Antonietta era una bella ragazza di diciotto anni che, dopo la morte della madre, viveva sola col padre. Lui era disoccupato e beveva in continuazione per dimenticare i suoi guai. Voleva bene a sua figlia, ma quando aveva bevuto diventava manesco e pretendeva che lei gli facesse da moglie. Bruna, alta, con le forme piene, un gran seno e un culo che faceva voltare gli uomini per strada, Antonietta era spesso costretta a subire le attenzioni di suo padre. L’uomo non spingeva mai le sue avances oltre qualche toccata: al massimo le infilava una mano nella scolatura del vestito per palparle le tette o sotto la gonna per carezzarle le cosce o il culo. Solo un paio di volte gliel’aveva infilata nelle mutandine e quando i suoi ditoni callosi erano venuti a contatto con la carne giovane e fresca della fighetta della ragazza era quasi venuto nei calzoni. Tutto sommato era ancora giovane anche lui e la notte, quando si ritrovava da solo in quello che era stato il suo letto nuziale, sentiva come una ferita lancinante la mancanza di una donna al suo fianco. Allora si sfogava come poteva. Se aveva qualche soldo si pagava una puttana altrimenti si masturbava fino a stordirsi, poi beveva e solo allora riusciva finalmente a prendere sonno. Nel frattempo sua figlia diventava sempre più bella e appetitosa. Quando era sobrio si guardava bene dal pensare di farsela, ma quando aveva bevuto ci pensava eccome. Quando era ubriaco, però, era fortunatamente innocuo perché si reggeva a malapena sulle gambe e al massimo, come dicevamo, riusciva a palpeggiarla un po’. Anche Antonietta voleva bene a suo padre e le dispiaceva vederlo ridotto così. Le faceva pena quell’omone grande e grosso che ciondolava per casa senza un lavoro e si attaccava alla bottiglia. Capiva anche quanto soffrisse per la mancanza di una donna e non si arrabbiava più di tanto quando lui allungava le mani. Era lei che faceva il bucato e vedeva le lenzuola sporche di quando lui si masturbava nel letto e non si stupiva quando trovava le sue mutandine smesse ancora umide dello sperma di suo padre. Anzi, a volte, per farlo sfogare, le lasciava apposta in giro in modo che lui le trovasse facilmente e potesse darsi un po’ di sollievo annusandole e scaricandosi le palle. Facendo il confronto coi numerosi ragazzi che aveva avuto, ogni volta si stupiva dall’ampiezza delle macchie giallastre che trovava sulle lenzuola di lui e da quanto fossero impregnate di sperma ormai indurito le sue mutandine dopo che suo padre ci aveva goduto dentro. Una sera, incuriosita dalla lunga permanenza dell’uomo nel bagno da cui lei era appena uscita dopo essersi preparata per la notte, volle controllare e, senza farsi notare, frugò nel cesto della biancheria sporca alla ricerca delle sue mutandine smesse. Le trovò completamente fradice e impregnate dell’odore inconfondibile del seme maschile. La vista di tutto quello sperma ancora umido e quell’odore pungente che le penetrava le narici le fecero uno strano affetto e si sentì invadere da un piacevole calore al basso ventre. Con i minuscoli slip in mano sentì che si stava bagnando tra le gambe e provò un’irresistibile voglia di sesso. Avrebbe voluto che il suo ragazzo fosse lì in quel momento per soddisfarla ma dovette invece accontentarsi delle sue agili dita che, infilate sotto la sottile camicia da notte, le diedero un momentaneo sollievo. Un paio di sere dopo c’era una festa di matrimonio. Quando Antonietta raggiunse suo padre, che l’aspettava vestito di tutto punto, rimase sbalordita. Era elegantissimo, ben sbarbato, ben pettinato e profumato, con il viso disteso e sorridente. Per la prima volta in vita sua la ragazza si accorse di quanto suo padre fosse un bell’uomo. Alto, bruno come lei, e coi denti bianchissimi, un fisico da atleta. Al matrimonio notò come le altre donne, giovani e vecchie, lo ammirassero e ne fu quasi gelosa. Per tutta la serata stettero insieme ridendo e scherzando. Ballarono anche, stringendosi come due amanti. Rientrarono a casa verso le due del mattino, stanchi ma felici. Per la festa lei aveva indossato un abitino nero molto stretto che le fasciava le giovani forme perfette e dei sandaletti col tacco