La mia fidanzata Roberta è da tempo appassionata di equitazione, ed essendo regolarmente iscritta ad un centro ippico, almeno due volte la settimana, quando è libera da impegni di studio (studia Giurisprudenza all’Università di Palermo) va a cavalcare, trascorrendo la mattinata al Centro Ippico che è situato in periferia. Avremmo dovuto vederci ieri mattina, dato che era festa, ma, quando passai a casa sua, la domestica mi disse che la signorina era andata a cavalcare. Decisi quindi di farle una sorpresa, e risalito in macchina mi diressi verso la periferia, per arrivare al centro ippico, senza preavvisarla, anche se avevo provato a chiamarla sul cellulare, che però risultava non raggiungibile. Il traffico era scarso, la giornata festiva aveva trattenuto la gente a casa, per cui in una ventina di minuti raggiunsi la strada dove sorgeva il centro ippico, ed entrai nell’ampio cortile dinanzi alla Club House. Sceso dalla mia vettura notai, parcheggiata poco più in là, la Matiz verde scuro di Roberta, segno inequivocabile che la mia fidanzata era già arrivata, e probabilmente aveva già sellato il cavallo ed era uscita per iniziare il percorso ad ostacoli. Cercai di entrare nella Club House, ma era troppo presto ed era ancora chiusa. Non avevo voglia di aspettare che arrivasse il gestore seduto in macchina, una cosa che francamente mi dà noia, perciò iniziai a passeggiare per il cortile, quando mi venne in mente che potevo benissimo arrivare sino alle rimesse dove venivano tenuti i cavalli: così avrei raggiunto il triplice scopo di aspettare Roberta, che avrebbe sicuramente riportato il cavallo in rimessa, di evitare una noiosa attesa, osservando i cavalli, che mi sono sempre piaciuti, e di evitare anche il freddo, che per quanto non fosse elevato, dava pur sempre una punta di fastidio. Mi diressi verso le rimesse, la cui porta di ingresso veniva lasciata semiaperta, come di consueto quando i proprietari degli animali andavano a prenderli, così da evitare loro attese del personale, la spinsi ed entrai. L’interno era in penombra, con una temperatura confortevole, e nonostante l’aria fosse comunque caratterizzata da un tono pungente, dovuto alla presenza degli animali, la cura e la pulizia con cui gli stessi venivano tenuti non la rendeva irrespirabile: non era un aroma fastidioso, pur essendo consapevoli della sua presenza: più che un odore, era un profumo di selvatico, di animale, non del tutto sgradevole. Avevo appena iniziato ad avvicinarmi al primo stallo, dove veniva tenuto un trottatore purosangue di tre anni, quando fui colpito da un mormorio sommesso, che proveniva da uno stallo posto una decina di metri più avanti. Più che un mormorio, sembrava un gemito, una ansito ritmato, che adesso che ci facevo più attenzione mi ricordava un gemito di godimento. Sicuro di essermi sbagliato, presi in considerazione l’ipotesi che si trattasse di un animale, magari colpito da qualche malattia improvvisa o da un infortunio improvviso. Mi avvicinai quindi allo stallo in questione, senza fare rumore, perché le suole di gomma delle mie Tod’s non facevano rumore sul pavimento in cemento ricoperto di paglia asciutta. Man mano che mi avvicinavo, però, potendo sentire meglio i gemiti, che continuavano con lo stesso ritmo, mi resi conto che si trattava di gemiti umani, sicuramente emessi da più persone: adesso potevo sentire chiaramente due gemiti che, come a gara, si sovrastavano uno sull’altro. Incuriosito, ed anche un po’ preoccupato, non sapendo bene cosa stava succedendo, ero indeciso se entrare o meno di colpo nello stallo, quando mi accorsi che lo stallo vicino a quello dal quale provenivano i gemiti era aperto e vuoto. Devo dire che gli stalli non erano chiusi da un