Durante la cena, c’erano stati dei contatti poco ortodossi tra le due donne, segno di un qualcosa di più intrigante come dessert. Rita andò, dopo cena, nella sua stanza e altrettanto fece Maria. Rita estrasse dalla busta il contenuto appena acquistato. Un primo indumento consisteva in un vestito da collegiale. Era tutto a quadrettoni scuri. La gonna era semplice e abbastanza corta: circa dieci centimetri sopra il ginocchio. Le mutandine erano semplici, bianche, come da bambina. Non avevano nessun motivo di ricamo. Erano semplici mutandine da bambina per bene. La particolarità delle mutandine era la trasparenza quasi impercettibile ma altrettanto sensuale, il fatto che erano lisce e vellutate ed infine la presenza di clip ai lati per poterle sfilare con estrema semplicità. Il reggiseno era stupendo. Anch’esso semplice e vellutato, in simbiosi con le mutandine. Il reggiseno era tipicamente a balconcino che raccoglieva le sue tette in una morsa forte. Finì di sistemarsi il vestito completando l’opera con una camicia di seta trasparente. Era la tenuta di una collegiale perfetta senza contare le trasparenze. Maria si stava preparando anche lei. Il suo indumento era molto più provocante e volgare della figlia. Constava di un corpetto di pelle che racchiudeva il suo seno e che scendeva fino al pube. Le sue mammelle non erano del tutto coperte dal busto nero. Si potrebbe dire che le coprissero fino a metà. I suoi capezzoli facevano fatica a rimanere dentro quella stretta. Anche le mutandine erano di pelle: erano un perizoma di pelle nera che poche altre donne avrebbero potuto indossare con la sua classe. La sua conformazione dava al monte di venere di Maria una consistenza enorme. Alle gambe portava delle calze nere e ai piedi aveva dei tacchi abbastanza alti rispetto ai suoi gusti che le permettevano di sentire il sedere più sodo ed alto assieme ai suoi polpacci. Finirono la vestizione e si diressero in camera degli ospiti. Volevano un territorio neutro, non volevano mostrare i propri indumenti fino alla fine, fino all’inizio dei giochi. Maria entrò per prima nella stanza dandole il tempo di sistemare altri oggetti comprati nel sexy-shop e la telecamera. Rita la seguì subito dopo. Gli occhi delle due brillavano e sembravano spogliare letteralmente il corpo della propria compagna. Tutte e due volevano cominciare quel gioco, quel preliminare tanto importante ma nessuna delle due voleva accennare una parola. Per prima trovò il coraggio Rita. “La devi smettere di dirmi come devo vestirmi, come devo comportarmi, con chi uscire!!!” disse con voce ferma Rita. “Senti, io sono tua madre e te finché vivrai sotto questo tetto farai quello che dico io. Non posso farti uscire così! Ma ti vedi?” Rita uscì dalla porta. Fece come per andarsene. Tornò dopo un minuto. L’eccitazione delle due donne si stava accentuando. “Complimenti, ma vedi che ore sono? Ti sembra l’ora di tornare a casa?” “Senti, io faccio quello che voglio!” Rita vide la curva decisa del muscolo pettorale della madre, che dal seno, appena sotto l’ascella si fondeva con il braccio, tendersi il seno, appiattirsi leggermente e poi gonfiarsi velocemente. Un bruciore secco sulla sua guancia sinistra, la vista si confuse, la faccia fece mezzo giro a destra. Le aveva mollato uno schiaffo, strappando qualche capello che le rimaneva impigliato tra le dita. Restò a guardarla un attimo, con gli occhi spalancati e la bocca aperta a cuore, attonita. Vide i suoi occhi e si scagliò verso di loro con le unghie. Maria alzò le braccia e deviò le sue in alto. Rita cercò di afferrarle i capelli. Si divincolò e fui lei a prenderla per i capelli, che offrivano una presa di certo più facile dei suoi. La sua camicia si era abbassata a destra dove la forza nella lotta aveva rotto due o tre bottoni. Rita serrò le mani sui suoi fianchi cercando di affondare le unghie, ma le mani scivolarono e non poté far altro che afferrarle il vestito. Diede una spinta mettendola seduta sul tavolo, il corpetto salì maggiormente scoprendole la parte di cosce coperte. Fu allora che Maria, senza più il rischio di cadere, la tirò con forza verso di sé, sollevandola e strattonandola verso sinistra. A Rita sfuggì il pavimento sotto le scarpe. Cadde in avanti. Eravamo sull’angolo del tavolo dalla parte del lato corto: Rita era prona, in equilibrio sulla sua gamba sinistra, tutto il tronco sospeso, le braccia che si dimenavano in avanti per impedirle di cadere del tutto. Aveva anche Maria, fidando