Francesca era una maestra elementare. E forse lo sarebbe stata ancora. Dico forse perché quella mattina aveva fatto qualcosa che non doveva. In una fredda sala d’attesa, aspettava di essere giudicata dalla madre superiora che certo non brillava per capacità di perdono e comprensione. Francesca amava il suo lavoro, lo amava davvero. Sin da bambina aveva sognato di diventare maestra. A soli diciotto anni era riuscita ad entrare, grazie a qualche conoscenza come spesso accade in Italia, in un istituto privato molto conosciuto e rispettato di Roma. Aveva sempre fatto bene il suo lavoro e sia i bambini che i genitori di questi erano innamorati della giovane e carina maestra. Francesca aspettava, impaurita e preoccupata e ripensava a quanto era accaduto. Stava giocando con i bambini, quasi tutti figli e figlie di gente molto importante, quando uno dei maschietti, per gioco e non certamente per vero desiderio sessuale, aveva alzato la gonna della divisa di una delle sue allieve davanti a tutti. La poveretta si era messa a piangere e a Francesca, cresciuta con sani principi in un austero collegio religioso, era venuto istintivo di colpirlo con uno schiaffo per impartirgli una lezione. Sfortuna aveva voluto che mentre il bambino era figlio di un noto politico, la bambina non proveniva da nessuna famiglia importante. Il bambino viziato aveva comunicato subito l’accaduto alla madre superiora che ora se ne stava chiusa nel suo ufficio a parlottare con i genitori di questo. Francesca non aveva una famiglia, nulla che potesse chiamarsi tale. I genitori erano morti quando lei era solo una bambinetta e la zia, alla quale era stata affidata, non fece altro che affidarla ad un collegio dalla quale, dopo anni di castità e predicazione cristiana, era uscita solo poco prima di accettare quel lavoro da maestra. Ora era abbandonata, nessuno che la avrebbe accolta se fosse stata cacciata. Con questo stato d’animo entrò nell’ufficio della superiora: sola ed impaurita. La superiora era una donna esageratamente grassa che nulla aveva a che spartire con la vita di rinunce che andava predicando. Era anche molto brutta e, sin da subito, a Francesca sembrò di leggere una certa invidia nei confronti della sua bellezza immatura. Entrò nella stanza e salutò, con gli occhi rivolti in basso, i due genitori. Una sedia vuota era stata lasciata tra loro mentre la superiora si andò a sedere dietro la scrivania. Francesca indossava una gonnellina che arrivava fin sopra il ginocchio ma non poté fare a meno di coprirsi le splendide gambe con le mani visto in che modo veniva fissata. Del seno non doveva preoccuparsi perché era solita abbottare tutti i bottoni della camicia. La madre superiora fece un respiro e cominciò a parlare severamente. – Signorina Torrisi, quello che è accaduto questa mattina è di una gravità assoluta ed imperdonabile. Nel nostro istituto mai era accaduto qualcosa di simile e se si venisse a sapere sicuramente il nostro buon nome ne rimarrebbe compromesso. I Signori Barretta, inoltre, sono da sempre dei grandi finanziatori di questa scuola e mai avremmo voluto che proprio a loro accadesse questa spiacevole esperienza. Francesca ascoltava in silenzio. Ribolliva dalla rabbia perché sapeva di aver ragione e poteva giurare sulla propria buona fede, ma il potere del denaro spesso supera quello della giustizia e avrebbe dovuto chiedere scusa. – Signori, io volevo scusarmi per quanto accaduto e vi assicuro che nulla di simile potrà mai più accadere! – Oh, di questo siamo certi – continuò la superiora – ma le sue scuse non possono certo bastare. Insieme con il Signor e la Signora Barretta abbiamo convenuto che l’unico modo per dimenticare l’accaduto sia quello di allontanare lei da questo istituto. A Francesca sembrò di morire. Il peggiore dei suoi incubi stava diventando realtà Cosa avrebbe fatto sola nel mondo? Non sarebbe stato neanche facile trovare un altro posto di maestra con quel precedente sulle spalle. Non aveva un neanche un posto dove andare a dormire e, senza i soldi della zia, non la avrebbero certo ripresa nel suo collegio. Frastornata dalle sue paure cominciò a piangere davanti ai tre adulti che non sembrarono per nulla commossi. – Ci sarebbe anche un’altra possibilità……… ma non so se……! Un piccolo lumicino era stato acceso, e Francesca non poté far altro che tenerselo stretto stretto e non lasciarselo scappare. Piagnucolando