tetto, ma semplicemente divisi l’uno dall’altro da un muro di mattoni, alto circa un paio di metri. Ogni stallo era largo una decina di metri, per consentire al cavallo di potersi muovere, e fissato ad ogni muro c’era, nell’angolo vicino alla porta, una specie di scaffalatura in legno, a due ripiani, larga circa un metro, che serviva, avevo visto, per riporre i finimenti e le altre attrezzature. entrai pertanto nello stallo accanto a quello dal quale continuavano a provenire i gemiti, mi inerpicai, cercando di non far rumore, sul secondo ripiano, e mi sporsi, di poco, per vedere cosa stava succedendo. Quale fu la mia meraviglia quando mi accorsi che dall’altra parte del muro, inginocchiata sulla paglia, completamente nuda, a gambe aperte, c’era Roberta. Ed insieme a lei c’erano due uomini, nudi anche loro, che le stavano praticamente di fronte, con i loro cazzi in potente erezione, avvicinati alla bocca di Roberta. A turno, lentamente, le infilavano il cazzo in bocca, facendoselo leccare, lasciandolo scorrere sino alla radice nella bocca della mia fidanzata, per poi toglierlo e far posto all’altro, che eseguiva lo stesso percorso, con la stessa lentezza. Roberta, ad occhi chiusi, lasciava che i due cazzi, alternativamente, penetrassero fra le sue labbra, arrivassero alla sua gola e tornassero indietro, per ripartire da capo. Le sue mani erano in mezzo alle sue gambe aperte e certamente, anche se non potevo vederlo, si stava furiosamente sditalinando, ragione questa di una parte dei gemiti che avevo sentito. Gli altri non erano gemiti, erano commenti, a bassa voce, ma non tanto bassa da non potere, dal posto in cui ero, ormai comprendere le parole.”Succhia, troia” diceva uno, e l’altro “Ti piace prenderlo in bocca, eh Puttana – -Pompinara ” proseguiva il primo, e così via, in una serie di termini osceni ed offensivi, che però a Roberta sembravano piacere. Infatti, ad un certo punto, con una voce che non le avevo mai sentito, e smettendo per un attimo il lento pompino che stava facendo, ma continuando con entrambe le mani una altrettanto lenta ed esperta sega ai due, disse “Sì sono una troia pompinara, mi piace il cazzo, mi piace prenderlo in bocca e farmi sborrare addosso, lo faccio anche all’università, ai miei compagni di facoltà, una volta l’ho fatto anche a lezione, ero in fondo all’aula, il ragazzo vicino a me si è sbottonato i jeans, me l’ha fatto vedere, ed io mi sono messa tra le sue gambe sotto il banco e gliel’ho preso in bocca finchè non mi ha sborrato in gola- con un tono di velata oscenità che mi faceva capire che si stava inventando l’episodio per eccitare i due maschi, i quali infatti ripresero ad infilare i cazzi nella bocca di Roberta, aumentando il ritmo, quasi a volerle scopare la bocca, spingendo forte quando arrivavano in gola, tanto che Roberta aveva quasi una spinta all’indietro con la testa quando la cappella le toccava l’ugola. E io avevo una mazza da baseball nei calzoni, nel vedere la mia fidanzata che agiva come una troia in calore, spompinando due sconosciuti. Sconosciuti, come ebbi modo di capire, a me: perché lei li conosceva benissimo, lo si vedeva da come li guardava, da come si faceva accarezzare le tette, piccole e sode, coi capezzolini scuri che si torcevano sotto le dita dei due, da come se li faceva leccare e mordere quando aveva in bocca il cazzo dell’altro da quello libero dei due, da come gli parlava e le parlavano. “Roberta, sei una gran troia” le dicevano “sei una pompinara fantastica, hai una bocca che è una ventosa- e lei fremeva di eccitazione sentendosi chiamare così. A me ormai l’eccitazione che provavo eraw diventata superiore a qualsiasi gelosia, del resto era una delle mie fantasie preferite immaginare Roberta