del piano del tavolo, sollevato le gambe da terra. Con la destra cinse le gambe di Rita all’altezza del ginocchio bloccandola completamente. Mentre cadeva su di lei la camicia chiara, sul lato destro, si sfilò del tutto. Il petto strusciò sulla gamba della mammina, la camicia si tese, i bottoni saltarono e caddero tintinnando sul pavimento. Durante la caduta, il reggiseno si abbassò e il seno destro scivolò fuori. Era in sostanza in braccio a lei, immobilizzata in basso dalle sue gambe che la cingevano con forza, in alto dal suo braccio sinistro che aveva portato sopra la sua schiena. Aveva un seno nudo che toccava il bordo del tavolo freddo; l’altro schiacciato contro il suo addome. Poteva vedere la coscia sinistra a pochi centimetri dal suo naso: lo slancio le aveva alzato il corpetto, denudandole i glutei. “lasciami!” urlò Rita con voce isterica. Tentò invano qualche mossa per scivolare via dalla sua presa. D’un tratto sentì la mano libera, la destra, scendere verso il basso lungo le gambe. Era la sua gonna che si alzava! “Che cazzo fai!”- urlò. Diede un paio di strattoni e mise all’aria il sedere della figlia. Una manata risuonò sui suoi glutei. “ahhhhh! Puttana!”- urlò ancora. Da quel momento fu un fuoco di schiaffi, una decina, date con forza e rabbia. Strillava e si contorceva per cercare di uscire dalla presa delle sue gambe. Invano: bloccata come era poteva solo alzare ed abbassare il culo, a scatti brevi e veloci. La raffica di schiaffi continuava e Rita aveva trasformato i suoi strilli in rantoli che mischiavano dei “no,…basta” a dei mugolii di dolore e frustrazione. In quel momento capì che non le stava colpendo sul sedere nudo: aveva ancora indosso le mutandine. Non poteva fare molto ma in quel momento, si sentì fortunata nel credere che quel piccolo triangolo di cotone potesse offrirle un po’ di protezione. Il reggiseno era completamente rimboccato. Il ferretto di sostegno martoriava l’attaccatura bassa. Ad ogni manata la tetta era percorsa da un’onda che scaturiva dalla stessa sostanza da cui prendeva forma: faceva uno scatto quasi per cercare di fuggire in avanti finché il suo peso non la riportava a penzolare. Durante questo movimento riusciva a scorgere il capezzolo rosa scuro che occhieggiava ad ogni scossa. Persa nella contemplazione della sua tetta alla deriva, sentì le natiche andare in fiamme. Maria aveva infilato le mutandine nel solco dei glutei per avere la benedizione della loro nudità. Mentre si dimenava andò a sbattere un paio di volte con il naso contro la sua natica sinistra che stava a pochi centimetri. Allungò allora un poco il collo finché non sentì in bocca la sua carne dura, e morsicò. La mammina strillò e con una scrollata si liberò del corpo di Rita saltando giù dal tavolo. Le mani erano sul fianco sinistro, leggermente spostate verso la natica, dove c’era la ferita. Gli occhi erano chiusi e la bocca piegata in una smorfia di dolore. La camicia completamente sbottonata mostrava il seno che aveva oramai coperto il reggipetto. Le sue tette, così grandi, sembravano guardarla e i capezzoli, divenuti più rossi del solito, due occhi spalancati ed attoniti di fronte a lei. All’improvviso, Rita vide afferrarsi il corpetto e con uno scatto delle braccia aprirlo dalle cerniere a lato, mostrandole il seno. Spalancò gli occhi, catturata dall’arcata nervosa del torace che si ammorbidiva per formare le due mammelle dello stesso colore ambrato di tutta la sua persona. Le aveva mostrato le tette, consapevole che Rita si sarebbe rapita a squadrarle le spalle forti e il seno, che avrebbe spalancato gli occhi e arricciato la bocca in un “oh” non pronunciato. Bastò quello perché si sentì tirata per i capelli verso di lei, che aveva fatto in tempo a coprire i due metri che le separavano durante il suo imbambolamento. Non poté opporre resistenza, le appoggiò la pancia sul bordo del tavolo e spingendola con il gomito la nuca, la immobilizzò. Ero piegata a novanta gradi, il seno compresso su quella formica fredda e le braccia ancora impotenti che cercavano di sferrarle qualche colpo, ma che solo mulinavano l’aria. Così era ancora a culo all’aria, anche se la gonna era tornata per modo di dire a posto. Maria aveva ancora la mano destra libera e Rita la sentì armeggiare rudemente attorno alla chiusura della gonna La lampo scese facilmente lasciando cadere la gonna che s’intrappolò sotto le ginocchia divaricate della figlia. Maria raggiunse l’elastico delle mutandine che abbassò