Fui assunto dopo un breve colloquio, lei era la manager di un noto gruppo finanziario, io un semplice impiegato. Mi fu concesso di lavorare nel piccolo ufficio di fronte al suo e di ciò fui molto felice poiché Cristina, la mia diretta superiore, era davvero una bella donna. Era alta e bionda, i capelli mossi e lunghi le ricadevano sulle spalle mentre i suoi occhi azzurri, appena velati da un’ombra di trucco, mi squadravano come fossi un insetto sotto vetro. Vestiva sempre in tailleur, scarpe col tacco alto e fine e solo d’estate si concedeva d’indossare minigonne e sandali. Credo che si accorse della mia indole sottomessa non appena mi vide. Fu questione di pochi giorni, infatti, mi fece capire ben presto chi fosse a dare gli ordini in quei corridoi ampi e luminosi. Un giorno venne nel mio ufficio, aprendo la porta come una furia. “Mentre compilavi questi moduli dormivi, per caso?” mi congelò. “No, che io sap…” “Zitto” Mi venne incontro dominandomi con la sua alta statura e la sua figura imperiosa. “Padrona, ho fatto del mio meglio” mi bloccai non appena mi resi conto d’averlo detto Padrona Mi era sfuggito. Chissà come l’avrebbe preso Cristina. Sicuramente avrei perso il posto di lavoro, con ogni probabilità mi avrebbe denunciato. Invece lei sorrise e lanciò un’occhiata furba. “Che hai detto?” sogghignò. “Ecco…io..” “Ripeti immediatamente” “Padrona. Mi scusi, mi è scappata” “Non fa nulla, schiavo” rispose Cristina., rimarcando l’ultima parola con un misto di sadico piacere e disprezzo. Poi mi guardò con un sorriso che era furbo e sinistro al contempo “Oops, mi è scappato” disse. Non sapevo cosa risponderle. Lei mi aveva chiamato schiavo, io le avevo dato della padrona. I ruoli erano fatti. Non perse tempo. “Inginocchiati davanti a me” disse. Eravamo soli nel mio ufficio e non mi creai problemi ad obbedire a questo primo ordine. Lei girò attorno alla scrivania e si piazzò in piedi di fronte a me che la guardavo implorante dal basso verso l’alto. Cristina sollevò una delle sue eleganti gambe e premette col tacco affilato della scarpa sul dorso della mia mano. Le sue scarpe erano pulite e brillanti, sembravano uscite allora dalla scatola. Dei suoi piedi potevo intuire la forma dalla perfetta armonia delle curve della caviglia, erano magnifici. La mia mano urlò di dolore, Cristina la stava trattando neanche fosse stata la cicca di una sigaretta da spegnere ed insistette molto su di essa. Tuttavia io non mi lamentai, certo che se l’avessi fatto sarei stato cacciato a male parole dal mio posto di lavoro. “Baciami le scarpe” disse Cristina. Io mi avvicinai con la bocca alla scarpa che mi stava martoriando la mano e non appena dischiusi le labbra Cristina aumentò la pressione del tacco sulle mie falangi. Ormai, potevo vedere, stava letteralmente in equilibrio solo sul tacco di quell’unica scarpa. “Come si dice?” ruggì. Non capivo a cosa alludesse. “Come si dice?” ripeté. Risposi di botto la prima e più logica cosa che mi venne in mente in quel momento di panico. “Grazie padrona” Cristina allentò la pressione e la vidi sorridere. “Bene, abbastanza bravo. Impari in fretta” “Grazie” ripetei e le sorrisi dal basso. Il suo sguardo si rabbuiò di colpo. “Impari in fretta ma non abbastanza, schiavo leccapiedi. Come ti permetti di guardarmi?” Mi voltai immediatamente volgendo lo sguardo ai suoi magnifici piedi. “Sempre, miserabile. Il tuo sguardo dovrà sempre essere indirizzato verso i miei piedi. Solo quando saremo in presenza di altre persone ti sarà concessa la libertà di sollevare lo sguardo” Annuii, ripetendo la mia devozione ad un essere tanto superiore a me. Cristina era bellissima e mi dominava dall’alto, ridendo di me come la sua natura di sovrana le permetteva di fare. Si sedette sulla mia sedia. Mi adoperò come poggiapiedi per un quarto d’ora, cambiando posizione di appoggio ai suoi piedi, dai tacchi alti alle punte, prima sulla mia mano e poi sulla schiena. Infine si tolse le scarpe e le fece cadere sul pavimento. “Massaggiami i piedi” “Si padrona” “Con la lingua, ovviamente” Le