“Roberta! Roberta! Roby! Ma cosa stai sognando…?”. Walter era sempre così attento, gentile, nei miei confronti, che non sapevo davvero come dirgli che ogni tanto doveva lasciarmi pure un poco in pace, quando staccavo gli occhi da lui e da tutto quello che ci circondava (il letto in cui eravamo stesi, i nostri corpi nudi, i mobili della mia camera, il soffitto azzurro, il lampadario naif, la finestra con la serranda abbassata, per proteggere la nostra intimità dalla luce del giorno) e mi perdevo in qualcosa che nemmeno io sapevo dire bene cosa fosse: l’abbandono, la memoria, la nostalgia, la passione, chi lo sa? Però Walter era simpatico e, fra gli uomini che frequentavano casa mia, aveva pure qualche pregio: non fumava, non gli puzzavano le ascelle e soprattutto non pretendeva che gli dicessi “ti amo” durante il sesso. Può sembrare banale, ma non erano qualità da sottovalutare.“Nulla – gli dissi con un sorriso che si sforzò di essere cordiale – non sto pensando nulla di particolare. Perché, ti sembra che io abbia qualcosa di strano?”.Walter si illuminò: alto, bruno, occhi chiari, un tantino appesantito, si poteva considerare tutto sommato un bel ragazzo, anche se aveva non meno di quarant’anni, e veniva a letto con me nonostante fosse sposato, separato e sebbene convivesse con una donna. Io – soleva spiegarmi, come se a me importasse qualcosa del motivo per cui mi scopava – riempivo i vuoti della sua vita e le lacune della sua esistenza, soprattutto quelle della sua adolescenza.Me lo diceva mentre, teneramente, mi prendeva una mano e intrecciava le mie dita con le sue, come fanno gli innamorati quando si coccolano, massaggiando con un polpastrello le mie nocche delicate e lisce, me lo diceva quando mi passava una mano tra i capelli scarmigliati, arruffati dopo un intenso pomeriggio di amore, me lo ripeteva ancora passandomi un dito sull’ombelico e lasciandolo salire verso il seno.Stava disteso su un fianco e mi guardava, Walter, mentre faceva queste operazioni. La sua discreta nudità (discreta nel senso di consistente, soda, vigorosa, appetibile) stava lì a fare capolino tra le sue gambe, in parte occultata da una peluria folta. Dal seno si divertiva a scendere poggiandomi l’unghia del pollice lungo il fianco, in modo da provocarmi un pizzico di brivido, una sensazione di solletico che mi costringeva ad abbassare la coscia lunga, liscia, affusolata, che tenevo leggermente sollevata, a nascondergli la mia nudità.Una nudità diversa dalla sua solo per una questione di dimensioni.Io, infatti, sono un trans. A Walter piaceva un mondo, vedermi nuda: non era una questione di sfotticchiamento, di perversione, di voler specchiarsi nel diverso, di voler rimirare la donna col pisello o il maschietto con le poppe. No, Walter veniva da me convinto, sicuro di quel che faceva. Aveva cercato di spiegarmi più di una volta – l’aveva fatto anche quel pomeriggio di sabato, in cui aveva detto alla convivente che andava a fare jogging e poi a cena con gli amici, alla moglie che non poteva stare con i figli, perché doveva uscire con la convivente – che da giovane aveva provato strane pulsioni per un coetaneo e che il fatto di non aver ceduto al suo istinto e alle sue viscere lo aveva condizionato per tutta la vita.Era il suo modo – infantile, un po’ sciocco – per cercare di giustificarsi (e lo faceva proprio con me…) del fatto che veniva a letto con me, che non ero una delle bellissime donne di cui non faceva altro che parlarmi, tra una pausa e l’altra dei nostri lunghi incontri fatti di sesso, pausa, sesso, pausa, sesso, pausa per la cena e ancora sesso.Era incontenibile, Walter, perlomeno quando entrava sotto il mio piumone e io pensavo che davvero quell’adolescente suo coetaneo doveva averlo arrapato tanto e che doveva essergli rimasto lì, a metà tra il palato e la gola, come quei bocconi che non si riesce a mandare giù anche se lo si vorrebbe tanto.Quel pomeriggio non lo aspettavo. Avevo pensato di uscire, di andare un po’ in giro a fare shopping e poi, tornando a casa, di scegliere a casaccio, con un