si rivolse alla superiora. – Farò tutto quello che vorrete….. ma vi prego….. non cacciatemi! L’uomo e la donna al suo fianco sorrisero. – Vedi, cara, i signori sarebbero disposti a darti un’altra possibilità se tu fossi disposta a ricevere un umiliazione pari a quella ricevuta da loro figlio qui, oggi, in questa stanza. Il discorso della suora era stato fin troppo chiaro ma l’ingenuità di Francesca non le facevano comprendere a pieno la situazione. – Che cosa intendete per essere umiliata? Chiese alla superiora rivolgendosi però con lo sguardo anche agli altri presenti. – Signorina, io non credo lei sia in condizione di fare domande. Decida subito, o si o no! Autoritaria la superiora le stava offrendo un’unica via d’uscita. Una via d’uscita buia e sconosciuta ma pur sempre una via d’uscita. La sua risposta fu scontata. – Va bene, ditemi cosa devo fare! – Signorina, sono contenta lei sia disponibile, ci sarebbe dispiaciuto rovinarle una carriera che mi auguro sia duratura e di successo – parlò la donna – vede, io e mio marito la riteniamo una ragazza molto bella e vorremmo vederla ………..bene. Ora, finalmente, Francesca capiva quelle frasi misteriose, quegli sguardi ambigui che aveva notato non appena era entrata in quella stanza. Offesa provò ad obiettare. – Ma….. per chi mi……..! – Prima che lei continui, vorrei ricordarle le sue prospettive signorina in modo da evitarle passi troppo affrettati e del quale potrebbe pentirsi per tutta la sua vita! Aveva ragione la superiora, non era quello il momento di mostrare il suo orgoglio ferito. – Va bene – disse asciugandosi le lacrime – cosa devo fare? – Si spogli, tutta! La donna non usava mezzi termini, sapeva quello che voleva e non usava giri di parole. Francesca si alzò in piedi, scostò la sedia, e cominciò. Tolse le scarpe rimanendo con le calze a contatto della moquette. Lentamente sbottonò, uno per uno, i bottoni della sua camicetta bianca; con un gesto sensuale ma non voluto la fece scendere dalle spalle e la tolse. La poggiò sulla sedia. Cercò di sbottonare la cerniera della gonna scozzese ma tremava, poverina, e si fece aiutare dalla dona seduta accanto a lei. Fece cadere la gonna ai suoi piedi. Le facce compiaciute dei presenti le fecero capire di continuare. Si appoggiò alla sedia e sfilò le calze, anche quelle rimasero a terra. Sbottonò il reggiseno e con le braccia lo raccolse davanti cercando di nascondere i suoi piccoli seni. I capezzoli le erano diventati duri e si vergognava. La madre superiora volle tenere lei il reggiseno. Con addosso solo un paio di mutandine bianche e con le braccia a coprire le sue nudità Francesca rimase qualche attimo immobile, incapace di proseguire lo strip. L’uomo, capendo l’imbarazzo! della ragazza, si alzò in piedi. Si avvicinò alle spalle della ragazza fino a toccarla. Il rigonfiamento dell’uomo pressava sul culetto di Francesca che rimaneva senza fiato senza muoversi e incapace di parlare. L’uomo le infilò una mano nelle mutandine, facendola sussultare ma in silenzio, strusciò il palmo contro i suoi peli ricci e lunghi, poco curati. La mano del maschio si fermò qualche secondo a contatto con la sua vagina, senza penetrazione. Francesca moriva dalla vergogna, l’uomo, tenendole la mano dove nessuno si era mai avvicinato, poteva accorgersi di quanto si stesse bagnando. La mano riprese a muoversi, Con un gesto secco fece scivolare le mutandine bianche fino alle caviglie della ragazza che era ora nuda davanti alla donna che continuava a sorriderle. – Vi lascio da soli in modo possiate chiarirvi con calma!– disse la madre superiora Francesca fu di nuovo terrorizzata, la presenza della suora, persona conosciuta, l’aveva finora aiutata ed incoraggiata. Senza di lei rimanevano solo il suo corpo nudo ed indifeso in balia di due estranei. – Signorina, solo che sarà per lei molto umiliante, ma l’unico modo per farle capire il suo errore è quello di sculacciarla, venga sulle mie gambe. Francesca si accomodò sulle gambe della bella signora con le tette a penzoloni e con il culetto completamente aperto alla sua volontà. La donna cominciò a picchiare forte sulle cosce della ragazza: all’interno delle cosce. Dopo qualche battuta prese a salire e, senza preavviso, le scaglio un forte pacca sulla vagina umida facendola sobbalzare dal dolore. Ad una prima ne seguì un’altra ed un’altra ancora, Francesca ricominciò a