Cettina aveva trovato la porta socchiusa. Aveva bussato quattro volte senza che nessuno le rispondesse, poi era entrata nella stanza. “Buongiorno, dottore Biscani.” “Ah! E’ lei. Buongiorno signorina.” Il direttore era seduto alla sua scrivania e, al suo ingresso, aveva alzato gli occhi a stento, come se la ragazza lo avesse infastidito, entrando in un momento inappropriato. La verità e che l’uomo – senza darlo a vedere – aveva tirato un sospiro di sollievo vedendola comparire, convinto, com’era, che non sarebbe tornata mai più dopo quel che era successo il giorno prima. “Scusi, dottore. Forse l’ho disturbata. Torno dop..” “No! Si fermi!” Si era alzato, squadrandola dalla testa ai piedi. Indossava un tailleur pantaloni nero, con sotto una maglia blu scuro che non lasciava spazio a nessuna fantasticheria. – Certo! Cosa poteva sperare, che arrivasse in minigonna??!! -, pensò, infuriato con sé stesso. Si avviò, andandole incontro e, nello stesso tempo, si concentrò sulle parole da adottare per rompere il ghiaccio creatosi tra loro. Non poteva sperare che lo facesse lei. La raggiunse, ancora ferma sulla soglia, le prese le mani fra le sue, e la invitò a sedersi sul divano col solo movimento delle braccia. “E’ lei che mi deve scusare, Cetty. Lei e il suo ragazzo. Sono stato un pazzo, un idiota.” Seguirono parole concitate dell’uno e dell’altra e, per un po’, fecero a gara con l’imputarsi tutte le colpe per quello che era successo. Lei, forse, perché preoccupata di potere essere licenziata. L’altro, spaventato che la ragazza fosse lì solo per preannunciargli le dimissioni e che lo avrebbe denunziato. Finalmente si calmarono. Ognuno capì che non c’era alcun pericolo sul prosieguo del rapporto di lavoro e questo fece cambiare rotta alla discussione in corso. Biscani volle sapere tutto quello che era successo dopo che erano andati via dall’ufficio e Cetty non si fece supplicare per raccontarglielo. Anche lei sentiva il bisogno di sfogarsi con qualcuno. Erano rimasti in silenzio, nell’auto posteggiata, per chissà quanto tempo. Poi, Marcello era esploso. Le aveva urlato che doveva licenziarsi o che l’avrebbe lasciata se fosse ritornata in quei luoghi. Ma lei non aveva ribattuto, era d’accordo e questo lo aveva fatto sbollire. Aveva messo in moto l’auto e si era incamminato. Un’ora dopo, seduti al tavolo di un pub, avevano ripreso il discorso. A metà della conversazione, Marcello aveva cambiato completamente idee: “No, Cetty. Tu non puoi rimanere senza lavoro. Abbiamo bisogno del tuo stipendio se vogliamo avere un futuro tutto nostro.” Le aveva detto, “Solo che dobbiamo trovare un modo perché quel depravato non ti molesti.” Biscani era arrossito sentendo quelle parole, ma pensò che – almeno in parte – se le meritava. “Marcello ha ragione, Cetty”, disse, “cosa vuole che faccia?”. La ragazza guardava in basso, verso il pavimento. “Lei nulla, dottore. E’ a me che ha imposto delle condizioni.” “A lei? E perché?” L’uomo non poté fare a meno di notare il nervosismo che stava crescendo nella sua segretaria. “Ha paura che io e lei…” “Ma come può?! Ma no!!..” lei lo interruppe. “Non posso fermarmi fuori dagli orari di lavoro normali e solo pantaloni. Ecco tutto!” Smise di parlare ed alzò lo sguardo in cerca degli occhi del suo direttore. Biscani la tranquillizzò. Non era poi chissà che – le disse – e lui l’avrebbe aiutata nel non farle fare tardi al lavoro. “Vedrà, Cetty. In pochissimo tempo tutto tornerà come prima. Non è successo nulla, io ho già dimenticato.”, aveva concluso rialzandosi dal divano. Ma la ragazza non si mosse. “Cetty, le va tutto bene?’” chiese dubbioso. Lei rimase silenziosa sino a quando non vide il direttore ritornare sui suoi passi e sedersi accanto a lei. Tirò un lungo sospiro e si tolse un peso, scrutandosi le punte degli stivali che indossava mentre parlava. Tutto di un fiato, gli domandò come potesse affermare che non era successo nulla e che aveva già dimenticato. Biscani tornò a prenderle una mano stringendola tra le sue, “dimenticato cosa, mia cara?”, le rispose. Si era convinto che la condotta migliore fosse quella di mantenersi il più distaccato possibile e rimase impassibile a guardarla intanto che lei rialzava il capo inorridita. “Cosa??!!” gli sbraitò in faccia, “lei ieri mi ha.. lei mi ha .. come può dire??!..” “Signorina, si calmi!”, non trovò di meglio che alzare la voce anche lui, mentre portava una mano sul viso della donna ancora indeciso se tapparle la bocca o accarezzarle una guancia. “NON MI TOCCHI!” Lo schiaffo risuonò nella stanza con un suono secco. Esterrefatto e indolenzito, l’uomo si allontanò subito