosce, nel profumo che emanava. Notò un braccialetto d’oro, e ne volle conoscere l’origine. La grettezza del padre non avrebbe mai potuto permettergli di spendere una somma tanto forte per la figlia minore. Gaia, senza incertezze, raccontò la storia di uno spasimante, un certo Rinaldo, che la corteggiava da qualche mese. “Lo conosco, questo Rinaldo. Senti, Gaia, non avrai mica commesso qualche sciocchezza con lui?”. “Ma no, Milone. Ti assicuro. E poi, non vorrai farmi la morale proprio tu, spero? Ascoltami, fratellino: fra me e te si può fare un patto. Io conosco bene la tua vita, ma tu non sai quasi niente della mia. Io ti somiglio… Anch’io voglio arrivare lontano, per quale strada non mi interessa. Guardami: ti sembro nata per stare in casa di papà?” lui di rimando “Gaia, è un po’ strano quello che mi dici” “E perché? Perché non vuoi ammettere che anch’io desideri una vita più libera? Quel Rinaldo forse non ha intenzioni serie, ma intanto può essermi utile, può procurarmi tante cose…”. “Sei pazza?” “No, è Rinaldo a essere pazzo di me. E io ne approfitto un po’”. Vide la faccia scontenta del fratello, e disse: “Aiutami, Milone. Io sono inesperta, e tu mi puoi guidare. Non lo saprà mai nessuno, resterà un patto silenzioso fra noi due. Perché, vedi, ho per te un sentimento, una simpatia non da sorella, ma più forte… Nel venire qui tremavo un po’, e adesso mi sembra che tu non ti chiami Milone, e che tu non sia mio fratello…”. Gli parlava con calma, ma con tutto il desiderio sulle labbra: “Ti vedo così raramente.., e penso a te ogni giorno. In casa ti accusano, e io ti ho sempre difeso. Quando arrivi sono contenta… Voglio essere la tua amica, ci stai?” Milone sorrise: “Ma dove ti sei fatta così donna?”, chiese. Poi cambiò tono: “D’accordo, combineremo tutto fra noi”. Gaia, entusiasta, lo abbracciò: “Come ti voglio bene!”. “Dovresti andare da Armani e prenderti qualche vestito. Poi fermarti da Alexander e prenderti delle scarpe, indi passare da Intimo e farti mostrare qualche slippino e qualche reggiseno o dei coordinati…”. “Li ho già. Guarda se ti piacciono”. Erano ancora semi-abbracciati. Gaia allungò la gamba fin sull’orlo del letto, e rimboccò la gonna sopra la coscia. Milone fece il gesto di accarezzarla, dove finiva la calza e si vedeva la pelle nuda. Ma si trattenne. Lei con gesto naturale gli prese la mano e gli fece accarezzare la pelle morbida e liscia che precedeva l’attacco dell’inguine. Lui ne fu scosso ma sentì il cuore accelerare i battiti all’improvviso mentre percepì l’uccello come fosse percorso da una scossa. Poi lei si slacciò la camicetta e gli mostrò il reggiseno, che mostrava in trasparenza due capezzoli impertinenti . Si sciolse a malincuore da lei: “Si, Gaia, mi piacciono. Adesso vai, che è tardi”. “Vengo domani?”. “D’accordo”. Milone rimase lungamente con lo sguardo sulla porta da cui Gaia era uscita. E il pomeriggio dopo l’aspettò con curiosità, con ansia. Lei arrivò mentre stava facendo il bagno. La ragazza bussò alla camera ma non attese il consenso “Posso entrare?” e aprì la porta. “Veramente sono….. ma entra pure, se vuoi”. “Come sei bello in accappatoio”, disse lei andandogli incontro ad abbracciarlo: la doccia calda, l’entrata di Gaia lo avevano posto in un strano stato di eccitazione e mentre lei lo stringeva lui percepì l’erezione che non poteva controllare. Anche Gaia, era certo, la sentiva ma non fece nulla per distanziarsi da lui. “Senti”, disse Milone,”ho ripensato a Rinaldo. Sono sicuro che quello non ti sposerà mai; non posso disapprovare il tuo comportamento, ma come fratello, dovrei metterti in guardia”. “Oh, Dio”, rise Gaia, “tu sei così poco mio fratello! In casa nostra ci sei stato così poco. Se venivi a trovarci, mi pareva che entrasse un estraneo. Tutto quello che mi raccontavano di te mi ha sempre dato una sensazione eccitante. Senti, è sciocco quel che ti dico, ma quando vengo da te, certo non penso di venire da mio fratello…”. Esitò un attimo prima di confessare: “Mi sembra quasi di venire a trovare un amante”. Dopo l’ultima frase, si fece delicatamente rossa in viso, e guardò negli occhi il fratello. Riprese a gironzolare per la stanza, con allegria. Sollevò una boccetta controluce e disse: “Uh…, che buon profumo hai. Me ne dai una goccia?”