criterio oggettivo, preferendo cioè la prima delle chiamate che immancabilmente avrei trovato in segreteria telefonica, di accettare l’invito a cena, o al cinema, o direttamente a una serata di sesso e basta, che avrei di certo ricevuto.Invece, mentre il telefono cominciava a squillare e io lasciavo rispondere la segreteria (visto che ero seriamente impegnata nella vasca con idromassaggio, a cercare di dare una forma al mio corpo, esausto dopo una settimana di lavoro in banca e dopo quattro serate su sei di sesso con tre uomini diversi), avevano bussato alla porta. All’inizio non avevo risposto, poi però avevano insistito e, visto che non volevo saperne di aprire, ma dato che avevo la Smart posteggiata sotto casa, a tradire la mia presenza, mi avevano chiamato al cellulare. Leggendo il nome “Walter”, avevo deciso di non mollare: conoscevo bene la sua esuberanza e la sua insaziabilità e non mi sentivo di chiudere una settimana che già era stata intensa, con un pomeriggio e una nottata di sesso sfrenato.Lui non si era arreso e mi aveva mandato un sms: “Se apri – mi aveva promesso – ti spalmo il pistolino e le tette della crema dei dolci che ho comprato e ti mangio tutta”.L’invito mi era apparso niente male, ma io, prima di arrendermi, avevo risposto con un altro sms: “E al mio culetto cosa farai…?”.La controrisposta mi aveva definitivamente sciolta: “Lo spalmo di crema con la lingua e poi te la faccio assaggiare dalla mia bocca”. Gli avevo aperto e Walter aveva mantenuto le promesse. Mi ero presentata a lui in accappatoio, tutta bagnata, e lui mi aveva presa in braccio sollevandomi per le ascelle, come fossi un fuscello. Avevo spalancato le gambe, cingendogli il tronco come fanno i calciatori con i compagni di squadra dopo un gol, e avevo cominciato a baciarlo in bocca, con grande appetito: in fondo avevo sì fatto sesso quattro sere su sei, ma il venerdì avevo digiunato e il giovedì avevo solo fatto un pompino al mio uomo di quel giorno. Dunque non scopavo veramente – mi feci i conti – da ben tre giorni.Walter mi aveva poggiata sul letto con tutto l’accappatoio, si era tolto la parte superiore della tuta ginnica che indossava (gli serviva per fingere di essere andato a fare jogging) e mi aveva mostrato il suo torace villoso e la sua pancetta un tantino rotonda, poi mi aveva aperto il nodo della cintura, che teneva chiuso il mio accappatoio e si era beato, letteralmente beato nel guardarmi nuda.Le tette umide e intirizzite, terza misura abbondante, i capezzoli già turgidi per effetto del bagno e del suo sguardo affamato, i fianchi pronunciati, la pancia piatta, il pube con una peluria corta e curata (facevo da me, non potevo certo andare dall’estetista), il pisello piccolo ma già sensibile alla situazione e all’ambiente e dunque mezzo ritto, le cosce depilatissime e sollevate, i piedi da maschio (ho il 42) con le unghia laccate di bianco, una cordicella colorata a cingermi una caviglia e a dare un tocco di femminilità a quella che, assieme alla carne appesa al pube, era la parte necessariamente più maschile di me.Walter era andato in su con gli occhi, mentre si toglieva le scarpe da ginnastica e poi i pantaloni: adesso guardava i miei occhi scuri e ansiosi, le labbra rosse, il naso all’insù col quale ero nata e che mi aveva sempre dato quel magnifico aspetto efebico che avevo assunto dall’età di 14 anni in poi, quando avevo capito di non essere “normale” e che il mio corpo si ribellava al sesso che la natura mi aveva piazzato tra le cosce.Mi misi una mano proprio lì, me lo massaggiai, mi carezzai le piccole palline che gli erano appese, sempre senza lasciare un attimo, con i miei occhi, gli occhi di Walter, ormai rimasto in mutande e con i calzini sportivi, bianchi e a strisce blu e rosse sui malleoli. Lui fece per lanciarsi su di me, ma io alzai prontamente un piede e glielo posai sul petto, in modo da rintuzzare il suo accenno di assalto: “Mi avevi promesso la crema”, gli dissi con la bocca socchiusa, sottovoce, e con un tono da vera troia. Sparì un attimo, poi tornò dalla cucina: in mano reggeva un contenitore di plastica con la mia passione: la mousse di limone. Mi vide illuminare e schizzare a sedere sul letto, come una gattina golosa che ha visto una cernia intera a sua disposizione, ma stavolta fu lui a rimettermi giù, poggiando un dito sul mio bel nasino e spingendomi delicatamente all’indietro. Mi liberai dell’accappatoio, mentre lui immergeva un dito nella mousse, per assaggiarla: “Buona”, commentò dopo esserselo infilato in bocca.