Stanco e incazzato dopo una dura giornata di lavoro, George attendeva l’arrivo del treno della metropolitana che doveva riportarlo a casa. Alto quasi due metri, largo quanto un armadio e nero come la pece, George faceva l’uomo di fatica in una casa di spedizioni di Louiseville. Era forte come un toro e le impiegate, in prevalenza bianche, lo stuzzicavano continuamente sognando in cuor loro di essere possedute da quel negro gigantesco. In particolare, nel magazzino dove lui lavorava spostando a forza di braccia balle di cotone da oltre cento chili l’una, c’erano due signorine addette alla contabilità che facevano di tutto per farsi notare da lui, riuscendoci perfettamente. Salvo poi ritrarsi quando lui, esasperato da tante provocazioni e arrapato come una bestia da quelle troiette che gli mostravano, con apparente innocenza, tutto quello che potevano, cercava di allungare un po’ le sue manone grosse come badili. Anche quel giorno le due stronze lo avevano eccitato all’inverosimile accavallando le gambe e mostrandogli le cosce ogni volta che lui passava o, fingendo di non accorgersi della sua presenza, sollevandosi le sottane per sistemarsi i reggicalze neri. Un giorno o l’altro, pensò mentre il treno finalmente si avvicinava alla banchina, le prendo tutte e due e gli insegno a non scherzare col fuoco. Il treno era pieno e George, che come dopo ogni giornata passata in compagnia di quelle due piccole bagasce ce l’aveva duro, si guardò intorno per vedere se poteva trovare sollievo strusciandosi contro qualcuno. Dall’alto dei suoi quasi due metri individuò una giovane messicana che aveva l’aria di non rifiutare le sue avances e, facendosi strada tra la gente, andò a piazzarsi dietro di lei e, fingendo di essere spinto dalla folla, le puntò contro la schiena il suo formidabile uccello duro. La ragazza, fingendo a sua volta di non accorgersi di nulla, si spostò un poco in modo che la grossa mazza di George le si posizionasse bene contro e cominciò ad assecondare col corpo il dondolio del treno. Al negro non parve vero e, spingendo in avanti il bacino, prese a strofinarsi contro le forme rotonde e morbide della giovane messicana. Era sul punto di venire quando lei, inaspettatamente, scese dal treno lasciandolo a bocca asciutta. Sempre più incazzato e, soprattutto, sempre più arrapato, George si guardò nuovamente intorno senza però riuscire ad individuare nessuna donna che potesse sostituire la giovane messicana. Oramai, d’altronde, era quasi arrivato e non c’era più tempo. Quando entrò nel piccolo appartamento che divideva con Pilar, sua figlia, fu investito dal profumo del suo piatto preferito: le polpette al pomodoro. Nessuno sapeva cucinargliele come Pilar, con la cipolla e le spezie. Poteva mangiarne un tegame intero senza battere ciglio. Pilar, diciannove anni, era nata da un suo breve matrimonio con una donna bianca. Aveva la pelle color caffelatte, i lineamenti delicati della madre ed il fisico alto e slanciato dei neri. Era di una bellezza sconvolgente, con le gambe lunghissime, un bel culetto alto e rotondo, il seno grosso, sodo e pieno. Lo accolse con un bel sorriso mostrando i denti bianchi e regolari. – Com’è andata al lavoro? – Di merda, come sempre. – Adesso non pensarci. Fatti una bella doccia e mettiti a tavola. E’ quasi pronto. Cercando di mascherare come poteva la potente erezione che non l’aveva abbandonato per un solo secondo, andò in bagno dove inciampò in un paio di slippini neri di Pilar, appena smessi. Raccoltili da terra li annusò profondamente aspirando il dolce profumo di sua figlia e sentì l’erezione premere dolorosamente contro la stoffa dei calzoni. Quella troia di una messicana non mi ha dato il tempo di godere, pensò mentre l’acqua gelata della doccia gli dava un momentaneo sollievo e gli faceva abbassare l’erezione. Sarebbero bastati ancora un paio di minuti e mi sarei svuotato le palle. Adesso starei meglio e non avrei questa voglia di femmina che mi consuma. Mentre si asciugava non riuscì a resistere alla tentazione e annusò nuovamente gli slippini di Pilar. Quella ragazza aveva un profumo particolare che lo faceva arrapare come nessun altra. Si guardò nello specchio: