Sono ormai 5 mesi che sbavo letteralmente dietro ad una nuova collega di lavoro: bruna, occhi verdi, u n fisico mozzafiato. Lei non mi ha mai dato la minima confidenza ma una mattina (io arrivo sempre in ufficio verso le 7.30 mentre l’orario di apertura è alle 9) la trovo davanti alla porta: "Ciao, aspettavo proprio te!" Stento a crederle e le chiedo il perchè: "Credi che non abbia notato che mi mangi con gli occhi? Io sono anche disposta ad assecondarti ma, vedi, io ho dei gusti molto particolari in fatto di uomini. Se vuoi avermi dovrai prima fare esattamente tutto quello che ti dirò di fare senza battere ciglio. Sei d’accordo?" Non esito un attimo e le rispondo di si. "Guarda che una volta iniziato non ti potrai più tirare indietro; oltretutto ho fotocopiato alcune tue note spese un pò gonfiate e non sò quanto l’amministrazione sia d’accordo. Quindi, da questo momento e sino all’orario di apertura tu sarai il mio schiavo, chiaro?" Le chiedo di non dire nulla delle note spese e che sono disposto a fare quello che vuole. "Benissimo, allora per cominciare ti rivolgerai a me chiamandomi padrona; e adesso andiamo nella tua stanza! E tu ci vieni camminando a quattro zampe, muoviti." Mi inginocchio, appoggio i palmi delle mani per terra e la seguo sino ala mia stanza dove, appena entrati, lei si volta verso di me, e mi ordina di alzarmi. Mi metto in piedi davanti a lei e la guardo, giusto il tempo di ricevere un ceffone che mi fa voltare la faccia dall’altra parte: "come osi guardarmi in faccia, lurido maiale, quando sei davanti a me devi sempre guardare per terra, hai capito? "Si, ho capito" le rispondo, e mi arriva un altro schiaffo: "Ho capito PADRONA" ed io "Ho capito, padrona, mi scusi padrona" "Così va già meglio; adesso cominciamo a divertirci, soprattutto io: spogliati e mettiti in ginocchio, svelto." Eseguo velocemente i suoi ordini mentre lei si accomoda sul divano. "Adesso voglio che tu prenda dalla scrivania le mollette di ferro per fermare i documenti: sbrigati e porgimele." Capisco cosa vuol fare ma non mi posso opporre e subisco la prima tortura: mi applica le mollette ai capezzoli e mi guarda dritto negli occhi, autorizzandomi a fare lo stesso. Il dolore è quasi insopportabile ma non emetto un lamento e rimango immobile, come lei mi ha ordinato. "Eccolo qui il grande seduttore, inginocchiato ai piedi di quella che lui pensava essere una facile preda. Ti piace stare così, vero? Dillo alla tua padrona che ti piace tanto" Le rispondo di si e mentre le parlo inizia a stringermi le mollette con le dita; il dolore è veramente insopportabile e non resisto più: "La prego, padrona, non ce la faccio più, la prego!" Lei da una stretta ancora più forte che mi fa crollare per terra e subito mi ritrovo addosso i suoi piedi; non tralascia neanche un centimetro del mio corpo, mi calpesta ovunque, finchè non arriva davanti al mio viso: "Lecca la suola delle scarpe, schiavo!" Tiro fuori la lingua ed inizio a passarla su tutta la suola, avanti e indietro sino a quando mi tira un calcio sul fianco, si accomoda sul divano e mi ordina:"Adesso fammi vedere cosa sai fare, verme, toglimi le scarpe e leccami i piedi!" Le sfilo le scarpe e con riluttanza mi accorgo che ha i piedi sudatissimi: "Sai, prima di venire in ufficio faccio sempre mezz’ora di footing: avanti, schiavo, adorami, venera la tua padrona, umiliati davanti a me: lecca!" E nuovamente la mia lingua comincia a passare sui suoi piedi, non tralasciando neanche un millimetro di pelle. "Così schiavo, lecca, tu diventerai il mio zerbino, il mio servo, berrai la mia dolce orina, tutte le volte che ci incontreremo in questa stanza ti dovrai sdraiare per terra e farmi da tappeto; subirai le peggiori umiliazioni in silenzio e mi dovrai sempre ringraziare, è chiaro?" Pronunciai un debole "Si, padrona"; mi diede un calcio in faccia facendomi allontanare, sputò per terra e mi ordinò di leccare il pavimento. Mentre la mia lingua passava per terra mi disse ancora: "Quando hai finito vestiti; per oggi può bastare, ma domattina ti aspetto alle 7 in punto." Si rimise le scarpe, se le fece baciare ancora una volta, mi assestò un calcio dicendomi "A domani, schiavo!"
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