La scenata che i miei genitori ci fecero allorquando ci scoprirono addormentati l’uno nelle braccia dell’altra ve la lascio immaginare. Mio padre Arnaldo per poco non si fece venire un coccolone e, trascinando per i capelli il povero Giovanni giù dal letto, dava tutta la colpa a mia madre Evelina che avendomi abbandonata a me stessa non mi aveva insegnato nulla delle cose della vita mentre lei gli rinfacciava di non aver saputo responsabilizzare il figlio maschio che così non aveva fatto di meglio che trovare nella sorella lo sfogo alle sue pulsioni. Quando rientrò a casa Gino, la tragedia sembrò stemperarsi per le matte risate che questi si fece cercando di sdrammatizzare l’accaduto, imputando il tutto al sangue caldo che evidentemente, disse, i fratelli avevano pur preso da qualcuno. “Basta che non se ne parli in giro” sentenziò al fine mio padre “in fin dei conti da ragazzi ce la siamo spassata così anche noi”. Mia madre invece si preoccupò di togliere la paglia dal fuoco e disse:” da oggi Tina verrà a dormire in fondo al letto in camera nostra, sul divano, per la tranquillità di tutti”. In tutto questo quarantotto né io né Giovanni eravamo minimamente contriti e anzi le occhiate che di sottecchi ci indirizzavamo stavano a confermare che prima o poi qualche nuovo numero l’avremmo messo in piedi. Ebbi la sensazione nettissima poi che mamma rimase piacevolmente sorpresa dall’affare che aveva sviluppato Giovanni per il fatto che di lui non s’era più di tanto curata da quando aveva smesso di fargli il bagno e anche mio padre Arnaldo notai che, senza farsi accorgere, mi sbirciava le tette e fra le cosce con occhio che mi pareva leggermente allupato. Dopo questi fatti, la vita riprese lentamente ma inesorabilmente il sopravvento: senza accorgermene in un sol giorno ero diventata una donna adulta e a detta dei miei pure una troietta. Ora dormivo sul divano in fondo al letto di mamma, ma per me non fu una punizione, anzi il fatto mi diede modo di accorgermi di tante cose che prima erano sfuggite alla mia attenzione e mi coinvolsero in modo che vi dirò. Il letto della mamma, accanto a quello di papà, era spesso vuoto dovendosi ella fermare molto spesso di notte presso la signora dove lavorava. Tali eventi permisero che spesso io e papà fossimo da soli la sera; come quella volta in cui egli, girando per la camera e imprecando contro, a suo dire, la dabbenaggine che aveva avuto permettendo alla moglie di rimaner fuori la notte costringendolo così alla solitudine e all’astinenza, non passò vicino al divano dove io ero già coricata: era rimasto in mutande, un paio di boxer a gamba larga, quando venne a posizionarsi in piedi proprio sopra la mia testa, dandomi così modo di intravedere un bigolo a riposo lungo il doppio di quello di Giovanni che già mi era parso enorme, con sotto due palle che parevano due pesche tanto erano grosse gonfie e vellutate. Non so ancora se mio padre si accorse del fatto ma intanto a me tornò quella smania che mi aveva preso prima dei giochi amorosi con Giovanni. Val la pena che a questo punto vi dica che era stata sempre una mia fissa tenere un diario dei fatti capitatimi; ben presto esso si arricchì di particolari sempre più piccanti. Scrivevo e annotavo tutto. Per esempio vi era raccontata, con dovizia di particolari, la mia iniziazione e le sensazioni fisiche e mentali provate sia prima che dopo l’avventura con Giovanni; tutte le varianti escogitate per toccarmi; la sezione del diario denominata “bagno” era infarcita di racconti, da quando mi facevo il bidet a quando mi trastullavo spiando il cazzo di Giovanni fino a che lo vedevo spruzzare; tutto era raccontato con puntigliosa descrizione e minuziosa dovizia di particolari. Lo tenevo accuratamente