la sua mazza dura era davvero esagerata. Pochissime donne, lo sapeva per esperienza, erano in grado di accoglierla nel proprio ventre senza dolore. Era troppo lunga e troppo grossa e con la testa troppo larga. Le donne si spaventavano al solo vederla, la trovavano minacciosa. Anche le palle erano oversize, più vicine a quelle di un asino che a quelle di un uomo. E’ parecchio che non le svuoto, pensò. Per uscire dal bagno in maniera presentabile, cioè col cazzo non troppo duro, dovette farsi un’altra doccia gelata. Dopo ventiquattro polpette, innaffiate da due litri di birra, cominciava a sentirsi meglio. Due bicchieri di gin lo misero definitivamente d’accordo col mondo e una enorme fetta di torta al cioccolato lo resero quasi felice. Un altro paio di bicchieri di gin gli tolsero ogni inibizione e gli fecero pensare che quella sera, in un modo o nell’altro, avrebbe dovuto svuotarsi i coglioni che quelle due troiette del magazzino prima, e quella vacca della messicana poi, avevano provveduto a riempire in quella maniera dolorosa. Seduto in poltrona di fronte al televisore acceso aspettava che Pilar, la quale conosceva suo padre meglio di chiunque altro e aveva capito come sarebbe finita la serata, lo raggiungesse per farlo sfogare. Pilar capiva i problemi del padre, sapeva che lui si era ammazzato di lavoro per crescerla e farla studiare dopo che sua madre li aveva abbandonati quando lei aveva solo pochi mesi. Sapeva che lui aveva rinunciato ad avere altre donne per potersi dedicare interamente a lei e gliene era riconoscente. Così, quando lo vedeva in quello stato, quando si rendeva conto che lui era infoiato come una bestia e soffriva, per causa sua, le pene dell’inferno per la mancanza di una donna, gli permetteva di prendersi qualche libertà. Gli si sedeva sulle ginocchia, come quando era piccola, e lasciava che lui le infilasse le mani sotto il vestito per carezzarle le cosce e gli permetteva di intrufolare le dita nelle sue mutandine consentendogli di toccarla nella sua intimità. In fondo piaceva anche a lei farsi toccare da quelle manone che sapevano esser così delicate e il più delle volte raggiungeva dei lunghissimi orgasmi sotto i tocchi sapienti di suo padre. Il quale, a sua volta, strusciandosi delicatamente contro il delizioso corpicino di sua figlia, riusciva a farsi delle gigantesche godute che gli imbrattavano tutti i calzoni dalla vita fino al ginocchio. Ogni volta la ragazza si stupiva nel vedere come il padre si riduceva i calzoni dopo quelle sedute davanti alla tv. Aveva già visto godere diversi uomini, giovani e vecchi, ma nessuno in quella quantità. Il tutto avveniva senza che nessuno dei due facesse il minimo accenno alla cosa. Lei fingeva di non accorgersi di nulla e lui fingeva di non accorgersi che lei stava fingendo. Seduta sulle ginocchia di George, Pilar quella sera provava una strana agitazione. Si era lasciata col fidanzato ed erano parecchi giorni che non faceva sesso. Quando il padre, seguendo il solito copione, le infilò una mano sotto il vestito e prese ad accarezzarle le cosce, la ragazza si sentì invadere da una voglia tremenda, ma fece finta di nulla e lasciò che l’uomo seguisse il solito rituale. Quando però lui, scostando l’elastico delle mutandine, v’infilò due dita e prese a carezzarle il pube ed il monte di venere, lei si sentì bagnare come non le era mai successo durante le precedenti sedute davanti alla tv e quando i duri polpastrelli del negro presero a scorrere sulle labbra lisce e carnose della sua fighetta, lui si accorse di quanto lei fosse eccitata e, eccitatosi ulteriormente a sua volta a sentire la figlia in quello stato, premette con più forza il suo grosso cazzo duro contro il corpo di lei. Attraverso lo spessore degli abiti, suoi e di quelli del padre, lei sentiva la poderosa testa del cazzo del negro premere contro la sua schiena e si accorgeva di bagnarsi sempre di più. Adesso la mano del negro era tutta dentro le mutandine e le sue dita giocavano col piccolo clitoride che si era drizzato come un cazzetto. Fuori di se dalla libidine l’uomo prese a leccare il collo di Pilar la quale, per tutta risposta, gli offrì anche le orecchie