chiavata da altri uomini, ed il fatto che ciò succedesse sul serio era in fondo la realizzazione di un mio desiderio. Lentamente aprii la lampo dei miei jeans e tirari fuori il cazzo, che era durissimo, iniziando a farmi una sega, mentre continuavo a guardare. I due proseguivano nella loro manovra, e ad un certo punto, osservando Roberta che gemeva sempre di più, uno dei due disse “Vado a prenderti il tuo amante preferito, Robi” e si allontanò uscendo dallo stallo, mentre l’altro, a quelle parole, si era sfilato dalla bocca di Roberta, e si era inginocchiato sulla paglia accanto a lei, continuando però ad accarezzarle le tette e la fica con le mani ormai libere. Roberta aveva chiuso gli occhi ed era in preda ad un quasi orgasmo, ogni volta che le mani dell’uomo le passavano sulle tette aveva un brivido, si passava la lingua sulle labbra con un’aria da troia che non le avevo mai visto. I passi dell’uomo che era uscito si sentivano risuonare sul cemento del pavimento, con un acciottolio strano un momento! quali passi quello era uscito nudo e scalzo e come poteva il mistero fu risolto subito, perché la porta si aprì e l’uomo rientrò portando con sé, alla cavezza, un magnifico stallone, purosangue, di chiara discendenza inglese, muscoli di velluto, un’aria fiera e nobile, uno splendido animale. La mia bocca si era improvvisamente seccata mentre le parole “il tuo amante preferito” mi rimbalzavano in mente. Roberta aveva aperto gli occhi, e si era rimessa in piedi, avvicinandosi al cavallo. L’animale abbassò la testa, e la portò all’altezza dei seni di Roberta, quasi a volerli fiutare, poi aprì la bocca e diede una leccata alle tette di Roberta, con la sua lingua lunga e spessa. “Ti ha riconosciuto, troia- rise l’uomo che era rimasto in ginocchio sulla paglia. Quasi a confermare quelle parole, il cavallo abbassò la testa e diede una fiutata alla fica di Roberta, sbuffando quasi di approvazione. Roberta si portò di lato al cavallo, ed iniziò ad accarezzare il petto dell’animale, facendo scorrere la mano sul pelo lucido, mentre l’animale, come se già sapesse quello che doveva succedere, sembrava tremare di piacere. La mano di Roberta scese verso il ventre del cavallo, e, senza che potessi vedere bene quel che succedeva, si mosse in piccoli scatti sotto il ventre dell’animale. D’improvviso, probabilmente sotto l’effetto di quella stimolazione che significava una lunga pratica da parte della mia fidanzata, dal ventre dell’animale uscì il suo organo sessuale: un cazzo enorme, di una quarantina di centimetri, chiazzato di bianco e nero, che quasi sfiorava il pavimento. Con mano sicura, Roberta iniziò ad accarezzarlo, movendo la mano lungo quell’asta di carne che si agitava, mentre sia io che i due uomini la guardavamo affascinati. Nuda, con le tettine al vento, i capezzolini eretti, il culo a mandolino, le gambe semiaperte, tra le quali era finita l’altra mano di Roberta, i capelli scuri tagliati all’altezza del collo, gli occhi neri lucidi per il godimento, con in mano il cazzo del cavallo a cui continuava a fare una gran sega, era uno spettacolo da mozzare il fiato, tanto che sia io che i due di sotto stavamo furiosamente segandoci, e per fortuna che gli sbuffi del cavallo coprivano, almeno, il rumore della mia sega, nascondendo la mia presenza. Lentamente, mentre continuava a segare quel cazzo maestoso, si inginocchiò, proprio al di sotto del glande del cavallo, ed avvicinò la sua bocca al cazzo, aprendola al massimo. Le labbra di Roberta avvolsero, per quanto possibile, la punta di quel cazzo, e le mani di lei lo spinsero all’interno di quelle labbra, per poi iniziare un lento andirivieni della bocca di Roberta sui primi dieci centimetri di quel cazzo: di più non