piangere. Quando le sembrò di morire dal dolore la donna finì di percuoterla. – Adesso tocca a mio marito vai! Francesca si alzò dalle gambe di lei per raggiungere quelle di lui. Si adagiò ancora una volta con il culetto rivolto al cielo e strinse i denti pronta a ricevere un’altra dose di dolore. Tutto questò le sembrò abbastanza umiliante. L’uomo prese a colpirla sulle tenere chiappate con vigore, forse con tutta la forza che aveva. Francesca Urlò tanto era il dolore ma nessuno, al di fuori della superiora, poteva sentirla. Mentre veniva sculacciata come una delle sue allieve vide la donna sfilarsi i pantaloni e le mutande di pizzo e rimettersi seduta sulla sedia con addosso solo un paio di sensualissime calze a rete. – Basta così, amore, puoi smetterla! Ora signorina venga verso di me, in ginocchio come una cagnolina ubbidiente! Francesca assecondò le fantasie della donna nonostante le facesse male il culo per le botte ricevute. Piano piano, muovendo lentamente le ginocchia Francesca si ritrovò a quattro zampe davanti alla fica matura della signora. Con un gesto elegante questa spalancò le gambe alla vista inesperta di Francesca che rimase a guardare. – Leccamela, ti prego! Francesca non solo non aveva mai fatto, ma non aveva mai pensato di poter fare una cosa del genere. Comunque non poteva essere altrimenti e si intrufolò con la testa tra le gambe della donna. Tirò fuori la lingua ed, ingenuamente, cominciò a leccare la passera come farebbe un bambino con un gelato: grosse leccate. Con pazienza l’uomo cercò di spiegarle meglio cosa dovesse fare ed in breve tempo Francesca riuscì a far venire la donna. – Spogliati amore, voglio vederti mentre te la scopi questa fanciulla! – No, la prego, sono ancora vergine! Obiettò la giovane ancora a quattro zampe. – Potevi pensarci prima, abbiamo fatto un patto ricordi? Questo o niente! L’uomo alle sue spalle si spoglio, lasciando Francesca in quella posizione con un dito prese ad indagare fra le cosce della giovane. – E’ stretta come quella di una bambina, sarà un vero piacere! Le accarezzava delicatamente le tette mentre un dito la penetrava nella vagina provocandole un immenso e sconosciuto piacere. Neanche da sola si era mai lasciata andare al sesso. L’uomo la afferrò per i seni e cominciò ad entrare dentro di lei, a fatica. Sentirsi quel grosso pezzo di carne dentro, quella sensazione di impotenza la facevano godere, suo malgrado. Poco a poco i suo freni inibitori stavano lasciando il passo al piacere sessuale. Non si preoccupò più di salvare le apparenza e cominciò a mugolare di piacere, a bocca aperta, mentre le sue tette venivano fatte ondeggiare avanti ed indietro dalle spinte di lui, potenti e regolari. Provava anche un po’ di dolore, questo si, ma ne valeva la pena e quando raggiunse l’orgasmo ne fu definitivamente certa. L’uomo venne dopo di lei, con premura uscì da l suo ventre e con la mano finì il lavoro all’esterno sporcandole il sedere e la schiena. Il calore di quella sostanza sulla sua schiena le donarono ancora un brivido di piacer! e. Era finita, e non era andata così male. Moglie e marito si rivestirono e chiamarono la madre superiora che pronta rientrò nella stanza. Francesca rimase nuda, seduta sulla sedia al centro tra l’uomo e la donna. – Allora signori, credo possiate ritenervi soddisfatti, vi assicuro che non accadrà mai più nulla di simile! – Va bene, va bene madre, conosciamo quanto tenga al buon nome di questa scuola e per una volta siamo disposti a chiudere un occhio, inoltre la ragazza si è dimostrata molto dispiaciuta e ci sembra doveroso di perdonarla! Così dicendo le mise una mano fra le cosce che Francesca teneva strette e le diede un paio di pacche. Quando i due se ne furono andati Francesca si alzò in piedi e prese a rivestirsi ma fu fermate dalla madre superiora. – Credi che Dio sia contento di quello che hai fatto? No, mia cara, ora dovrai farti perdonare da lui o per te ci saranno solo le fiamme dell’inferno! Francesca rimase di sasso. Tutte le sue antiche paure, le sue sacre sicurezza le tornarono alla mente e la fecero rabbrividire per i peccati commessi. Smise di rivestirsi e, quasi senza forze, si appoggiò seduta sulla sedia. Guardò negli occhi la perfida suora, occhi che la condannavano e che non avevano nessuna pietà. Le disavventure di Francesca erano appena cominciate.
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