nelle quali lui infilò la lingua bavosa. Era la prima volta che lui la leccava e mai cosa gli era piaciuta tanto. Titillandole sempre più il piccolo clitoride e continuando a leccarle collo e orecchie, la sentì venire come mai prima di allora mentre un fiotto di succhi femminili le inondava la mano. Incapace di trattenersi e rompendo la tradizione di silenzio che sempre aveva accompagnato le loro sedute davanti alla tv, la ragazza si lasciò andare in un rumorosissimo e lunghissimo orgasmo che la squassò tutta mentre anche George, ormai al limite della tenuta, diede libero sfogo al suo piacere scaricandosi nei calzoni e nelle mutande una sborrata colossale che sporcò anche tutto il vestitino di Pilar. Dopo qualche attimo di silenzio dominato dal brusio della televisione fu lei a parlare. – Vatti a ripulire, babbo, dopo vado io. Era la prima volta che facevano un qualche accenno alle loro sedute e nessuno dei due provò il minimo imbarazzo. Quando lui si alzò dalla poltrona per andare al bagno lei scoppiò a ridere. – Come fai a ridurti così? Sembra che tu ti sia pisciato addosso! Anche il mio vestito è fradicio! – Mi dispiace, cara. Era da tanto che….sai cosa voglio dire. – E dillo, allora! Era da tanto che non venivi e ti sei fatto una bella goduta! E’così? – Si, è proprio così. Anche tu, però…… – Anch’io era tanto che non venivo e anch’io mi sono fatta una bella goduta. Certo. Adesso vatti a pulire. Passarono diversi giorni durante i quali nessuno dei due fece più cenno a quanto accaduto. Il sabato successivo George si svegliò tardi. Pilar gli aveva preparato una bella colazione con uova, prosciutto, frutta, toast e tanto caffè bello forte, come piaceva a lui. Mangiò di gusto e fece la doccia. Il suo cazzo ritto gli segnalò che era arrapato e che da diversi giorni non dava sollievo ai suoi poveri coglioni. Li sentì gonfi e duri. Fece diversi viaggi in metropolitana alla ricerca di qualche bel deretano femminile contro il quale strusciarsi, ma di sabato i treni erano mezzi vuoti e tornò a casa piuttosto incazzato e sempre più infoiato. Pilar lo accolse col solito sorriso e le bastò uno sguardo per capire che il padre era andato in bianco. Allora accese il televisore e lo invitò a sedersi sulla solita poltrona. Dal momento che stava stirando indossava una vecchia tuta; sintonizzò il tv sullo sport e pregò il padre di attenderla. Dopo qualche minuto ricomparve completamente trasformata, con indosso uno stretto abitino bianco che metteva in risalto la sua carnagione caffelatte e le fasciava le curve piene del corpo; ai piedi portava un paio di sandaletti dorati col tacco che le slanciavano le già lunghissime gambe da gazzella. I capelli raccolti, un filo di trucco e un paio di orecchini di perle la facevano apparire bella come una dea e quando sedette sulle ginocchia del padre, a questi venne un groppo in gola e uno strizzone allo stomaco mentre, più in basso, i suoi giganteschi attributi facevano capire il loro apprezzamento. Anziché sederglisi sulle ginocchia dandogli le spalle come aveva sempre fatto in precedenza, questa volta Pilar sedette di traverso, dandogli il fianco e offrendogli la possibilità di guardarla in viso. La cosa lasciò l’uomo un po’ perplesso. Era imbarazzato ad infilare le mani tra le cosce di sua figlia mentre lei lo guardava negli occhi. Ma lei era talmente bella ed invitante che gli fece superare subito ogni remora e, mentre lei lo guardava sorridendo, lui le infilò una mano sotto l’abitino bianco. In quella posizione, però, lui non poteva premere la mazza contro il suo corpo, ma a questo provvide lei perché, del tutto inaspettatamente, gli fece scorrere la lampo dei calzoni e, senza nessun imbarazzo, gli infilò una mano nella patta incontrando la consistenza della sua enorme mazza dura ancora coperta dal tessuto dei boxer. Un’altra piccola manovra e, scostati i boxer, Pilar fece finalmente venire allo scoperto la parte superiore del cazzo di suo padre che, con la testa ancora incappucciata dalla sua guaina di pelle nera, le apparve in tutta la sua potenza. Con la mano tra le morbide cosce di lei, il negro guardava incredulo sua figlia scappucciargli la fava e mettere a nudo