da quella che, improvvisamente, era diventata una belva indomabile. “Ma che ho fatto??” chiese, confuso. Fu investito da un’ondata di vocaboli che sarebbero stati normali per uno scaricatore di porto, no di certo in bocca alla sua segretaria. Tentò di fermarla, “Cettina, la prego.. si calmi.” “MI CALMO?? Ma si rende conto di quello che…” la mano le tappo la bocca. Biscani era forte e deciso e, seduta per com’era, Cetty non ebbe alcuna possibilità di ribellarsi a quella sottomissione. “La lasciò solo se mi promette che non urlerà più. Va bene?” Lo guardò con rabbia, ma chinò leggermente il capo in assenso, subito ebbe modo di riprendere fiato. “Allora?” il direttore le stava proprio davanti e, a quel punto, la sovrastava per mole e per autorità. Cettina non trovò di meglio che essere remissiva e sincera. “Direttore mi scusi, io..”, l’uomo le fece cenno di non porsi quel problema e di andare oltre, “.. lei ieri era qui con me ed il mio ragazzo. Come può dirmi che non è successo nulla?”, domandò vergognandosi per quel che era sottinteso dalle sue parole. “Vuole sapere perché faccio finta di non rammentare che lei ieri era seduta qui, nello stesso posto, è stringeva in mano il cazzo del suo ragazzo?”. Biscani sentiva di essere padrone della situazione e volle provare il sadico piacere di mortificarla, “Vuole sapere perché faccio finta di non ricordare che ieri le mie mani correvano lungo le sue gambe? Che le mie labbra erano sul suo seno. Che ho conosciuto il sapore dei suoi umori. E’ questo che vuole sapere?” La guardò attentamente. La ragazza stava tremando. Il cervello gli andò in tilt! Avrebbe dovuto correre verso la porta e chiuderla , ma l’impulso animalesco lo proiettò verso il basso, gettandolo sul corpo della giovane. Cettina si ritrovò schiacciata sullo schienale del divano, poi immediatamente distesa sui cuscini, con la bocca dell’uomo che le cercava le labbra, i lombi delle orecchie, le palpebre. Resistette per un attimo, poi si lasciò andare. Il Ragioniere Tantini non comprendeva per nulla i dati giunti dall’agenzia di provincia, c’erano diverse anomalie e, nonostante i ripetuti tentativi, non era ancora riuscito a bilanciare. Ne avrebbe dovuto parlare col direttore – pensò – magari, si sarebbe messo pure in buona luce col nuovo dirigente. Si avviò. La porta era aperta. Fosse stata socchiusa come al solito, avrebbe bussato, ma, così spalancata, varcò la soglia senza preannunciarsi, e quasi gli venne un colpo. Il dott. Biscani era disteso sul divano, braghe calate alle caviglie, e, con la sua mole, sovrastava la giovane Cettina, sua segretaria. Questa, camicia sbottonata e reggiseno sulla pancia, era alle prese col pene del suo capo stretto tra le mammelle (che – per quel che vide il Tantini – sembravano sode e mica tanto piccole), impegnata a lasciarselo scivolare nel solco e ad accoglierlo fra le labbra, ogniqualvolta se ne presentava l’occasione. Tantini rimase sbigottito dinanzi quella scena. I due erano talmente impegnati nel loro fare che non si accorsero della sua presenza; come un automa, si girò sui tacchi e si incamminò verso la sua stanza – l’ufficio era pieno di gente, ma erano pazzi? – disse a se stesso. Aveva percorso metà del corridoio quando ci aveva ripensato e, come se si fosse ricordato qualcosa d’improvviso – si girò nuovamente e fece ritorno verso la stanza del grande capo, la porta era sempre spalancata. Cauto, allungò la testa oltre la soglia e sbirciò dentro. Era il turno della ragazza di avere i pantaloni calati. I due gli davano le spalle, tutti e due in piedi in prossimità del divano. La Cetty era china in avanti con le mani poggiate sul bracciolo del divano. Biscani le stava dietro e ci dava dentro con foga nel trombarsela. Tantini si sentiva le pulsazioni a mille. La paura che potesse essere scoperto in quella posizione di guardone era tanta, ma la voglia di osservare la coppia avvinghiata era ancor più grande. E rimase lì sino a quando non capì che la sua permanenza in loco si stava protraendo per troppo tempo. A malincuore, andò via. Dieci minuti dopo il telefono sulla sua scrivania iniziò a squillare, alzò la cornetta, avvicinandola all’orecchio. “Tantini? Sono Biscani.” “Dottore. Mi dica.” “Ascolti. Ha presente la Cetty?” “Certo, dottore.” Eccome, se l’aveva presente. Solo dopo essere tornato nella propria stanza aveva focalizzato la perfezione delle natiche di quella donna. Quasi lo invidiava al suo capo. “Bene! Faccia in modo che si proceda ad un avanzamento di grado. Ci pensi lei.” “Non abbia timore, direttore. Provvedo subito.”
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