a metà cosce. A gambe nude le mostrava il deretano arrossato. Poteva sicuramente vederne il buco, cinto da una soffice peluria castana da cui spuntava qualche ricciolo ribelle visibile anche a gambe chiuse, poteva scorgere anche le labbra della vagina, asciutte e serrate. “lasciami, stronza! Lasciami, lasciami!” urlò. Ricominciò a vergarle il sedere. Dopo qualche sberla assestata sui globi dei glutei prese a colpirla a mano aperta al centro del culo, nel solco. Le natiche vibravano ogni colpo, quasi in sincrono con i suoi disperati tentativi di riscossa. Il palmo della sua mano raggiungeva la zona attorno all’orifizio anale di Rita, mentre le dita frustavano la sua femminilità esposta. Ogni colpo era per lei un urlo di dolore e uno spasmo che contraeva di riflesso i glutei. La vulva colpita restituiva all’interno, nell’utero una scossa elettrica di mille spilli fitti. Le natiche, le ascelle ed il seno stillavano perle di sudore freddo. Non si fermava. A mano aperta continuava a colpirle il perineo e la vagina. D’un tratto la sua mano si fermò sulla natica sinistra, le dita entrarono nel solco, i polpastrelli si serrarono proprio vicino al buco e si chiusero mordendo la carne soffice. Rita urlò più a lungo aprendo la bocca a cuore ed emettendo un uggiolio. La mammina si alzò liberando la testa dall’oppressione del suo gomito, e si mise in piedi di fianco al tavolo, aspettando. Rita rimase forse un secondo ancora piegata concentrata solo sul dolore delle sue zone basse. Si sollevò sulle braccia e guardò la macchia di sudore che il suo corpo aveva disegnato sulla cattedra. Distinse le orme grandi dei globi del seno sporgere ai lati e, più dense, le macchie di sudore delle ascelle e sbavi rossi di rossetto. La gonna era scesa alle caviglie e le mutandine ferme alle ginocchia. La camicia si era strappata e non nascondeva più un centimetro di seno che prorompeva nudo e sudato. Una spallina del reggipetto rotta. Fece un passo avanti e Rita ebbe solo il tempo di lanciare un urletto prima di una spinta che la fece volare all’indietro. I tacchi scivolarono e cadde pesantemente sul culo. Maria la prese per un braccio e la trascinò facendola scivolare sul sedere per mezzo metro; si mise dietro di lei e sollevandola per le ascelle la rigirò di nuovo a pancia in sotto sul marmo del pavimento. Si sedette sulla sua faccia. Scalciò goffamente, bloccata dalla gonna e dalle mutandine. Maria le sfilò rapidamente entrambe lasciandola a gambe nude. Aveva le sue natiche attorno alla testa ma non poteva raggiungerle con i denti. Con le due mani libere le divaricò i glutei. Si fece largo e raggiunse l’ano con i polpastrelli. Rita cercò di coprirlo con la mano destra. “no!…no!” strillò. Assestò le dita attorno all’anello dell’ano che era freddo e secco. Fece scivolare dentro un dito. L’indice destro, poi il medio ed infine gli stessi due della sinistra. Il suo ano doveva essere largo adesso come una tazza da caffè. Come aveva cominciato, smise. Si alzò velocemente, sollevò la figlia per le ascelle mettendola alla pecorina. La montò sopra coprendola. “Sei una mucca e devi essere munta” disse senza affettazione. I seni della figlia dondolavano come due mammelle d’animale. Li afferrò da sotto, palpandole i capezzoli che strinse tirandoli verso il basso. Soffriva e urlava, con i denti stretti ed il respiro convulso. Percorse con le mani tutta la lunghezza delle tette arrivando all’attaccatura sotto le ascelle. Strinse di nuovo ma non con tutta la forza: quanto bastava perché le mani potessero liberamente correre su e giù ed iniziò letteralmente a mungerla. Ogni volta che arrivava all’areola strizzava con le dita, cercando di far saltare fuori i capezzoli che nonostante tutto stavano ancora retratti. Il sudore che grondava dalle sue tette rendeva quell’atto scivoloso ed agevole, proseguì per una ventina di ripetizioni, sempre più veloci e dolorose. Si sfilò facilmente il corpetto aperto. Rimase con i soli slip indosso, montata sopra la figlia, pompandole velocemente le tette. “Stronza, bastarda, lasciami le tette, lasciami le tette”. Gridò a mezza voce. Rita divincolandosi si staccò da quella morsa della madre. Maria la prese di nuovo sotto le ascelle e la tirò a sé alzandosi sulle ginocchia. Le tette fecero un balzo verso l’alto e ricaddero pesanti con un rumore imbarazzante contro il mio plesso solare. Cinse il seno con un braccio dal quale abbassando gli occhi vide spuntare l’areola del capezzolo sinistro. La testa era