. Milone prese la boccetta, ne tappò l’orlo con il piccolo fazzoletto di lei, e la capovolse due volte. “Me ne metti una goccia qui?”, disse Gaia indicandosi il collo. “E anche qui…così mi sembrerà di essere sempre abbracciata a te….” e pose il dito all’inizio del seno. Una settimana dopo decisero di uscire insieme, una sera. I genitori protestarono, ma dovettero acconsentire alle insistenze di Gaia e di Milone. Il padre si rivolse al figlio “Le dai troppi vizi, Milone. Gaia ha già tante idee balzane per la testa!”. Ormai però i fratelli erano prossimi al cancello e salutarono ridendo allegramente. La “spider” di Milone volò lungo il viale; in un attimo arrivarono al suo appartamento. Rientrando nella camera del fratello, Gaia ebbe un guizzo di felicità: sul letto era steso un meraviglioso abito da sera bianco, con i guanti lunghi, una sciarpa di velo a pagliuzze luccicanti. “Oh, Milone, che tesoro sei!”. “Contenta?”. “Tanto”. Si sollevò sulla punta dei piedi per arrivare a dargli un piccolo bacio sulle labbra. “Come potrò mai ringraziarti? “Non pensarci. Adesso vèstiti, è tardi. Io vado di là per lasciarti più libera”. “Te ne vai?”, fece Gaia, quasi rattristata. “Come vuoi tu”. “Ma sì, certo, vai. Ti chiamerà per allacciarmi il vestito”. Milone si ritirò nell’altra stanza e lasciò la porta socchiusa. Ascoltò il leggero rumore degli abiti di lei che scivolavano. Ascoltava e, attraverso lo spiraglio , vedeva Gaia che si era tolta la camicetta, rimanendo a braccia nude; guardandosi nello specchio, si era lasciata scivolare giù dai fianchi la gonna. La sottoveste era trasparente. Quando si tolse anche quella, Milone poté vedere la svelta figura di lei che si muoveva, scattante, nella luce schermata della camera, coperta da un coordinato di pizzo trasparente. Col cuore a mille dovette estrarre il membro che gli faceva male e lo scopri’ umido di liquido precoitale. Lo massaggiò con estrema lentezza per attenuare la tensione ma facendo attenzione a non esagerare. Un’idea oscura gli passò per la mente, e gli toccò i nervi. Lo prese una voglia intensa di affacciarsi all’uscio, per guardare meglio quella ragazzina tutta pepe, così giovane e già così provocante. Sua sorella. Dovette compiere uno sforzo di volontà per allontanare la tentazione. La vide ancora, di striscio, mentre Gaia si accarezzava pigramente i seni e il ventre . La vide rivestirsi, molto lentamente, ricoprire i fianchi: scomparvero le delicate forme delle gambe, del seno malizioso e vivo. “Milone, cosa fai lì?”. “Fumo”. “Be’, vieni qui. Tanto è lo stesso” “Posso venire?”. Apparve dietro l’uscio, con la faccia alterata, gli occhi fissi. Le disse: “Ti sei pettinata molto bene”. “Ti piaccio?”. Milone rispose di sì. Nella camera si era sparso un acuto odore di donna: l’aroma misterioso e segreto che eccita più di un bacio. Lei non si era ancora infilato il vestito. Il reggiseno celava quasi soltanto i capezzoli. Nell’accomodarsi i capelli, Gaia teneva le braccia alzate, e un’ombra scura di leggera peluria le appariva nel cavo delle ascelle. In quell’atto, scoprì gli occhi del fratello che la fissavano, lucidi. Per pudore, abbassò le braccia: “Non guardarmi così, ti prego” “Fai in fretta, su”, disse lui bruscamente. Andò a sedere in un angolo, appoggiò i gomiti sulle ginocchia prendendosi le tempie con le mani. “Milone, sei in collera con me?”. “No. Ma visto che non devo guardarti…”. “Ma no, guardami pure, se ti piace. Mi vergognavo un po’” rise alzandosi. “Se potessimo vivere insieme, sarei felice! Non ti darei nessuna noia, ti lascerei tutta la tua libertà. Cosa ne pensi?”