“Porco! – lo rimproverai – prima le signore!”.Lui sorrise sornione: “Signore? Non vedo signore, qui”, e ammiccò con lo sguardo al mio piccolo pene. Istintivamente gli tirai un calcio, delicato ma sempre calcio era, nelle balle ancora coperte, gonfie e tornite sotto gli slip: dovetti fargli male, perché la mousse gli scappò dalle mani e, prima che riuscisse a riafferrare il contenitore, me n’era schizzata sulle tette una quantità che mi sembrò enorme.Walter si lanciò su di me, trasformata in torta umana, e iniziò a sbafarmi con forza, con fame, con sensualità vorace. In un attimo mi ritrovai completamente coinvolta da quei baci, da quei colpi di lingua, da quei morsi, da quelle mani che mi strizzavano e che insozzavano senza rimedio me appena uscita dal bagno, il letto, le lenzuola, il piumone, i cuscini. Mi schiaffò uno, due dita in bocca, mi fece assaggiare il sapore del dolce, ma fatto dell’odore del suo e del mio corpo. Aveva mani dappertutto, la bocca dappertutto, mi toccava e baciava dovunque gli capitasse.“Troia – mi ripeteva – troia, bellissima, magnifica troia… Apri le cosce, aprile…”, ma era un invito inutile, perché più che aperte le avevo spalancate e lui ci infilava in mezzo uno, due, tre dita, a suo piacimento, senza difficoltà, senza ostacoli, come se penetrasse in una vagina fradicia di umori.Quella vagina che desideravo tanto avere, ma che rifiutavo per paura del salto nel buio.Di tanto in tanto, Walter saliva fino alle mie labbra ansiose e ci ficcava in mezzo la lingua, assaporava la mia, la teneva dentro la sua bocca, se la succhiava e poi ritornava giù. Io avevo gli occhi chiusi, non sapevo più dove fosse finito lui e allora sentii che il mio sesso era tra le sue labbra, poi che sul mio piccolo cazzo stava spalmando la mousse, mantenendo la seconda parte della promessa inviata per sms poco prima, e poi che stava mangiando cazzo e mousse, testicoli e dolce, spingendosi sotto, fino a leccare il buchino del culo e a riempirlo di mousse, della sua lingua, ancora delle sue dita.Stavo distesa con le gambe sollevate, le caviglie ben piantate sui piedi, affondati sul piumone (che senz’altro avrei dovuto portare in lavanderia, ma chi se ne fregava?, pensavo tra me), mentre Walter mi sollevava il bacino con le dita per leccare lì sotto, sempre più dentro, portando la mia eccitazione a livelli esagerati.D’un tratto fu nudo, il cazzo grosso, nodoso e sodo, teso, già mezzo scappucciato e umido. Mi sollevò senza tanti complimenti, prendendomi per un braccio, mi mise a sedere sul letto, me lo sbatté in bocca, anzi sulla bocca perché non mi ero nemmeno resa conto di quel che stava succedendo e avevo le labbra ancora chiuse quando mi aveva tirato su e attirato a sé.“Maiale, porco”, gli dicevo tra una slinguata e l’altra della sua cappella. Glielo tenevo stretto ed era tanto grosso che con la circonferenza del mio pugno non riuscivo a prenderlo tutto. Lo stringevo forse per fargli male, ma lui se ne fregava e rispondeva affondando una mano tra i miei capelli, piazzandomela dietro la nuca e portando le dita a stringere la radice della mia chioma, in modo da controllare i miei movimenti e da tenermi incollata al suo membro. Non c’era bisogno che lo facesse, perché per nulla al mondo, in quel momento, lo avrei mollato. O forse no, c’era qualcosa per cui lo avrei mollato. Con gli occhi cercai il vasetto della mousse, lo trovai sul comodino, cercai di allungare un braccio. Lui capì e mi precedette: affondò mezza mano, raccolse la crema e, staccatami da lui con l’altra mano, quella che mi teneva i capelli, mi sbatté il dolce sulla lingua, sulla bocca, sul naso. Poi scese a ripulirmi con la lingua il viso, mentre io mangiavo avida la mousse di cui andavo matta anche in quei momenti.Walter vide che la stavo gustando e si passò la mano ancora sporca sulla punta del cazzo. Mi rituffai subito sul suo uccellone ulteriormente insaporito dalla crema e credo che per poco non glielo staccai, perché fu lui, a un tratto, ad allontanarmi e a mollarmi un ceffone: “Pazza mignotta, te lo vuoi mangiare?”