alto che mettevano in risalto le sue gambe lunghe e affusolate. Per tutta la sera lui aveva bevuto solo un paio di bicchieri ed era perfettamente sobrio, solo più allegro e vivace del normale. Anche lei aveva bevuto un paio di bicchieri e, non essendoci abituata, si sentiva la testa leggermente confusa. Appena entrata in casa si buttò sul divano invitando l’uomo a raggiungerla. Si sentiva pervasa da una strana irrequietezza che non le era mai capitata prima e che sentiva nascere dalle sue intimità più profonde. Si accorse di avere le mutandine bagnate e provava un calore insolito tra le gambe. Neppure quando era in compagnia del suo ragazzo si sentiva in quello stato. Quando il padre prese posto sul divano lei gli si sedette sulle gambe, a cavalluccio, col viso rivolto verso il suo. Il vestito era stretto e dovette rialzarlo per non strapparlo, scoprendo le cosce. – Cosa fai? – domandò lui. – Tienimi un po’ così, come quando ero piccola. – Va bene. Adesso, però, non sei più piccola. Sei una donna. – Per te voglio essere sempre la tua bambina. – Lo sei e lo sarai sempre, stai tranquilla. Stettero così per un pò, in silenzio, con lui che la faceva dondolare lentamente. Fu lei a rompere il silenzio. – Se vuoi, mi puoi toccare. – Scusa? – Ho detto che, se ti fa piacere puoi mettermi le mani addosso come fai quando hai bevuto. – Perché mi dici questo? – Perché sei sempre da solo, senza una donna, forse per causa mia, e questo non è giusto. Questa sera voglio che tu sia felice e, siccome so che ti piaccio, ti permetto di mettere le mani dove vuoi. – Dici sul serio? – Certo che dico sul serio. Inoltre, per dirla tutta, stasera sono io che ho voglia che tu mi metta le mani addosso. Forse sarà perché sono un po’ bevuta. Per quanto l’uomo fosse sobrio, e da sobrio non aveva mai importunato la figlia, quelle parole lo colpirono come una frustata, facendogli di colpo indurire il membro e scatenandogli una voglia irrefrenabile. Ancora incerto se le parole di sua figlia fossero davvero sincere, le poggiò le mani sulle cosce nude per saggiarne la reazione. Nessuna reazione. La carne era soda, liscia, calda e vellutata. Gliele carezzò a lungo, poi si accorse che in quella posizione era scomodo. Allora la fece scendere dalle sue ginocchia e la fece stare in piedi davanti a sé. Infilò una mano sotto il vestito e le carezzò le gambe dal ginocchio fino all’attaccatura della coscia. Spostò con due dita l’elastico delle mutandine e carezzò la sottile peluria del pube. Ancora nessuna reazione. La ragazza lo guardava silenziosa. La fece sedere sul divano e, inginocchiatosi davanti a lei, accarezzò i suoi deliziosi piedini ancora calzati nei sandaletti. Sentendola tirare un lungo sospiro di soddisfazione si fece più ardito e provò a baciarglieli. – Che bello – la udì sussurrare- mi piace farmi baciare i piedi. Allora glieli leccò delicatamente, passando la lingua piatta sulle dita lunghe e affusolate, sul collo del piede, sulle caviglie. Poi prese in bocca le dita e le ciucciò. Si stava arrapando come una bestia e quando la sentì nuovamente sospirare di piacere prese a risalire, leccandola tutta fino al ginocchio. Quando infilò la testa dentro al vestito per leccare le cosce lei divaricò le gambe per agevolarlo nella manovra. Sotto il vestito potè sentire il profumo della sua nascente femminilità e provò un piacere così intenso da fargli girare la testa. Il suo membro duro da scoppiare, costretto negli stretti calzoni, premeva dolorosamente contro la stoffa. Dopo essere rimasto a lungo con la testa infilata nel suo vestito a leccarle le cosce fino all’attaccatura delle mutandine e ad aspirare il suo profumo di giovane donna, si sfilò e, superato ogni indugio, le disse che l’avrebbe spogliata. Non udendo reazioni di sorta le sfilò l’abitino lasciandola in reggiseno e mutandine, entrambi di pizzo nero. – Sei davvero una bellezza – le disse ammirandola sinceramente. – Alzati in piedi che voglio guardarti meglio. La fece girare due o tre volte per potere ammirarla davanti e dietro. Nonostante avesse solo diciotto anni aveva già fattezze femminili, con un bel seno largo e pieno che debordava dal reggipetto, i fianchi