. “Non ne penso niente, Gaia, ma sarebbe pericoloso”. Sorrise, come per attenuare il senso del termine pericoloso. Gaia si era seduta sul letto, si infilava le calze senza paura di nascondere le gambe: senza volgarità, senza sguaiataggine. Con assoluta naturalezza: “Pericoloso?”, disse. “Be’, tanto meglio”. La tentazione filtrò di nuovo nella mente di Milone. Le guardò il petto, quasi troppo maturo per la verginità di lei; due tettine fantastiche e preziose che sembravano respirare con lei, divise da un incavo profondo, in un candore frizzante; gli piacevano, e lui furtivamente le desiderò, le chiese in una implorazione muta. Il desiderio gli martellava le tempie. Si avvicinò a lei, era troppo bella, la sentì calda e tremante in quel nuovo rapporto che si era stabilito fra loro; la volle legare a sé: la bocca di Gaia era torpida, come in attesa di un bacio che sarebbe stato dolcissimo come il miele e bruciante come il fuoco. Quasi involontariamente, Milone le fece una carezza, sulla spalla, ne sentì il tatto dolce e pastoso. Rabbrividì come se avesse posto la mano su d un puntaspilli. Si scusò, dicendo che le era rimasto un velo di talco. Lei non rise, e non si mosse. Negli slip bianchi, nel reggipetto a trine leggere, il suo corpo sembrava un frutto dolcemente maturo, pronto per essere assaggiato, assaporato sulle labbra. Qualcosa come un brivido di presentimenti vicini si propagò sulla sua pelle. In quell’attimo si sarebbe lasciata baciare con estrema naturalezza: si sarebbe lasciata prendere e godere, perché le piaceva che così fosse, le sembrava che il difficile rapporto con Milone si chiarisse in quel desiderio spontaneo. Ma si scosse, infilandosi velocemente il vestito che Milone le aveva regalato. “Sei bellissima”, disse lui. “La scollatura è perfetta”. “Non sono un po’ troppo nuda?”. “E’ la moda”. Andarono a teatro, poi in casa di un amico di Milone. Si divertirono, e dimenticarono se stessi. Gaia appariva felice. Si sentì orgogliosa di essere osservata con ammirazione, di essere al centro di un’allegra brigata di giovani. Ogni tanto riprendeva coscienza di ciò che forse stava per accadere, e si sentì felice di avere vicino a sé il fratello. Stare con lui le dava un piacere tanto forte da farle sobbalzare il cuore. Un complimento di Milone, per lei, valeva più di tutti quelli che le avevano fatto quella sera. Oscuramente, per gradi, si sentì di nuovo desiderata da lui. Lo stesso desiderio stava vincendo anche lei: già se ne sentiva soffocata, le dava uno spasimo di paura e subito dopo un flusso di gioia. Provò la voglia matta di abbandonarsi nelle sue braccia. Non le appariva più come un fratello. Il fratello che lei ricordava, ancora bambina, era un altro che era poi scomparso di casa, e adesso tornava diverso. Era un altro uomo, un bel ragazzo amato da cento donne. “Ti annoi a restare con me?”, domandò Gaia con voce sinuosa. “No, mi piace. E’ la cosa che mi piace di più”. Parlarono, ballarono, bevvero champagne. Si era fatto tardissimo. Lei era preoccupata per l’ansia della madre che l’avrebbe aspettata. Si alzarono in fretta e Milone pilotò quasi conrabbia la sua “spider” bianca. Salirono le scale di casa sua per un ultimo bicchiere, tenendosi per mano, coscienti della dolcezza e della colpevolezza di quel contatto. Milone la sentì come ipnotizzata. Sapevano di essere soli, e che la loro colpa sarebbe rimasta sepolta con l’oscurità dell’appartamento. Sulla porta, lui la trattenne, si appoggiò con tutta la persona contro di lei, e sentì il fragile corpo , pieno di morbide ondate di piacere, aderire al suo. In quella casa, ora, Gaia provò un turbamento improvviso. Vide il letto, dove tante amanti si erano stese libere agli occhi e alla forza virile di Milone, felici i potersi dare a lui secondo il capriccio del momento: nel mezzo del letto, aperte per un abbraccio osceno; oppure accovacciate sotto di lui; oppure accucciate sopra il suo membro potente. Milone, con le mani pronte alle carezze o ai graffi, in un godimento allucinato, sovrumano; oppure docili audacissime abilità di lui, dolcemente rassegnate, felicemente rassegnate alla sua sapienza di amante. Avrebbe