.Mi piaceva essere trattata in quel modo, durante il sesso: reagii piazzandogli una mano tra le palle e stringendogliele. Lui mi diede un altro schiaffone e io strinsi di più, poi, dolce dolce e docile docile, come se nulla fosse successo, gli ripresi la cappella violacea in bocca, acchiappai la mousse e gli passai un dito di crema sui testicoli, andando subito dopo a lappare anche lì, in modo da rimediare al dolore che gli avevo procurato un istante prima. “Basta – disse lui rudemente, all’improvviso – girati”.Mi misi a quattro zampe sul letto, lui in piedi, una mano a schiaffeggiarmi le natiche, con sberle da urlo, l’altra ad aprire il primo cassetto del comodino. Cercava i condom. Non ebbi il coraggio di dirgli che li avevo finiti con altri uomini e che non li avevo ricomprati: “No – lo fermai – usa la vaselina senza preservativo… Ti prego…”, e quasi miagolai, stando a pecorina, nella posizione della gattina vogliosa di coccole, che fa le fusa, la testa girata verso di lui.Di sottecchi, intuii il suo sguardo severo, mentre cambiava cassetto e cercava la vaselina nel secondo. Qualche istante dopo, sentii le sue dita incrostate di mousse e di cremina, circondare il mio sfintere, infilarsi dentro, indugiare in rotazioni fatte per distribuire un po’ dappertutto, lì dentro, la vaselina. Contemporaneamente, sempre mentre io stavo nella posizione della pecora che aspetta la monta, mi mungeva delicatamente le tettine, giocherellando con i capezzoli, diventati ormai enormi, turgidi, tutti usciti di fuori, proprio come quelli delle vacche quando devono schizzare il latte.Finalmente avvertii l’ingombrante presenza della sua cappella che bussava alla porta del mio buchino, un varco all’inizio sempre stretto, nonostante il largo uso che ne facevano i miei molti amanti.Sculettai per accoglierlo meglio, ma non c’era nulla da fare: o quel giorno lo aveva più grosso del solito, o io ero più stretta che mai, oppure avevamo esagerato con la mousse, che, rapprendendosi, aveva creato una sorta di ostruzione.“Mi faccio male – osai lamentarmi – mi fai male… Ahi!”.Le esclamazioni di dolore erano per lui un eccitante naturale, un viagra rafforzato, un invito a nozze.“Ben ti sta, puttana – disse con cattiveria – te l’ho mica detto io, di prenderlo in culo?”, e spingeva con ancora più forza, raddoppiando il mio dolore. Ogni tanto mi lasciava i fianchi e andava a pizzicarmi le poppe e i capezzoli: cominciava con dolcezza, poi strizzava fino a farmi male, sadicamente. Provai a piegare il busto in avanti, lasciando sollevato il culo e poggiando il viso, tutto sporco di mousse asciutta, sul cuscino. Da quella posizione sculettai a destra e a sinistra, roteando il bacino e tentando di farglielo entrare senza che mi sfondasse tutto il retto.“Aaaaahhhh…. – gemetti – mi fai male-eee….”.Lui accompagnò i colpi del pene tenendomi per i fianchi e ora avvicinandomi a sé, ora allontanandomi. Finalmente, superata la barriera della mousse, la vaselina fece effetto e Walter sfondò, entrando, in pochi istanti, di parecchi centimetri. In genere non si fermava se non affondava dentro di me tutta la sua considerevole carne, qualcosa come 28 centimetri, fino a quando non andava a esplorare e a toccare le pareti delle mie budella, quelle delle mie viscere più intime.Erano, quelle, le profondità in cui raggiungevo il massimo del piacere. Mi rimisi su, reggendomi sulle braccia e cominciando a spingere all’indietro, mentre lui, ormai senza ostacoli, mi portava avanti e indietro a suo piacimento. Io scuotevo la testa, la roteavo come una matta: sentivo il bisogno di godere