nascosto sotto i cuscini del divano dove dormivo, tra le molle: così a portata di mano, avevo preso l’abitudine, prima di addormentarmi, di rileggerlo rivivendo le scene e titillandomi la micia fin quando non percepivo nella mano la colata di liquido che seguiva l’orgasmo che mi lasciava sfinita ma soddisfatta.Un giorno, rientrando dopo esser stata a fare la spesa, vidi che il divano era stato spostato e nell’alzare i cuscini non trovai, ahi me, il mio prezioso e segreto manoscritto. Il cuore prese a battermi all’impazzata, mentre cercavo di far mente locale dove potesse essere finito, ma soprattutto chi l’avesse intercettato. Spuntai mentalmente chi della casa avesse potuto prenderlo e la conclusione più ovvia fu che fosse stato papà , l’unico che me l’aveva visto leggere di sera, prima di dormire. In casa si sentivano solo i rumori della strada, perché la finestra era stata spalancata: non avendola, prima di uscire, lasciata aperta, realizzai che qualcuno dovesse essere rientrato mentre ero fuori. Aguzzai l’udito e mi spostai ad ispezionare le camere in punta di piedi, dopo essermi tolta le scarpe e favorita dal baccano proveniente dalla via che copriva il mio eventuale fruscìo. Tutte le stanze ispezionate erano aperte e deserte. Solo la porta del bagno, in fondo al corridoio, era chiusa. Mi accostai senza far rumore e la provvidenziale fessura che mi aveva aperto gli occhi sulla vita ora mi mostrò papà Arnaldo seduto sulla tavoletta del vater mentre leggeva con molta attenzione il mio manoscritto. Doveva piacergli molto, considerato che, da come era posizionato, con la schiena appoggiata al muro, le gambe distese, nudo completo, mostrava davanti un monumentale batacchio in tiro tre volte quello di Giovanni che pulsava su e giù con regolarità secondo, penso, il ritmo dei battiti del cuore; insieme, ma con movimento che pareva indipendente, alzava e abbassava la borsa dei coglioni così che questi si disponevano ora l’uno ora l’altro a destra e sinistra del bigolo al pari di due uova salendo e scendendo nello scroto. Con una mano reggeva il diario e con l’altra sfogliava con lentezza le pagine leccando l’indice. Non so dove fosse arrivato con la lettura ma improvvisamente vidi la mano destra che si mise a sfrugugliare le palle strizzandole e accarezzandole risalendo poi verso la sommità del suo arnese che scappellò d’un sol colpo mettendo in evidenza un glande spaventoso con un meato che pareva la bocca d’un pesce, tutto rosso paonazzo e teso che pareva lucidato. Affatto insensibile a tale vista ero tutta eccitata e così presi a strofinare il clito con le dita sopra gli slip. Ero già tutta bagnata e non ebbi difficoltà a ritmare l’intensità e la velocità del mio sfregamento con il ritmo impresso da papà al suo pispolo, cosicché, quando lo vidi eruttare una fontana di sperma, avvampai tutta, mi tremarono e sciolsero le gambe e venni anch’io con copiosa emissione di liquido. Mi allontanai perché non volevo che papà mi incontrasse ora e, benché tutta bagnata, uscìì nuovamente da casa per rientrare dopo un po’. Salutai e lo guardai con apparente indifferenza e lui , semplicemente : “Dovrei dartele di santa ragione, perché sei ……” e si fermò. Io lo guardai con fare interrogativo ma si voltò e uscì. Mi precipitai in camera e trovai il mio diario al suo posto, come l’avevo sistemato io, tra le molle. Non servirono molti sforzi per rendermi conto che papà aveva in mente qualcosa. Ora che sapevo che lui conosceva i miei più reconditi segreti, mi sentii come in vetrina osservata dal suo occhio attento. Passò qualche giorno senza che accadesse nulla, poi una sera mentre eravamo in camera, lui nel suo letto, io sul mio divano mi disse: “senti Tina, perché invece che startene lì su quel divano dalle molle scalcinate non vieni qui nel letto di mamma dove starai più comoda?” Rimasi un po’ dubbiosa e a mia volta :… “.e se torna mamma?