voluto che invece di Milone si fosse chiamato con un altro nome, per potergli dire come le altre: “Ti amo, ti desidero”. Aveva tanta voglia di vivere e di conoscere l’amoredegli amanti veri. Avrebbe voluto conoscerlo proprio con lui, così bello, così vivo, così appassionato. Erano soli, nel pericolo della notte. Indugiarono nel mezzo della camera, silenziosi. Gaia si sentiva un po’ stanca: deliziosamente stanca. Aveva bevuto forse troppo, e adesso le ronzava nella testa qualcosa di insolito, come un ferro incandescente. Percepì che la sua verginità non era che un velo infinitamente fragile, infinitamente vicino ad essere infranto. Milone, di solito così sicuro di sè, sembrava impaurito. Si allontanò da lei, barcollando, ed accese la piccola abatjour a fianco del letto. Erano tutti e due pallidissimi. Non osavano neppure guardarsi. Milone reagì per primo: “Vatti a mettere i tuoi vestiti, Gaia”. “Che cos’hai?”. chiese lei. Lui non si meravigliò della domanda ingenua e inopportuna: “Niente”, rispose, “fa presto”. Lei raccolse la sciarpa bianca che le era scivolata dalle spalle. A piccoli passi andò verso l’altra camera. Sulla porta si girò, e gli sorrise. Fu un sorriso di orgoglio. Milone non rispose; si mise nervosamente le mani in tasca e si avvicinò alla finestra per contemplare la notte stellata, per distrarsi. “Milone”, chiamò Gaia dall’altra stanza, “perchè stai lì ?”. Non le rispose. La sorella lo chiamò ancora. Lui si affacciò alla porta, e la vide di nuovo in slip e reggiseno. Gaia gli corse vicino: “Che hai? Che cosa ti ho fatto?”, domandò con un tono innocente e nello stesso tempo cattivo. Lo abbracciò e si appoggiò contro il suo petto come per fargli sentire quanto fosse morbido e pieno di tentazioni il suo corpo. “Lo so che cos’hai”, disse ancora. “Senti”, continuò parlandogli in un orecchio: fu un bisbiglio simile a un bacio, a un alito: “Amore, amore mio, anch’io vorrei… come te, sai?”. Con le labbra improvvisamente aride, lui la baciò sul collo. Gaia ebbe un sussulto, poi slacciò il gancino del reggiseno, torcendosi, offrendogli i seni liberi che si alzavano con le due punte erette verso la bocca del fratello: “Sì, amore, baciami … tutta…. tutta!”. Il suo viso si era acceso di vampe, gli occhi erano spiritati “Baciami”, disse contraendosi e strusciandosi contro di lui, “baciami ancora, ma tutta… non senti come ti amo…” Milone le scompigliò i capelli, le baciò le labbra, battendo involontariamente i denti contro quelli minuti di lei, tremando, emozionato, godette di quel contatto più dolce di quanto potesse immaginare, le succhiò la lingua, entrò prepotentemente con le labbra nella bocca che Gaia aveva aperto per riceverlo in un abbandono dolce e angoscioso. “Gaia…. Gaia…”, disse lui alla fine. Le sue braccia caddero lungo i fianchi, improvvisamente stanche. Il desiderio infuocato della sorella aveva sopraffatto il suo, quasi annientato. Allora la condusse verso il letto, la fece coricare, cominciò ad accarezzarla pian piano, a toccarla dolcemente, quasi con paura. Lei sorrise, come se sì risvegliasse da un profondo sonno “E allora… che fai?”. “Vieni”, bisbigliò Gaia. “Che cosa?”. “Vieni…”. Non disse nulla. Intrecciò le gambe con le sue. Milone, curvo sopra la sua bocca, risaliva dolcemente con la mano lungo la coscia fino alla vagina della sorella appena protetta dallo slip già fradicio d’umori. Con il dito penetrava di lato ed incontrava il minuscolo bocciolo tutto eretto pronto a ricevere la carezza d’amore. Gaia intanto con timidezza intrufolava la sua mano nella patta del fratello e con delicatezza gli teneva il pene stringendolo in punta e sfregandogli col pollice il cercine tutto umido di sugo d’amore. Milone le sfilò il reggiseno, la baciò dalla gola fino alla gemma delicata dell’ombelico. Poi, lentamente, fissandola negli occhi deliranti, le sfilò le mutandine arrotolandogliele lungo le gambe. Le si stese sopra, la baciò ancora sulla bocca, e con le labbra l’accarezzò tutta, dai capezzoli rosa fin giù sulla