e non potevo tuttavia toccarmi, cercai di poggiarmi sul piumone, ormai sudicio, per sfregarmi l’uccello sul materasso, ma in quel modo scivolai a faccia in giù e lui dentro di me raggiunse la massima profondità, strappandomi un urlo lancinante, solo in parte attutito dal cuscino, in cui era sparita la mia faccia e in cui rischiai di soffocare, un urlo moderato dall’orgasmo che avevo raggiunto nel momento in cui lui mi aveva definitivamente sfondata.Mentre ancora godevo, sentii che le sue mani forti mi stavano squassando i fianchi: Walter stava estraendo il cazzo dal mio culo, per sborrarmi addosso.Esausta e in estasi, piena di dolori e di piaceri, mi girai d’istinto e il fiotto caldo del suo seme mi colpì sugli occhi, poi in viso, infine sulle labbra, che tenni aperte fino a quando lui non terminò di gocciolare sulla mia lingua. Finimmo di cenare che erano le dieci di sera e già lui mi aveva ripreso la mano, dolce dolce, tenendomela sotto la sua. Mi guardava intensamente, aveva occhi languidi, da vero innamorato. Molti uomini credevano di amarmi, invece si infatuavano solo del diverso.“Walter, ma io ti piaccio?”, gli chiesi stupidamente.“Tantissimo”, rispose lui pronto.“Verresti a vivere con me?”, aggiunsi maligna. Lo vidi annaspare, cercare di trovare una qualche risposta.“Tranquillo, sto scherzando… – ripresi –.Se anche tu volessi, ti respingerei… Non voglio rovinare nessuno… La tua fama di macho, la tua virilità… I tuoi figli, la tua convivente, tua moglie che si accorgerebbe di ricevere i soldi che le dai ogni mese da un gay…”.“Io non sono un gay!”, protestò lui, facendosi improvvisamente serio, come se gli avessi gettato addosso un’offesa mortale.“Tranquillo, nemmeno io… – sorrisi – quindi, se vieni con me, non devi giustificarti né con me, né di fronte alla tua coscienza… A proposito, come si chiamava quel tuo amico che ti volevi fare, quando eri giovane?”.La domanda lo colse alla sprovvista, si vide che era in difficoltà: “Non… voglio dire il suo nome”.Sorrisi, compiaciuta di averlo smascherato nella sua bugia.“E invece non ti interessa sapere perché io sono diventata così? Perché il bel maschietto che ero si è trasformata in una donna incompleta?”. Cominciai a raccontare immergendomi di nuovo, con lo sguardo, in una profondità che non era in casa mia, che non era nel cielo, non era sulla terra. Rannicchiata sul divano, i piedi nudi poggiati sui cuscini, le cosce portate al petto, le braccia a tenerle serrate. Indossavo una tuta da ciclista e Walter mi sedeva accanto, a sorseggiare un drink, nella penombra del mio salotto.“Era bello, biondo, quasi fulvo. Gli occhi azzurri, come i tuoi, ma più chiari, color del cielo. Lo conobbi a scuola, in un’età in cui si è ancora tanto incerti, nella vita e nel sesso. Fu subito amore. Amore grande, bello, forte, resistente, ma represso, duramente represso dalla paura dell’ignoto. Io, queste tette, le ho sempre avute: più piccole, per carità, ma le forme femminili, a parte il nasino all’insù, le ho sempre possedute. Lui era dolce, carino, ma tremendamente materialista… Passava da una ragazza all’altra, io non osavo dichiararmi… Mi guardava solo per le tette e per il culo. Di tanto in tanto, quando eravamo soli, me le toccava…“Un pomeriggio andammo al cinema, a vedere un film osé. Niente di particolare, era una scemenza… Però era un porno mica male. La sala era semivuota, io, lui e pochissimi altri. Era il nostro primo film vietato ai minori di 18 anni. Ci fu una scena che ci colpì tantissimo… C’era un una donna, perlomeno, in tutto simile a una donna, di spalle e quando era inquadrata fino all’ombelico… D’un tratto vedemmo che era un uomo! O meglio, insomma, era un transessuale… Non ne avevamo mai visti e le immagini ci colpirono tantissimo… Il film raccontava la storia di uno che rimorchiava in una discoteca, poi si portava la ragazza in macchina e si accorgeva che era un trans… I cazzi ci diventarono molto più tesi delle altre scene…“D’un tratto, mi accorsi che lui si teneva una mano sul pisello e che mi aveva cinto la testa con il suo