…” Lui pronto rispose che non sarebbe tornata per tutta la settimana e dicendo questo scoprì la parte del lenzuolo del posto di mia madre come ad invitarmi a prendere il suo posto. Con un po’ di riluttanza ma anche con curiosità mi trasferii, e sistemata che fui, lo guardai e gli diedi la buona notte. Lui però non aveva nessuna intenzione di dormire e cominciò a parlare prendendola alla lontana, raccontandomi di quando lui era giovane e come, con i suoi fratelli, conobbe il sesso e di come riuscì a coinvolgere le sorelle in giochi che ancora ricordava benissimo: ancor oggi quando si ritrovavano per le ricorrenze, ciò era motivo per ricordare senza nessun imbarazzo quegli eventi anche se tutti i erano sposati. Mentre lo sentivo raccontarmi delle sue avventure mi si erano risvegliati i sensi e sentivo il desiderio toccarmi tra le cosce; avevo poi la sensazione che tutto il suo raccontare dei fatti accaduti con le sue sorelle e fratelli fosse una specie di assoluzione per il fatto di avermi sorpreso con Giovanni ma ormai era tardi e volevo dormire. Bofonchiando papà mi salutò e spense la luce. Verso mezzanotte mi svegliai perché mi era parso sentir sussurrare “Ascolta…Tina.. sei qui…?” mi destai, e tutta insonnolita risposi: “Sì, papà.”. “Dove sei?”. “Qui, papà, sono qui…” dissi, ancora assonnata. Mi cercò tastoni allungando la mano “Ah, sì… sei qui…” Dal collo scese giù fino al seno. Quando vi fu giunto, ne prese uno in mano e lo saggiò. Avvertii un fremito alla nuca e alla micia, ma rimasi immobile. “Dunque… è qui…” borbottò con voce rotta “è qui che ti tocchi come ho letto nel diario…….?”. “Sì, pa’…” sussurrai io. “Anche qui?”. spostandosi sull’altro seno. “Sì, pa’… “. Intanto giocava con i capezzoli ed io ero terrorizzata ed eccitata insieme: risentivo l’ormai noto languore della mia vagina. “Come fai…? ” mi chiese. “Così, come fai tu…” dissi piano. In una frazione di secondo abbandonò i seni e mi passò la mano sotto la camicia palpandomi tra le cosce: con le dita frugò tra i peli e sussurrò: “Tina…?”. Mi ero irrigidita per lo spavento e l’eccitazione e sussurrai: “Sì…? ” “Tina.. ti fai….. anche qui…?”. “Sì… anche lì… “. Mi stupii di questa sua domanda, perché sapeva già tutto avendolo letto nel mio diario: l’aveva dimenticato, o Io chiedeva di proposito per mettermi alla prova? Ripeté: “Di’….Giovanni…. è stato qui con il suo bigolo…?”. “Sì…..”. “Qui dentro?”. Cercò di aprirmi la fichetta e di ficcarci dentro il dito. Gli spinsi via la mano. “Ma pa’…” dissi. “Voglio saperlo…” mi disse in un sibilo, e mi palpò ancora lì. “Ma papà..” lo pregai “cosa fai, papà…?” Avevo il suo dito dentro il buco reso scivoloso dall’eccitazione. “Papà,… smettila” gli sussurrai. “tu lo sai bene… è stato lì dentro… sì… ma smettila…”. “Ti ha scopata…?”. Il suo dito continuava a penetrare. “Sì,” dissi pronta “mi ha scopata…”. Improvvisamente mi lasciò andare girandosi dall’altra parte e salutatami, si addormentò. La situazione era stata così eccitante e i palpeggiamenti così coinvolgenti che avevo la passera fradicia: iniziai a menarmela lentamente per non farmi accorgere fino a che non sentii fortissimo il piacere pervadermi tutto il corpo accompagnato dalla solita fuoriuscita di liquido caldo ed appiccicoso; infine spossata mi addormentai anch’io. Non era chiaro l’atteggiamento di papà: il suo dire burbero nel pormi le domande e i suoi modi rozzi di toccarmi allontanavano da me il sospetto di un secondo fine, ma il fatto che non si fosse apparentemente accorto delle reazioni del mio corpo alle sue ispezioni, mi lasciava dubbiosa. A questi