rotondi e sensuali, un culetto rotondo e sporgente che sembrava disegnato col compasso, il ventre piatto, le cosce lunghe. Ammirando sua figlia si sentì ribollire i coglioni e con gesto veloce slacciò il gancio del reggiseno liberando due poppe stupende, di madreperla, piene, sode e con le punte larghe e rosate rivolte all’insù. – Che tette meravigliose – esclamò. Poi, lentamente, le abbassò le mutandine fino alle caviglie. Con un calcio lei le fece volare lontano. Una sottile e delicata peluria appena accennata le ricopriva il pube e il monte di venere, lasciando scoperta la fighetta dalle labbra piene e carnose e ben separate. La fece girare per ammirarle il culo. Non ne aveva mai visto uno così bello. Alto e sporgente, rotondo e pieno, con le due chiappette sode e carnose ben separate da un profondo solco. La pelle appariva chiara, liscia e delicata. L’uomo deglutì rumorosamente dando un lungo sospiro. Non poteva credere ai suoi occhi. Con indosso solo i sandaletti la ragazza gli sorrise. – Ti piaccio? Il padre diede un si strozzato. Si sentiva la gola secca e le mani sudate; gli pulsavano le tempie, l’uccello pareva scoppiargli nei calzoni e i coglioni ribollivano. Non si era mai sentito così. Come un bambino posto davanti ad un gigantesco gelato, l’uomo non sapeva da che parte cominciare. In piedi davanti a lei optò per quelle due stupende mammelle. Con le mani a coppa le afferrò entrambe sentendone la consistenza piena e soda, la morbidezza e il calore della pelle. Le palpò e soppesò, le carezzò e ne carezzò i capezzoli delicati. Poi ci tuffò il viso e le baciò, le leccò, le ciucciò, succhiò i capezzoli. Fece sedere la ragazza sul divano e le leccò il viso, gli occhi, le guance, il naso, le orecchie, le labbra, la lingua. La baciò a lungo in bocca succhiandole la lingua e bevendo la sua saliva profumata. Poi tornò alle poppe e le rileccò a lungo. Poi fu la volta della pancia, dell’ombelico, del pube. Baciò la peluria e il monte di venere. La rovesciò sul divano e le fece spalancare le gambe. La sua fighetta era umida e qualche gocciolina di umore ne imperlava le labbra carnose e piene. Quando lui gliele leccò delicatamente lei lanciò un urletto di piacere. Passò la lingua sul contorno delle labbra che a poco a poco si dischiusero rilasciando un odore delizioso. Quando le leccò il piccolo clitoride la sentì fremere e quando o strinse tra le labbra lei spinse il pube verso di lui. Glielo succhiò a lungo fin quasi a farla venire, poi le lappò tutta la figa a lingua piatta raccogliendo i suoi umori. Penetrò con la lingua dentro di lei a leccare l’interno fradicio. Quando sentì che stava nuovamente per farla godere la fece inginocchiare sul divano, col culetto ben proteso verso l’alto. Stette un bel po’ ad ammirare quella meraviglia della natura, poi le divaricò le gambe per osservare l’interno delle chiappette ed il buchetto del culo. Inginocchiatosi a terra dietro di lei cominciò un lungo lavoro di lingua partendo dal retro delle cosce per poi risalire alle chiappe. Quando l’ebbe insalivata per bene affondò il viso tra le natiche e leccò il solco posteriore, l’interno delle chiappe e, finalmente, il delizioso buchetto del culo. Piccolo, liscio e rosato, glielo lavorò a lungo con la punta della lingua. Dopo un tempo interminabile con la faccia affondate tra quelle due meravigliose chiappette, leccando e lappando come un forsennato mentre lei, con il viso affondato tra i cuscini del divano e il culo per aria, si lasciava fare silenziosamente tutto quello che il padre voleva, l’uomo, senza togliersi da quella posizione, cominciò a spogliarsi. Quando fu completamente nudo fece rialzare la figlia e la fece mettere seduta. Piazzato in piedi davanti a lei, le offrì la vista della sua terribile mazza che, dura come una mazza da baseball, puntava minacciosa verso l’alto. Non era certo il primo cazzo che Antonietta vedeva, ma una bestia del genere non le era mai capitata. Grossa come un suo avambraccio e lunga altrettanto, era diritta e nodosa, con la testa rossa che faceva capolino dal suo cappuccio naturale. – Dio quanto è grosso! – le scappò detto. – Non temere – le fece lui – non ti farò del