braccio… Ero così preso che lo lasciai fare… Non mi perdevo un solo fotogramma… Pensai che in fondo sarei voluta essere io, quello-quella lì… E avrei scelto indubbiamente lui come altro protagonista della scena. Mentre lo pensavo, sentii che la mano che mi teneva dietro la testa era scivolata giù, sul mio petto e che, dopo qualche istante di morbide e quasi impalpabili carezze, aveva preso coraggio e stava massaggiando lentamente la mia poppa sinistra, sotto la quale il cuore sussultava come impazzito. Lui si strinse a me: ‘Ti piace?’, mi sussurrò in un orecchio. ‘Che cosa?, risposi io, la toccata di tette o la scena?’. ‘Tutt’e due’, disse lui. ‘Continua’, mugolai io…“Mi prese la mano destra, se la portò sulla patta, io cominciai a massaggiarlo, mentre lui aveva infilato la mano sotto la camicia e ormai spadroneggiava sotto le mie mammelline appena appena pronunciate. Sfibbiò un altro bottone e, sempre mentre io lo masturbavo piano, cominciò a ciucciarmi le poppe… I capezzoli ammattirono, si rizzarono sull’attenti, gli presi la testa con entrambe le mani, gliela schiacciai su di me… Volevo baciarlo in bocca, ma lui evitò con cura le mie labbra…“Sentii un improvviso odore di sesso… Si era liberato l’uccello, che ormai le mutande e i jeans non riuscivano più a trattenere. La lampo era volata giù, mi prese la testa e dolcemente me la portò lì sotto… Glielo presi in bocca… Succhiai con foga, per pochi, intensi, secondi… Era troppo eccitato, mi sborrò in gola… Sotto sotto venni anch’io, mentre intanto continuavo a tenermi in bocca il suo cazzo caldo…”. Walter aveva seguito il racconto come interdetto.“Come? Il primo rapporto sessuale della tua vita lo hai avuto in un cinema porno…? Non me lo sarei mai aspettato, da te… Roberto!!!”, disse con aria di rimprovero.“E infatti fu terribile, perché, ‘dopo’, nessuno dei due ebbe il coraggio di guardare in faccia l’altro… Cominciammo a sfuggirci, io non sapevo più che fare, non sapevo se sentirmi tutto frocio o tutto trans… Io lo desideravo ma come quella donna col pisello che avevamo visto nel film desiderava gli uomini col pisello… Però non avevo il coraggio di parlargli… Gli scrissi una lettera e la strappai subito dopo… Fino a quando un giorno non lo incontrai con la sua ultima fiamma e lui, appartatosi con me, mi minacciò: ‘Non dire niente a nessuno, perché altrimenti parlo io e racconto come fai le pompe… Sono venuto con te solo perché hai le tette… Da tempo meditavo di mungerti… E’ andata bene, ma ora non rompermi più le palle. Ognuno per la sua strada’.“Caddi in una depressione profonda. Come poteva essere stato così bastardo…? Era sincero? Provai schifo, ma non per lui. Per me stesso”. “Finché un giorno non venne Carnevale… La classica festa in maschera, a 18 anni appena fatti, si trasformò in una grande occasione di trasgressione e di possibile orgia per tutti, anche perché andammo a farla nello chalet di montagna di un compagno di classe che aveva i soldi, il classico figlio di papà. Io decisi di sfidarlo. Mi volli vestire da donna e lo feci seriamente: mi depilai, mi attrezzai con un reggiseno della mia misura (allora la prima abbondante), con un abitino corto e attillato, calze autoreggenti e un paio di scarpe che non erano della mia misura e che mi facevano un male cane. Erano l’unica nota stonata del mio look. Poi mi feci una pettinatura da sciantosa, mi aiutai a farmi truccare e mi presentai alla festa.“Qualcuno non mi riconobbe, molti sì, ma ricevetti tanti complimenti, tantissimi. In realtà si complimentavano perché avevano capito, perché chi aveva qualche dubbio sulla mia vera natura lo vedeva finalmente dissolto… Lui, vestito da 007 e appena lasciato dalla troietta di turno, rimase come paralizzato: la mia bellezza folgorante lo aveva schiantato, ma io, da vera gattina capricciosa, lo ignorai per tutta la sera. Con la scusa del gioco e dello scherzo, credo che tutti i maschi della sera e anche qualche ragazza mi misero le mani addosso… Culo, tette, pisello… Mi tastavano tutta e lui là a rodersi. Fino a quando non venne l’ora dei