leccai i piedi per un’altra ventina di minuti buoni e lei mi derise con cattiveria per tutto il tempo. Poteva permetterselo, dopotutto era il mio capo. “Ora alzati in ginocchio e guarda verso l’alto” “Ma padrona, io non posso…” Guardare verso l’alto avrebbe voluto dire negare il primo dei comandamenti della mia Dea, oltraggiarla guardandola in volto. “Chiuderai gli occhi, naturalmente. Per nessuna ragione dovrai permetterti di guardarmi…” “Certo, signora” Mi misi dunque come lei voleva, chiusi gli occhi e serrai bene le palpebre. “Apri la bocca” Lo feci e non appena la mia gola fu aperta al suo sadico desiderio di tormentarmi sentii un grumo tiepido e viscoso precipitarmi in bocca. Cristina m’aveva fatto assaggiare la sua saliva. “Ingoia” “Grazie padrona” “Apri” Un secondo sputo mi colpì fra palato e velopendulo provocandomi un moto di nausea. Lo controllai pensando a quanto fossi fortunato ad aver trovato una dominatrice come Cristina. “Ora abbassati” ordinò lei. Infilò le dita fra la cintura della gonna e l’elastico degli slip, fece scendere prima l’una poi l’altra. Mi prese per i capelli e senza commiserazione mi premette la bocca sul bacino. “Guai a te se mi fai sporcare” sibilò. Non ebbe bisogno di spiegare altro. La sua orina calda mi colò in bocca, cercai di berla tutta come potei ma non ero preparato a quell’uso. Purtroppo qualche goccia cadde dalle mie labbra inesperte, per lo più sporcando il pavimento, ma alcune lambirono le sue calze a rete. Cristina s’imbestialì, mi somministrò due schiaffi tanto forti da spettinarmi, poi mi salì sulla testa con tutti e due i piedi e cominciò a saltellare su di essa. Mi stava usando come un cuscino e nel frattempo sputava su di me tutto il suo disprezzo. “Sei un maiale! Non sai neppure deglutire il piscio della tua padrona, che per te dovrebbe essere un nettare inarrivabile. E mi hai sporcato le calze ed hai bagnato il pavimento” “Mi…dis…” “Zitto! E pulisci le mattonelle, cane! Tira fuori la lingua e lecca quello che è caduto” Le macchie di orina erano proprio lì davanti a me, mentre Cristina mi spappolava la testa sotto ai suoi piedi divini io estrassi la lingua e leccai per terra. Il suo disprezzo non abbandonò mai la mia patetica figura sconfitta sul pavimento così come i suoi deliziosi piedi non si sollevarono mai dalla mia faccia. Infine scese, raccolse una scarpa e ritornò su di me. Brandendo la sua elegante calzatura per la punta prese a colpirmi sulle labbra con il tacco a punta fino a causarmi un paio di ferite sanguinolente. Si alzò in piedi e mi colpì con tutta la sua forza impiegando questa volta il tallone della gamba destra. Il colpo fu tanto forte che se mi avesse centrato in pieno volto mi avrebbe spezzato il setto nasale. Per fortuna il suo piede mi colpì solo un lato del volto. Udii tuttavia a mandibola che scricchiolava sotto l’impeto del suo tallone. “Sei contento che mi hai fatto bagnare le calze?” “Perdono padrona” mugugnai con un labbro rotto e le lacrime agli occhi. Mi gettai ai suoi piedi cercando di baciarli per supplicarla di smettere. Lei indietreggiò fulmineamente compiendo un balzo felino ed atletico. “Stupido! Mi baci i piedi con quelle labbra schifose? Non vedi che sanguini come un porco? E poi dopo aver bevuto del piscio! Ma allora mi vuoi proprio far incazzare!” “Noo…la supplico…mi perdoni” “Ovvio. Per stavolta. Ma che non si ripeta più. Rimettimi le scarpe ai piedi” Lo feci con quanta più delicatezza fosse possibile. “Schiavo, datti una pulita e torna al lavoro. Guai a te se combini un pasticcio come quello che hai fatto con questi moduli. La prossima volta potrei non essere clemente come oggi” “Grazie padrona” Fece per andarsene. Sulla porta si fermò un istante, si voltò verso di me con un sorriso diabolico e disse “Chiaramente che tu commetta errori o meno sarai per sempre il mio schiavo e come tale tutte le volte che ne avrò voglia dovrai essere il mio leccapiedi ed il mio gabinetto. Ci siamo intesi?” “Si, mia padrona. E grazie”
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