male. Guardando la borsa delle palle, grossa quanto una bisaccia, capì la ragione delle gigantesche macchie sulle lenzuola. – Se hai paura lo metto via. – No, babbo, non ho paura. Se lo fece lisciare e si fece tastare le palle. Erano grosse come uova. Quando le diede la testa da ciucciare lei se la imboccò e gliela lavorò con le labbra e con la lingua, passando bene i contorni e soffermandosi sui punti che sentiva essere più sensibili. – Passaci sopra la lingua, brava, lappala tutta a lingua piatta, poi passa anche sotto i bordi. Guarda come sono spessi e rialzati. Non ho mai avuto la cappella così gonfia, mi stai facendo davvero godere come un maiale. Mentre lei leccava e cucciava lui le impastava le poppe e ogni tanto le infilava una mano tra le cosce ritirandola fradicia e leccandosela per assaporare il suo sugo. Vide che le labbra e la lingua di sua figlia erano ormai tutte impiastricciate dalla bava del suo cazzo e decise di farla smettere. Stava per farlo godere e non voleva ancora che il godimento finisse. Sdraiato sul divano se la fece sedere sulla faccia e si fece una lunghissima leccata di culo e figa. – Babbo, io sto per venire. Impegnato nella lappata l’uomo non rispose ma intensificò i movimenti di lingua. Voleva che lei venisse in modo da potersela lavorare poi col cazzo con tutta calma. Col corpo squassato da un violentissimo orgasmo, la ragazza gli venne sulla faccia rilasciando abbondanti sughi che lui bevve avidamente eccitandosi, se possibile, sempre di più. Quando lei si fu calmata la fece sdraiare sulla schiena e le montò sopra. – Adesso te lo metto – le annunciò. – Non farmi male. – Stai tranquilla, piccola, il tuo papà te lo mette piano piano. Reggendosi sulla braccia avvicinò la testa del cazzo alla stretta apertura della figlia e cominciò delicatamente a forzare. Sapeva che lei non era più vergine ma sapeva anche che le dimensioni della sua mazza avrebbero potuto causarle dolore. Spingendo il più delicatamente possibile introdusse metà cappella. – Ti fa male? – No, babbo, stai tranquillo, continua pure a mettermelo. Con un colpetto secco infilò tutta la cappella causandole un urletto di dolore. Il più era fatto. La ragazza era ben lubrificata e lui si sentiva scivolare dentro quel paradiso di piacere che lo accoglieva caldo e morbido. Con metà della sua formidabile mazza infissa dentro di lei prese a dondolare ritmicamente guadagnando centimetro dopo centimetro fino ad infilarsi tutto dentro di lei. Baciandole teneramente il bel viso, l’uomo aumentò il ritmo fino a trovare quello giusto e nei minuti successivi, mentre scorreva liberamente nella pancia di sua figlia, credette di avere raggiunto il paradiso in terra. – Babbo, io sto per venire di nuovo. – Vieni, piccola, vieni; sono felice di farti godere un’altra volta. – Continua così, babbo, continua così, senza fermarti. Continua che vengo, vengooo, sto venendo, ahhhh, sto venendo di nuovo. – Dio, come sei bravo! Mi hai fatto venire tanto! Non ho mai goduto così intensamente. – Bene, bambina mia. Adesso tocca a me. Non in pancia, però, sarebbe pericoloso. Non voglio certo metterti incinta. – Hai ragione, in questi giorni sarebbe molto pericoloso. Però puoi venirmi dove vuoi. – Sul tuo bel musetto. Mi piacerebbe godere sul tuo bel musetto, sporcartelo tutto coi miei schizzi. Posso? – Certo che puoi, babbino. Schizza tanto il tuo coso? – Di solito schizza tanto, ma oggi credo che schizzerà tantissimo. Sei così bella ed io sono così infoiato che mi sento le palle piene da straripare. Vedrai che sborrata! – Come mi devo mettere? – Inginocchiati a terra col capo leggermente reclinato all’indietro. Io mi piazzo in piedi, davanti a te. Detto, fatto. Seppure a malincuore l’uomo si sfilò dalla calda e morbida fighetta della figlia e i due si posizionarono come stabilito. – Vuoi che te lo ciucci un po’ prima di godere? Se vuoi ti passo la lingua sulla cappella, visto che ti piace tanto. – Si, brava, passaci la lingua sopra e lecca bene i bordi. Guarda come si sono fatti spessi e come si sono rialzati. E guarda il buchetto del cazzo com’è dilatato. Se riesci infilaci la punta della lingua e dai una leccatina. Docile e ubbidiente