balli lenti e allora io non potevo ballare che con maschi…“Ci fu, stranamente, la fila per invitarmi. La novità, pensai. Il primo a voler ballare con me fu un grassone simpatico, che mi poggiò le mani sulle natiche e, parlando con un alito fatto di alcol, mi invitò ad andare con lui al piano di sopra, in camera da letto. Gli strizzai la patta e cambiò idea. Più o meno seriamente, proposte mi arrivarono da tre o quattro ragazzi diversi. Fra questi, ce n’erano due che non avevo mai visto e che insistettero anche troppo…“Poi comparve lui. Mi portò a ballare in un angolo buio, mi cinse i fianchi, mi strinse a sé e io lo lasciai fare. Fino a quando non avvertii che gli era diventato dritto e che stava a malapena sotto i pantaloni. Furono momenti di estasi, che ancor oggi ricordo… Gli poggiai la testa sulla sua, sfiorai il suo volto con un bacio… ‘Ti voglio bene’, mi uscì dalle labbra senza che quasi me ne accorgessi. ‘Facciamo le stesse cose che abbiamo fatto al cinema… Sono vestita così per te, così puoi assaggiarmi come se fossi una vera donna, la tua donna…’. Lui ebbe un sussulto, mi strinse ancora di più, mi fece sentire sulla schiena la pressione, la forza delle sue mani che mi attiravano a sé. Ma poi non resse. Forse perché si era accorto che ci guardavano in tanti, forse perché non aveva abbastanza coraggio. Lo guardai negli occhi, lui si staccò da me: ‘Non ce la faccio, scusami’, sussurrò. Fuggì, lo persi di vista. Mentre lo cercavo con lo sguardo, arrivarono i due di poco prima. Avevano in mano un bicchiere, me lo offrirono. Non sapevo come togliermeli di dosso, accettai, bevvi un sorso. Un istante dopo, vidi che tutto mi girava attorno… “Mi ritrovai distesa su un lettone morbido e caldo, in una stanza tipica degli chalet di montagna: parquet per terra, pareti di legno… Ero in slip e reggiseno, le calze autoreggenti a darmi il tono da maialetta, anche se ero lì contro la mia volontà. Uno dei due sconosciuti era seduto accanto a me, mi carezzava dolcemente una guancia… ‘Povera cara, si sta riavendo…’, disse. Mi sentivo la bocca impastata dal mix di alcol e droga che mi avevano fatto bere. Sentii qualcuno che mi poggiava un bacio in viso, non capii chi fosse, perché l’altro era sempre sopra di me, a carezzarmi le gote. Poi avvertii nettamente la sensazione di una mano fredda che si incuneava sotto il reggiseno, a tastarmi una tetta…“ ‘Che fate?’, chiesi mentre intanto mi sollevavano, inarcandomi la schiena, per sganciarmi il reggipoppe, ‘che fate?’, insistei, mentre sentivo una lingua che mi lambiva un capezzolo, lo baciava, lo mordicchiava, e due dita pizzicavano l’altro… ‘Che faccio?’, pensai, mentre sentivo l’uccellino, che, sotto gli slip da donna, inopportunamente, tradiva la mia incombente e irrefrenabile eccitazione…“Sentii che entrambe le poppe mi venivano leccate e che una mano delicata mi titillava lì sotto, tenendomi le cosce aperte. Semisommersa com’ero dai piumoni, nella penombra della stanza, capii che i due sconosciuti mi stavano ciucciando i seni contemporaneamente… ‘Nooo, che fate?’, miagolai con la bocca incapace di aprirsi, mentre non riuscivo a spostarmi… ‘Piacerà anche a te…’, insistevano quelli. ‘Mica si può scopare sempre con le ragazze vere… Qualche variazione sul tema ci vuole…’.“A un certo punto sentii che la mia bocca si apriva… Qualcosa di umido stava premendo sulle labbra; feci per parlare, per ribellarmi, ma sentii che quel qualcosa era entrato, approfittando del mio movimento. Stavo baciando un altro ragazzo. Ma non il ‘mio’ ragazzo, quello che desideravo. Uno sconosciuto. Che però baciava benissimo, mi baciava come se io fossi stata una ragazza. Una ragazza vera.