la sua enorme testa. Il contatto della calda e morbida mano di lei gli diede quasi la scossa e il cazzo diede un guizzo mentre sentiva i coglioni ribollirgli di piacere. – Dio, quanto è grosso – disse Pilar mentre faceva scorrere lentamente su e giù la pelle del cazzo. Sentendosi quasi svenire dal godimento, George sollevò i bordi dell’abito della ragazza fino a scoprire del tutto le cosce e le abbassò le mutandine fino a metà coscia. Il pube e il monte di venere, appena ricoperti da una sottile peluria nera, apparvero ai suoi occhi estasiati. Lei divaricò leggermente le gambe per permettergli di ammirare anche le labbra e l’apertura della sua fighetta. La piccola fessura appariva luccicante di tante piccolissime goccioline che imperlavano la pelle rosata delle labbra piene e carnose. Mentre l’uomo passava i polpastrelli sul contorno umido della sua fighetta, lei decise che i calzoni dell’uomo erano di troppo e glieli sfilò facendoglieli scivolare, con i boxer, fino alle caviglie. Adesso la mazza e le palle del padre gli si presentavano in tutta la loro impressionante potenza. Liberata da ogni costrizione, quella stanga nera si ergeva verso l’alto lunga e grossa come l’avambraccio della ragazza la quale, per nulla intimidita da quelle dimensioni, prese a lisciargliela a due mani. Il passaggio successivo fu che l’uomo le sfilò il vestito e le tolse del tutto gli slippini lasciandola completamente nuda. Allora si alzò dalla poltrona e la depose sul vicino divano dove, perso ogni ritegno, cominciò a leccarsela tutta dalla cima dei capelli alla punta dei piedi. Mentre la sua larga e piatta lingua scorreva sulla pelle dorata, calda e liscia della figlia, l’uomo godette come mai in vita sua e dovette più volte fermarsi per non venire. Prendendo spesso fiato se la leccò e lappò dappertutto. Le leccò il viso, le orecchie, il collo, i seni, i capezzoli, la pancia, l’ombelico; lasciando una scia di bava scorse tutto quello splendido e giovane corpo fino al monte di venere e al rigonfiamento del pube. Assaporando finalmente da vicino il profumo della sua intimità, passò la lingua lungo i contorni della sua fighetta facendola gemere e afferrato tra le labbra il piccolo clitoride glielo leccò e ciucciò fino a farla urlare di piacere. La fece venire così, col suo faccione nero affondato tra le cosce della ragazza, con la bocca immersa nei suoi succhi e con la lingua a lavorarla nei suoi anfratti più intimi. Lasciò che si riprendesse da quel terribile orgasmo poi la fece voltare e inginocchiare sul divano, abbassandole la testa conto i cuscini e facendole protendere il meraviglioso culetto verso l’alto. Inginocchiato al suo fianco e partendo dal collo, le leccò tutta la schiena e i fianchi; lasciando per ultimo il culetto, le leccò il retro delle cosce e i polpacci. E i piedini, i suoi meravigliosi piedini! Glieli prese in bocca, glieli leccò e glieli ciucciò, ne succhiò le dita, leccò le unghie, la pianta, il collo del piede. Infilò la lingua tra le dita, poi se li mise in bocca, sembrava volesse mangiarseli. Tornò su fermandosi ad ammirare il suo culetto. Con le sue manone nere ne divaricò le chiappe per ammirare il buchetto: rosato, piccolo, perfetto. Passò a lungo la lingua piatta sulle carni sode e piene delle natiche, poi lungo il solco profondo che le divideva. Tenendole divaricate con le mani, leccò l’interno delle chiappe e ripassò lungo il solco fermandosi al buchetto. La ragazza protese il culo verso di lui al massimo per offrirglielo al meglio. Con la punta della lingua lui le lavorò pazientemente il buchetto fino a che non ne sentì i contorni inspessire. Allora le disse di spingere ritmatamente e, sempre lavorandola di lingua, glielo fece dischiudere come un fiorellino in primavera. Non aveva mai goduto tanto in tutta la sua vita e il suo cazzo stava colando come un rubinetto mal chiuso. Sul divano si era formata una chiazza enorme della bava di cazzo che gli fuoriusciva in continuazione. Aveva le palle doloranti dal troppo succo che contenevano e sapeva che doveva assolutamente svuotarle, ma gli spiaceva dare termine a quel godimento. Il buchetto del culo di lei era adesso bello aperto e lui