appoggiata alla sua clavicola. Le gambe ingarbugliate nelle sue. Le natiche, nude, appoggiate mollemente sul suo pube. Si alzò in piedi tirandola con sé. Rita girò su sé stessa finendo in ginocchio. Fu in ginocchio davanti a lei che la teneva per le tette. Ora Rita era a quattro zampe. Alzò il collo e la guardò: era completamente nuda, fatta eccezione per gli slip neri. Allungò un braccio e la prese per i capelli facendola alzare. La spostò insicura sui tacchi; strappò via il reggiseno; le tette traballarono ridicolmente. La sdraiò violentemente con la schiena sulla cattedra. I globi del seno scesero pesanti ai lati del torace. Sollevò entrambe le gambe con il braccio destro e le appoggiò al suo torace. Percepì il calore del suo seno nell’incavo delle ginocchia. Le cinse, la inclinò leggermente a destra, esponendo i suoi due buchi. Rovistò con le dita alla ricerca dell’ingresso della sua fica. Scostò le labbra e la penetrò con il pollice. Il medio entrò facilmente nel sedere ormai tenero. Serrò le dita e aiutandosi con la presa forte che aveva attorno alle sue gambe cominciò a sbatterla contro il tavolo. Le natiche cadevano pesanti con un rumore umidiccio sul piano, vibrando ogni volta. Rita diede un’unghiata con la mano destra a sua madre colpendole un seno. Di slancio percorse la sua pancia, alla cieca, dove incontrò l’elastico dello slip. Ritrasse indietro il bacino con uno scatto. Rita strattonava l’elastico istericamente in preda ad una rabbia sorda. Forse cercava solo di metterla nuda per vedere i suoi occhi perdere il loro sguardo sicuro e renderli simili ai suoi, vergognosi, privi di protezione, come il suo sesso. Poté abbassare lo slip solo dalla parte destra tirandolo fino a metà della coscia. Vide il suo fianco dritto e massiccio e poco più in là, si mostrò nuda la curva discendente dell’inguine. Intravide, attraverso il pallore qui più marcato la striscia bluastra della vena inguinale. Si liberò con un ceffone dalla mano della figlia; per riassestare lo slip lasciò la presa e si girò mostrandole il gluteo destro, nudo, separato dall’altro da un taglio netto. Lo slip tornò a posto con uno schiocco. Rita, ritornò a quella presa tanto efficace sulla madre e riuscì a toglierle le mutandine nere. Maria se le lasciò togliere per sentirsi nuda, per dare alla figlia una piccola vittoria. Rita probabilmente capiva cosa la madre stava pensando e finì di dimenarsi dalla sua stretta. Era giunto il momento di finire quel gioco erotico. Rita, nonostante tutti gli schiaffi, si sentiva forte ed eccitata nello stesso tempo. Aveva tolto le mutandine alla madre. Tutte le posizioni che si erano create nello scontro, le avevano permesso di ammirare il corpo della propria partner, come avrà fatto nello stesso tempo la madre con il suo. Le due donne si sentivano eccitate, vogliose di terminare quella giornata nel migliore dei modi: l’una nella braccia dell’altra. Nel frattempo il padre stava aprendo la porta di casa. Nessuna delle due udì il rumore proveniente dall’uscio ma non si può dire altrettanto del padre che, appena entrato, sentì le due donne urlare una contro l’altra. Si precipitò verso la camera degli ospiti dove, dietro la porta, lo accolse uno scenario mai neppure immaginato! Tante volte aveva fantasticato nei suoi sogni erotici di poter vedere la figlia nuda, come quando era bambina. Altre volte aveva fantasticato sulla moglie che faceva sesso con un’altra donna ma mai avrebbe pensato di poterlo vedere con i suoi occhi!La sua piccola stava nuda in mezzo alla stanza con sua madre! “Ma cosa state facendo?” urlò il padre contro le due donne! Le due, solo ora si accorsero di non essere sole in casa. Tentarono di ricomporsi come meglio potevano ma a nulla valsero i tentativi. Le due erano in bella mostra davanti all’uomo! Rita scoppiò a piangere e si diresse in camera sua chiudendosi; Maria era ancora immobile nella stanza. Non sapeva cosa dire al marito! Chissà cosa pensava in quell’istante l’uomo che le aveva scoperte! Il marito cercava di capire il loro comportamento. Non gli dava fastidio il fatto dell’abbigliamento tenuto e del resto che avevano comprato nel negozio. Molte volte, da giovani lo avevano fatto assieme! Ma questo era troppo per un uomo all’oscuro di tutto! Maria si distese sul letto non curante del proprio “abbigliamento” o almeno di quello che restava! Suo marito si distese affianco a lei; le voleva parlare dell’accaduto.
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