ragionamenti aggiungete quel che vi ho raccontato vedendolo in bagno a menarsi e a sborrare come un cavallo e capirete le mie perplessità.Per due notti dormii accanto a lui tranquilla; non mi toccò più, ed io dimenticai quasi completamente quel che era accaduto; mi stavo convincendo che tutto il suo strano comportamento fosse dovuto alla solitudine e alla rabbia che doveva avere in corpo a causa dell’assenza prolungata di mamma. Una sera, dopo esser stati al cinema, rientrammo tardi e ci coricammo; fu allora che egli allungò di nuovo una mano sino a toccarmi. “Tu…” disse, cercandomi il seno. “Tu…”. “Sì, pa’…” “Tu… quante volte.., quante volte ti ha scopata Giovanni…?”. “Non lo ricordo.. …”. “Su, dimmelo, quante volte.,.?”. “Ma se ho detto che non lo ricordo…”. “Voglio saperlo!”. Mi aveva afferrato il seno e me lo stringeva, al punto che gridai: “Ma papà….mi fai male.”. “Quante volte…?”. “Forse cinque…”. “Ah sì? Addirittura cinque volte…?”. Giocava con il mio capezzolo, che si rizzò. “Cinque volte….” insistette “…..consecutive?”. Non potei far a meno di sorridere. “Ma no… ogni volta con un intervallo…”. “Dunque cinque volte in tutto…?”. E intanto armeggiava col mio capezzolo, facendolo rizzare sempre di più. Provavo un misto di curiosità, di benessere, di eccitazione e di timore, tuttavia il timore dominava su tutto, per cui gli presi la mano e l’allontanai dal mio seno. “Su, papà, smettila, ma cosa fai?”. “Niente, niente…” brontolò, e si ritrasse dalla sua parte. Seguirono ancora un paio di giorni di calma e poi tornò la mamma. Fu per me un vero sollievo poter tornare a dormire sul divano e riprendere così i miei ritmi naturali: menarmi la micia, ricordare i bei tempi e godere da solitaria. Una notte papà e mamma tornarono tardi “.. fai piano Arnaldo, altrimenti svegliamo la Tina…” Di rimando lo sentii .. “..Ha il sonno pesante, non si sveglia di certo…” Li sentii ridacchiare e scherzare mentre io continuavo a fingere di dormire; ad un certo punto papà doveva aver fatto qualche avance alla mamma da dietro, cercando probabilmente di infilarglielo perché lei, quasi alzando la voce, “… ma dico…. che ti salta in mente ….no…no… potrebbe svegliarsi… ma dai….no…. smettila…” percepii qualche tramestìo, come di lotta, ma soffocato e poi mamma “…un momento…. Che furia…aspetta che mi tolga la camicia…” e quindi dopo un attimo “…ahhh …siiii… che bello…. Madonna, non me lo ricordavo così…dimmi che ti sono mancata….. ahhh… continua…” Io ero in uno stato d’eccitazione altissimo, il caldo del corpo mi aveva fatto uscire da sotto le coperte e con le gambe spalancate mi sditalinavo come una forsennata. Dalla finestra filtrava la luce tenue della strada ma sufficiente per vedere tutta la camera: i miei occhi, abituatisi all’oscurità come quelli di un gatto, potevano contare i peli sulla micia. Quando percepii che l’ansimare di papà Arnaldo e mamma Evelina stava aumentando, alzai piano la testa e da sopra la sponda del loro letto, vidi nettamente il culone bianco di mamma, imponente magnifico, che mostrava il suo buco dove potevo contare le zigrinature; col petto era posata su quello di papà che quindi l’infilzava dal basso in alto con un ritmo ormai forsennato considerato come ballavano i coglioni. Vedere quella mazza salire e scendere nelle vagina di mamma, tutta lucida di umori mentre lei gli reggeva le palle e gli infilava il dito nel buco del suo culo, mi infoiarono a tal punto che a forza di fregarmi, dovevo avere il clito infiammato tanto reagiva in sensibilità. Venni nel preciso istante in cui vennero loro e sentii che bagnavo il letto, spossata ma felice. Tutte le cose sembravano essersi rimesse a posto, nel loro verso naturale.
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