poteva infilarci la punta della lingua e leccarne l’interno. La bava di cazzo colava sempre più copiosa e nell’aria se ne sentiva l’odore. La ragazza ne percepì l’afrore e capì che il padre stava per venire. – Babbo, stai per godere’ – Si, piccola, ho tanta voglia di svuotarmi ma mi piace tropo leccarti il culo. Non voglio smettere. – Adesso fatti una bella goduta. Dopo me lo lecchi di nuovo, se vuoi. – Hai ragione, non ce la faccio più. – Dammi la mazza da ciucciare, allora. Ti faccio venire con la bocca. – Si, brava, ciucciami la testa. Comodamente seduto in poltrona, la fece accovacciare ai suoi piedi e le diede la testa del cazzo da ciucciare. Era brava Pilar e glielo lavorò a dovere, passando lingua lungo i contorni della cappella, leccandola tutta e infilando la punta della lingua nel buchetto del cazzo, sporcandosela così di bava collosa. Faceva impressione vedere il suo bel viso di ragazza diciannovenne darsi da fare su quella mazza gigantesca che la sporcava tutta di bava. Quando proprio non ce la fece più a trattenersi, il negro si preparò a svuotarsi. – Ti voglio sporcare quel bel faccino innocente – le disse – te lo voglio inondare tutto con la mia sborra. – Fai pure, babbo, io sono pronta. Dimmi come devo mettermi. La fece inginocchiare con la testa reclinata all’indietro e puntò la testa del cazzo a pochi centimetri dal suo viso. Se la ragazza si stupiva ogni volta che guardava i calzoni del padre per quanto si imbrattavano quando lui veniva durante le loro sedute tv, quella volta rimase addirittura scioccata di fronte alla tremenda sborrata che lui le scaricò addosso. Prima di sborrare, però, le passò, la testa del cazzo sul viso, sul collo e sulle poppe, lasciando una scia di bava collosa. Poi si fece dare un’ultima ciucciata alla cappella e, finalmente, si sfogò. Lunghissimi getti di crema spessa, quasi solida, colpirono il viso di Pilar come schiaffi lasciandola senza fiato, subito seguiti da altri schizzi e poi da altri ancora. Sembrava che l’uomo non avesse mai goduto in vita sua e che nei suoi coglioni si fossero accumulati anni di produzione spermatica. Terminatele bordate, la sborra prese a colare e l’uomo si fece più sotto in modo che il rivolo di sperma si riversasse tutto addosso alla figlia, lavandola letteralmente col suo seme. Un’ultima raffica di schizzi mise finalmente fine a quella spaventosa dimostrazione di potenza. Accasciato sul divano, l’uomo guardava la propria figlia, che letteralmente ricoperta dalla sua sborra, cercava di liberarsi almeno gli occhi. Aveva goduto come un maiale ma non si sentiva ancora pago. Lasciò che Pilar si ripulisse un poco poi si sistemò in poltrona e se la fece nuovamente sedere sulle ginocchia. La ragazza odorava di sborra e dei succhi della sua figa. La sua imponente goduta doveva averla evidentemente eccitata e se ne accertò mettendole una mano tra le cosce e sentendole fradice. Aveva il cazzo ancora duro e la ragazza glielo prese tra le mani. Mentre lei prese a lisciarglielo, lui carezzò il bel corpo di lei ancora tutto sporco della sua sborra e decise che avrebbe sborrato un’altra volta e un’altra ancora, fino a sfinirsi. Pilar, che voleva assecondarlo in ogni suo desiderio, gli domandò che cosa gli sarebbe piaciuto farle. – Puoi farmi quello che vuoi babbo. Puoi mettermelo dove vuoi. In pancia, in bocca, nel culetto, Puoi sborrare come vuoi e quante volte vuoi. Se ti fa godere puoi anche picchiarmi. – Perché dovrei picchiarti? – Perché a tanti uomini fa godere. – E tu come lo sai? – Me lo raccontano le mie amiche messicane. Il padre di Rosa, per esempio, la mia amica che ha anche lei diciannove anni, la picchia spesso. Me lo ha raccontato lei. Quando sua madre non è in casa lui la spoglia nuda e la picchia dappertutto fino a quando non gode. Mi ha detto Rosa che certe volte suo padre deve godere quattro o cinque volte di seguito per sentirsi soddisfatto e gliene da di santa ragione. Sua madre naturalmente se ne accorge perché la vede tutta piena di lividi e nell’unica stanza in cui vivono sente l’odore della sborra del marito, ma fa finta di niente perché ha paura. – Anche Assunta viene picchiata dal padre. Lui però non le