vulva, che apparve, nella mezza luce, come un frutto profumato e invitante. “Sei tanto bella”, disse Milone, “tanto bella che mi fai male…”. Gaia non aveva pudore: lentamente, schiuse le gambe. Milone la contemplò ancora, vide il sesso di lei come un fiore oscuro che si apriva per vivere. Non si mosse, Gaia, con esitazione, disse: “Amore, prendimi” Milone raccolse l’implorazione ed avvicinò la bocca a quel sesso tanto agognato, cogliendone il profumo intenso, l’afrore di giovane donna. Le grandi labbra erano morbide e bagnate ed egli v’ inserì la lingua risalendo verso il clitoride: Gaia si inarcava gemendo e favorendo l’azione. Milone beveva avidamente il nettare prodotto in quantità. Più baciava e succhiava, più quel fiore stupendo si apriva ad accoglierlo. Lei non rimase inerte e lo aiutò a svestirsi fino a quando rimase nudo di fronte a lei. Così poteva vedere con chiarezza l’estensione notevole del suo membro e le pulsazioni impresse dalle contrazioni cardiache e dai muscoli perineali. Si abbassò alla sua altezza e lo baciò sul glande ormai fuoriuscito dalla sua guaina, quindi prendendo Milone per le spalle lo attirò a sé con dolcezza, gli prese il membro, lo portò all’ingresso delle grandi labbra e con voce roca lo invitò “…..vieni….vieni…” Milone con estrema attenzione si aprì il varco senza forzare ed inizio lentamente a penetrarla. Era caldissima e per uno strano fenomeno baciandola sentì che la bocca pur calda e invitante, pareva fredda in confronto a quanto calda era la vagina. “Senti dolore ?” le chiese mentre avanzava impercettibilmente. Lei non rispose ma con un colpo improvviso inarcò le reni e s’impalò con il pene del fratello fino ai testicoli emettendo un liberatorio “Si….si…” restando immobile con le cosce spalancate aggrappata con la bocca alla lingua di lui. Milone, aduso ad alvei più larghi e ampi si sentiva piacevolmente catturato dalla dolce vagina della sorella stretta al punto che poteva distinguere nettamente le sue contrazioni che gli massaggiavano tutta l’asta ritmicamente. Le pulsazioni dei due amanti erano tali che rimanevano immobili per non rompere l’incantesimo. Continuando a baciarlo Gaia fece scorrere la mano lungo il fianco, prese quella del fratello e la portò sotto i suoi stupendi emisferi. Aperta come stava gli prese il dito indice e gli fece capire che lo voleva infilato nel buchino grinzoso, tutto bagnato di liquido cremoso. Quando lo sentì inserito, gli fece lo stesso servizio e con l’altra mano gli prese con dolcezza ma saldamente lo scroto e glielo strizzò. Lo stato d’ eccitazione di Milone era tale che un trattamento simile lo portò subito all’apice del godimento: sentì una scarica elettrica partire dal cervello e ripercuotersi nel pene che vibrò tutto ed eruttò prolungati fiottii di sperma: ad ogni emissione il piacere si faceva sempre più intenso. Gaia cogliendo le pulsazioni del glande del fratello sulla cervice del suo utero, fu presa da furore erotico e venne anch’essa dando inizio ad un intenso tremore che partiva dalle cosce e riverberava in tutto il bacino: da un prolungato rantolo emesso gutturalmente ad intervalli Milone comprese che anche Gaia aveva raggiunto con lui l’apice del godimento. Rimasero immobili ed avvinghiati baciandosi con infinita tenerezza. “Sei felice?” chiese Milone e lei “Si, alla follia ” “Potrebbe esser stato pericoloso per te avermi voluto far scaricare tutto in vagina” continuò “Che m’importa; e anche fosse, un tuo figlio varrebbe per me più di tutto”. Lentamente si staccarono e andarono in doccia dove, dopo un tonificante getto d’acqua calda, ebbero un altro rapporto ancora più appagante e coinvolgente, se possibile, del primo. Tornarono a letto dopo che Milone ebbe avvertito la madre che, vista l’ora tarda, la sorella si sarebbe fermata a dormire da lui. Nudi sotto le lenzuola lei gli porse le terga, lui affondò il suo sesso in lei e così uniti nell’affetto, nell’amore e nella carne come i loro antichi avi, il sonno li colse abbracciati e felici.