la ragazza fece tutto quel che il padre le chiedeva sporcandosi la lingua e le labbra della bava biancastra e collosa che aveva cominciato a colare copiosamente dal cazzo. – Passati il cazzo sulle poppe, voglio sporcarle di bava. Sono così belle, grosse, sode e appuntite. Reggendo il cazzo a due mani la fanciulla si strofinò la cappella sulle due magnifiche mammelle lasciando una scia biancastra. – Preparati, non ce la faccio più, devo venire. Piantato a gambe divaricate co la testa del cazzo a circa venti centimetri dal delizioso faccino della figlia, il padre si dispose a colpirla col suo piacere. Prima di descrivere la sua sborrata, che fu sicuramente la più abbondante e violenta che mai gli fosse capitato di fare in tutta la sua vita, bisogna dire che l’uomo si stava lavorando la figlia d più di un’ora e che non era mai stato così arrapato. Tastandosi i coglioni li sentì gonfi e duri da fare paura e capì che l’avrebbe inondata. – Guarda che sto per versarti addosso una quantità impressionate di sperma – l’avvertì. – Sono pronta. La potenza, la violenza e la quantità di sborra che l’uomo scaricò sul faccino innocente della figlia andò ben al di là delle sue previsioni. Spaventandosi lui stesso da quel fiume di sborra che gli usciva ininterrottamente a fiotti spessi e cremosi, colpì la fanciulla con schizzi ripetuti in sequenza uno dietro l’altro facendola annaspare sotto quelle bordate che le toglievano il respiro. Non un solo centimetri del bel visino fu risparmiato e rivoli di sborra densa presero a colarle per il collo sporcandole il seno, il pancino, le cosce, i piedini delicati. Stava sborrando come un cavallo e non accennava a fermarsi. Dopo gli schizzi ci furono dei fiotti e poi di nuovo schizzi che volavano potenti producendo nell’aria un semicerchio per andare a spiaccicarsi rumorosamente sul viso e sul corpo della povera fanciulla. Mai si vide una sborrata di quelle dimensioni e di tale violenza. Scaricata tutta la sua potenza di cazzo l’uomo si accasciò sfinito sul divano contemplando spaventato il disastro da lui compiuto sul viso, reso quasi irriconoscibile, di sua figlia. – Perdonami – le sussurrò – non credevo di ridurti in quello stato. – Non ti preoccupare, non è successo niente. Hai goduto tanto, tutto qui. Sono felice di averti fatto godere così. Vuoi che mi pulisca o preferisci che resti così, con tutta la tua sborra addosso. – Lascia che ti guardi così, tutta sporca. Poi puoi ripulirti. Nonostante quella colossale goduta, il padre non si sentiva ancora pienamente soddisfatto. La figlia gli piaceva troppo e vederla così, tutta imbrattata dal suo seme, lo arrapò di nuovo. Il cazzo, tuttora gocciolante, era sempre duro. – Vorrei farmene un’altra. Però non posso mettertelo in pancia, è pericoloso. Inginocchiati col culetto ben proteso. – Cosa vuoi farmi, babbo – domandò Antonietta, temendo le intenzioni di lui e gettando un’occhiata spaventata al suo sempre enorme cazzo. – Non avere paura. Inginocchiati, forza, e divarica bene le gambe. Quando senti che comincio a leccarti il buchetto del culo, tu dai delle belle spinte, come se dovessi sforzarti per fare la cacca. Vedrai che così lo facciamo aprire. Detto, fatto. Grazie al suo lavoro di lingua e alle spinte ritmate della figlia, a poco a poco i bordi degli sfinteri s’ispessirono e la rosellina prese a dischiudersi. Piazzato dietro di lei, l’uomo fece non poca fatica a romperle quel delizioso culetto. Incurante dei lamenti di dolore della malcapitata e tenendola immobilizzata con le sue forti braccia, riuscì a stangarle in culo tutta la cappella. – Mi fai male, babbo, tanto male. Sembra che tu mi stia squartando col tuo cazzo. – Mi dispiace, piccola, ma è da tropo tempo che voglio romperti questo tuo bel culetto. Quando fu ben piazzato dentro di lei le montò in groppa e, con pochi colpi ben assestati che la fecero urlare, entrò del tutto fino a che non sntì i suoi grossi coglioni sbattere contro la carne soda della piccole chiappe di lei. Incurante delle lacrime che rigavano il viso della fanciulla, se la inculò come un califfo godendosela tutta come tante volte aveva sognato di fare. Quando il retto della ragazza