fa male. Se la mette sulle ginocchia a pancia in giù, le solleva la gonna, le abbassa le mutandine e la sculaccia sul culo nudo fino a che non ha goduto. Anche lui deve godere parecchie volte prima di soddisfarsi e quando ha finito Assunta deve lavargli tutti i vestiti perché suo padre si sporca tutto e non vuole che la moglie se ne accorga. Mi ha detto Assunta che a volte suo padre viene talmente tanto che deve lavargli i vestiti più volte per far andare via l’odore della sborra. A lei però piace farsi sculacciare e spesso lo provoca fino a che lui non la batte. Mi ha detto che le piace quando sente il padre godersi nei calzoni grazie a lei. Mi ha anche raccontato che certe volte, quando è proprio infoiato come una bestia, la picchia sul culetto fino a farsi male alle mani e non si accontenta di godersi nei calzoni ma la fa inginocchiare a terra, si apre la patta e le sborra in faccia come hai fatto tu oggi. Mi ha raccontato che suo padre ha delle palle enormi e quando riceve le sue sborrate sul viso, che pare siano gigantesche, le capita di venire anche lei. – Effettivamente piacerebbe anche a me picchiarti un po’, ma ho paura di farti male con le mie manone callose. – Non preoccuparti, babbo, se mi fai male te lo dico. Voglio che tu goda e che ti faccia delle belle sborrate come quella che ti sei fatto prima. – Va bene, piccola, allora ti sculaccio un poco quel tuo bel culetto. Vieni, sdraiati di traverso sulle mie ginocchia, a pancia in giù. Con la figlia messa nella posizione richiesta le schiaffeggiò le chiappe fino a fargliele diventare viola. Quando lei, col viso rigato dalle lacrime, gli chiese di smettere lui la sdraiò a pancia in giù sul divano e le passò a lungo la lingua sulle chiappe arrossate. Poi sedette sul divano e fece sedere la figlia sopra di se, faccia contro faccia. – Babbo, me lo vuoi mettere, vero? – Si, Pilar. Hai paura? – Un pochino. E’ così grosso e lungo. Senza risponderle, il negro la prese per le cosce e la sollevò come un fuscello facendosela delicatamente con l’apertura della figa proprio sulla testa del cazzo ritto. Trattenendo il fiato per la paura Pilar sentì quell’enorme testa di cazzo penetrare lentamente ma inesorabilmente sempre più in profondità dentro di lei. Quando almeno metà mazza era infilata tra le sue cosce, George, sempre reggendola per le gambe, prese a farsela scorrere sul cazzo guadagnando ad ogni colpo qualche millimetro. Col viso coperto di lacrime Pilar si sentiva squartare ma più di ogni altra cosa voleva far godere suo padre il quale, a un tratto, scoprì di essere riuscito a entrare fino alle palle. Stupito lui stesso di essere riuscito ad allogare tanta potenza di cazzo nella pancia di sua figlia, George prese a farsela scorrere sempre più velocemente fino a che, trovato il giusto ritmo, si fece la più bella chiavata della sua vita. Superato il tremendo dolore iniziale Pilar si adattò alle dimensioni del padre e ben presto partecipò attivamente alla chiavata leccando il viso dell’uomo, baciandolo in bocca e leccandogli le orecchie. Dopo averla fatta venire per due volte di seguito, l’uomo decise che fosse giunto il suo turno e, sebbene a malincuore, dovette sfilarsi. Non voleva certo metterla incinta. Si fece ciucciare la cappella e leccare le palle e, quando fu definitivamente pronto, le regalò una magnificata sborrata che la lavò tutta dalla testa ai piedi. Andarono avanti per tutta la giornata. Lui se la godette in ogni modo, toccandola, carezzandola, palpandola, baciandola e leccandola dappertutto. Glielo mise in bocca e in pancia in tutte le posizioni e riuscì anche ad infilare la testa del suo gigantesco cazzo nel buchetto ancora vergine del culetto di lei. Nella stanza l’odore di femmina e di succhi di figa si mescolava a quello del cazzo e della sborra. Il padre la leccava, la baciava, la picchiava, poi la baciava di nuovo; la chiavava e cercava di metterglielo nel culo e lei, docile ed obbediente, si lasciava fare tutto; l’uomo sborrava in continuazione e più sborrava più aveva voglia di farsi la figlia. La storia continuò a lungo ma io devo concludere. Pilar non si sposò per stare col padre e i due vissero felici e contenti.