“La cosa mi eccitò comunque. Venni baciata a lungo, profondamente, prima dall’uno, poi dall’altro e man mano che lo facevo, la mia mente si ripuliva dall’effetto della droga e cominciava a partecipare. E non solo la mia mente. Riuscii a sollevare un braccio e poggiai una mano tra i capelli di quello che mi stava baciando, poi feci lo stesso con l’altro amante e adesso cominciavo ad essere io, a stabilire chi volevo baciare. Mi aiutarono a sollevarmi, mi misero a sedere sul letto, soddisfatti, e finalmente mi accorsi che anche loro erano seminudi. Si alzarono in piedi, tirarono fuori dalle mutande i membri e me li offrirono in bocca. Avevano un sapore strano, un misto tra pipì e sperma… Io sapevo bene che sapore avesse il seme virile, perché a parte la pompa magistrale fatta al mio amore, facevo frequenti ripassi: mi masturbavo, cioè, e poi dopo che venivo, me lo passavo sulle labbra, lo ingoiavo… Io raggiungevo l’orgasmo pensando di fare pompini come quello del cinema…“Ne succhiai uno per volta, menando l’altro, ma subito l’altro, quello che non tenevo in bocca, reclamava più attenzione. Mi tolsero le mutandine, mi fecero mettere a pecorina, uno dei due si allontanò e l’altro me lo diede ancora in bocca. Avevo gli occhi socchiusi, ma ero sempre più sveglia e partecipe. Pensai che tante volte, prima della mia unica volta fino a quel momento, avevo sognato di spompinare un maschio e che stavo finalmente mettendo in pratica il mio desiderio. Non era poi così difficile, trovare un cazzo da assaporare. E poi quello mi riempiva di ‘brava, brava’, segno che ci sapevo fare.“Poi tornò l’altro e dovetti prenderlo in bocca a lui… Il primo non si allontanò molto. Sentii che cominciava a leccarmi il buco del culo e che mi stava facendo un ditalino. Lo trovai piacevole. Poi sentii qualcosa di umido sullo sfintere. Era la mia prima vaselina…“Mi penetrarono uno alla volta, mentre l’altro me lo teneva in bocca e così io avevo sempre la bocca piena. Nell’incularmi, mi fecero un male tremendo, cominciai a ululare di piacere e di dolore. Mi sfondavano senza pietà, sbattendomi con vigore… Avevo ormai perso la cognizione del tempo, sarà stata l’alba, non sapevo più dove fossi, cosa stessi facendo… Vennero nella mia bocca, contemporaneamente, insudiciandomi tutta e costringendomi a ripulirli fino all’ultima goccia.“Fu solo in quel momento che mi accorsi che in quella stanza non eravamo solo in tre… Altri cinque, sei ragazzi avevano seguito la scena… Due di loro erano già con gli uccelli in mano…”. Mi fermai nel mio racconto. Walter, già abbastanza eccitato, nel sentire la conclusione, si rattristò. Vide che mi stavo commovendo e mi carezzò i capelli.“Ti hanno violentata?”, chiese con aria compunta.Lo fissai con aria pensosa. Poi scoppiai in una risata.“Macché… Ho fatto pompini volontariamente a tutta la classe…!!! Tutta la notte con i cazzi in bocca! No, non è vero. La scena finale fu un mio incubo, perché, ormai esausta, dopo la sborrata dei miei amanti caddi in un sonno profondo. Seppi soltanto dopo che il mio amico del cuore mi aveva vista in quelle condizioni e che aveva detto di me cose orribili… Da allora non l’ho più visto né incontrato. Sono diventata così troia per amore suo e lui ha provato schifo di me… Chissà, se quella sera fossimo saliti al piano di sopra, adesso saremmo sposati, perché per lui avrei cambiato sesso…”.Mi accesi una sigaretta, cosa che non facevo mai. L’avevo fatto solo con Ulrico, nella prima parte di questo cavolo di racconto, scritta tanto tempo fa. Fumo solo quando sono nervosa, fumo sigarette altrui, dimenticate a casa mia da chissà chi. Gente che si accontenta di stare nel mio letto per un po’ e che poi non vuol parlare mai con me.Walter mi aveva dato finalmente l’occasione di raccontare.“Io lo amavo, Walter – proseguii – e non l’ho mai dimenticato… Ho capito di voler diventare donna per lui e sarei diventata una donna completa, ‘vera’, solo se lui mi avesse voluta… Ma non è andata così. Evidentemente non doveva succedere. Chi s ribella alla natura, è destinato a perdere. Non sarò mai una donna vera”.Soffiai via il fumo e con esso tutta la malinconia che mi sentivo dentro.“Ma chi se ne frega! – conclusi – Per me stessa, mi basta essere troia. E ci riesco benissimo…”.Guardai Walter con occhi maliziosi, lui mi ricambiò con aria complice.“E’ rimasta ancora un po’ di mousse…”, mugolai come una gran puttana.
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