si fu adattato alle dimensioni della sua mazza e sentiva che poteva scorrere agevolmente, si fece la più bella inculata della sua vita. – Sei cattivo – piagnucolava lei. – Hai ragione, piccola mia, il babbo è cattivo e ti sta facendo la bua al culetto. Ma è così bello e appetitoso che non ho saputo resistere. E intanto se la inculava a più non posso. Avevano cambiato posizione e lui, seduto sul divano, l’aveva sollevata di peso reggendola per le cosce e, piano piano, se l’era fatta scivolare lungo il cazzo piantandoglielo tutto nel culo a smorzacandela. Sempre reggendola per il sotto delle cosce se la faceva scivolare su e giù godendosi quelle carni che, a ogni passata, gli massaggiavano deliziosamente la cappella. – Sei proprio cattivo. – Ho quasi finito. Ancora qualche colpo e mi scarico. – Me la fai nel culetto? – Si, tesoro, voglio svuotarmi le palle nel tuo bel culetto. Manca poco la sento arrivare. Per godere vorrei però che ti mettessi di nuovo a pecora. Così t’ingroppo e godo meglio. Docile e ubbidiente come sempre nonostante il dolore che stava patendo, la ragazza fece per posizionarsi sul divano s’inginocchiò nuovamente sul divano, ma lui la fece in. – No, non sul divano; inginocchiati su quella poltrona, quella coi braccioli. Inginocchiatasi dove diceva lui, affondò la testa nei cuscini e gli offrì il culo. Dopo il trattamento a base di cazzo il buchetto era dilatato da fare paura e l’uomo vi introdusse agevolmente tre dita. Poi affondò il viso tra le chiappe si fece una bella lappata infilandoci la lingua e leccandone l’interno. Poi le fece sollevare il culo più che poteva e mise i piedi sui due braccioli della poltrona. In quella posizione poteva ingropparla al massimo e, con gran soddisfazione, glielo infilò tutto nel culo con un sol colpo. Aggrappato alle sue spalle se la inculò come un forsennato finchè, ragliando come un asino in calore, le scaricò negli sfinteri una quantità mostruosa di sborra. Il piacere che gli fluiva dai lombi e andava ad inondare gli intestini della povera ragazza era così intenso da fargli quasi perdere conoscenza; lo sentiva scorrere dentro di sé interminabile e si stupì lui stesso di quanto questa seconda sborrata fosse lunga e abbondante. Quando finalmente si sfilò dal culo col cazzo gocciolante, la vide correre al bagno. Pensò ridendo che doveva averle fatto l’effetto di un clistere e i rumori che udì provenire dal cesso gli confermarono quel pensiero. La trovò seduta sul bidet che cercava di darsi refrigerio e sollievo dopo il dolore e l‘infiammazione di quella tremenda inculata. – Sei stato davvero cattivo – ribadì lei. – Lo so. Perdonami. Ma era da troppo tempo che desideravo farmi quel tuo bel culetto rotondo. – Mi hai fatto tanto male. Dopo una doccia ristoratrice andarono entrambi a dormire. Si risvegliò nel cuore della notte col cazzo duro da scoppiare. Cosa mi succede, pensò. Me ne sono fatte due di fila e ce l’ho di nuovo duro. Quella ragazzina mi sta facendo impazzire. Si recò in camera sua e la trovò che dormiva beatamente. Scostò delicatamente le sue lenzuola. Indossava una corta camicina da notte dall’ampia scollatura che le lasciava scoperte le gambe e una buona metà dell’ampio seno. Ammirando deliziato quelle giovani carni senti la mazza pulsare prepotentemente mentre i coglioni gli venivano pervasi da un piacevole formicolio e capì che se la sarebbe fatta per la terza volta. Svegliarla non fu facile perché lei dormiva profondamente e quando intuì le intenzioni del padre fu alquanto contrariata. – Adesso ho sonno. Lasciami in pace. – Papà ha tanta voglia. Sei così bella. Dopo qualche scambio di battute fu lui ad avere la meglio e, sollevatala di peso, se la portò in camera e la depose sul lettone dove lei si riaddormentò quasi subito. Poco male, pensò lui e, senza neppure sfilarle la camicia da notte, se la leccò tutta da capo a piedi. Come gli piaceva leccarsela tutta! Passare la lingua piatta su quella pelle delicata, giovane e fresca, sentire il sapore di lei e aspirare il suo dolce profumo. Quando si soffermò sui suoi piedini per leccarle e succhiarle le dita lei si svegliò.
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