ci entrava, nella bocca. Alternava queste potenti pompate, che lei faceva con un risucchio proprio da troia, con leccate su tutto quel palo, da cima a fondo, ed arrivò persino a leccare le palle del cavallo, per poi tornare a ripiazzarselo in bocca, riprendendo a spompinarlo. Si vedeva che non era la prima volta che lo faceva, e si vedeva anche che le piaceva moltissimo. I due tizi si avvicinarono a lei, staccandola per un attimo dall’animale. Uno si sdraiò a terra, sotto il ventre del cavallo, ed invitò Roberta su di lui, infilandole, mentre lei si sistemava, il cazzo nella figa ormai sgocciolante di eccitazione, infatti il cazzo sembrò scivolare nella fighetta di Roberta con facilità, L’altro si piazzò dietro a Roberta, e dopo averle sfregato una mano sulle grandi labbra ancora umide, le umettò il buco del culo, introducendo un dito, per poi sostituirlo con il suo cazzo, che seppure con meno facilità, riuscì ad introdursi abbastanza agevolmente nel culetto di Roberta. Scopata ed inculata a tempo, Roberta ebbe un gemito di piacere, ed io accelerai la mia sega a quello spettacolo. I due cazzi la martellavano all’unisono, sbattendola da quella vera troia che era. Roberta alzò la mano di quel tanto che bastava per portarsi il cazzo del cavallo alla bocca e riprendere il suo fantastico pompino, accelerato adesso dalla somma di godimenti che la sua fica ed il suo culo, invasi dai due stantuffi di carne, le provocavano. La sua bocca era una versa e propria ventosa, una idrovora che succhiava quel cazzo animale forsennatamente, mentre la mano se lo guidava fra le labbra, da cui entrava ed usciva per quello che la bocca di Roberta (che non è grande, ve lo assicuro, visto che i pompini li fa solo, anzi, anche, a me) consentiva. I due acceleravano, erano quasi pronti a godere, e si staccarono, uscendo dalla fica e dal culo di Roberta, che invece continuava a spompinare il cavallo, che però era prossimo a godere anche lui, a quanto potevo vedere. Roberta accelerò il ritmo, mentre i due si stavano segando davanti alla faccia di lei, aprendo la bocca, ed improvvisamente un fiume di sperma animale le inondò il viso, le tette, le gambe, le labbra, mentre Roberta in parte lo ingoiava ed in parte lo lasciava scorrere su di lei. Voltò il viso verso i due cazzi umani che stavano per esplodere, e bastò che Roberta passasse la lingua sulle due cappelle per essere nuovamente investita da una serie di schizzi in faccia ed in bocca, che in parte bevve avidamente. Poi ripulì per bene i due cazzi, leccandoli e prendendoli in bocca, sinchè anche l’ultima gocciolina di sborra fu ripulita alla perfezione. Nel frattempo avevo goduto anche io, come un maiale, nel vedere quanta troiaggine aveva Roberta. Mentre si asciugava, ed i due si rivestivano, Roberta fissò un appuntamento con i due la prossima settimana. Ma uno dei due disse “senza il cavallo però, deve correre e con i tuoi pompini arriverebbe ultimo Roberta” “Oh” disse lei “per una volta, possiamo farne a meno”. L’accordo venne raggiunto, ed io nel frattempo avevo avuto il tempo di uscire da lì, e tornare rapidamente alla mia macchina, dove mi ero seduto ad aspettarla. La vidi arrivare, dopo circa dieci minuti, vestita da amazzone. “Amore -mi disse- è tanto che aspetti’ “Dieci minuti” risposi io. Ci baciammo, decidemmo di vederci dopo un’oretta, il tempo per lei di farsi la doccia e cambiarsi a casa sua. Salimmo sulle nostre auto, per tornare ognuno a casa propria, ma nella mia mente continuavano a passare le immagini di lei con una marea di cazzi in bocca. La settimana prossima credo proprio che andremo a trovare un mio caro amico che ha un allevamento di cavalli in Toscana.
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