Riuscii a dimenticare Maria? Forse. La vita continuò, con le sue dure esperienze, con i suoi drammi; io trascinai i miei anni con i miei amori adolescenti: amori peccaminosi, ma sacri. Conobbi amori dannati, ma sublimi: con donne ancora in boccio, con ragazzine che erano già donne. Ad ogni amore, io tremavo, mi battevano le tempie, il sangue pulsava con violenza nelle vene, le vertigini mi oscuravano la vista. Ma quella era la vita. Era l’amore che mi toglieva il respiro. Ho voluto bene a tutte le femmine che ho incontrato. E me le hanno portate via tutte. Ricordo un’altra ragazza di Livorno e sua madre. Lei si chiamava Arianna, un bel nome. Io la chiamavo Ari, e la ragione c’era. Eravamo amici, in principio, soltanto buoni amici. Mi godevo il suo cicaleccio di pettegola sfacciata, al tavolo del bar di cui sua madre era proprietaria, nelle lunghe sere d’inverno, quando mancavano i clienti. Ari era molto carina, e se io non mi fossi ostinato a pensare a un’altra, avrei potuto innamorarmi di lei. Non ci avrei fatto una bella figura, perchè un uomo innamorato non fa mai un bella figura; ma io della gente me ne stropicciavo. Le volevo bene, non so più se per la sua parlata toscana, o per il suo musetto da bertuccia dispettosa. Era molto carina, ho detto: soltanto carina, però. La sua non era una bellezza vera, ma piuttosto una grazia femminile tutta particolare. Voleva far credere di avere quattordici-quindici anni, ma probabilmente ne aveva un paio di più. Si vestiva ancora da ragazzina. Le gambe erano perfette, né troppo sottili né troppo robuste. Quando si sedeva, teneva sempre le gambe accavallate una sull’altra; la mini corta si sollevava fino agli slip, e qualche volta si vedeva anche più su, un mistero di seta nera che soltanto gli amici di sua madre avrebbero forse saputo spiegare. C’era chi diceva che Ari, appena in casa, si spogliasse e restasse in calzamaglia; pareva, infatti, che avesse praticato sport. Certo, il suo corpo era molto snello ed elastico e possedeva tutte le movenze sciolte di una ginnasta. Era strafottente, ma senza esagerazione. Fumava già, forse per atteggiarsi; leggeva romanzi d’amore, voleva bene alle bestie; era furba e le piaceva spendere. Qualche volta diventava addirittura esasperante con quell’aria felina di libertinaggio che riusciva a sventolarsi intorno con uno sguardo e un sorriso. Civetta da dare le vertigini. Il musetto da scimmia aveva qualcosa di piacevolmente bizzarro. Ma la bocca era sensualissima, carnosa. Era un tipino solleticante, molto dotato di femminilità. Sua madre, la signora Adele, era una bella donna sui trentacinque anni e ne dimostrava qualcuno di meno. All’opposto di sua figlia, aveva occhi e certe pose da stanchezza languida che la rendevano più piacente e desiderabile. L’aria austera la adoperava per i giovanotti che frequentavano il suo bar: con lo scopo di tenerli lontano da sua figlia. La stanchezza languida, invece, la riservava per i vecchi commercianti, la sua clientela preferita, che voleva tenersi vicini. Io, per lei, ero un tollerato. Non ho mai capito le ragioni di questa sua predilezione nei miei riguardi. Resta il fatto, però, che a un certo punto mi prese per il suo confidente. Quando mancavano i clienti anziani, lei mi faceva compagnia, mi offriva da bere e mi faceva anche l’onore di lasciare che io accompagnassi a casa lei e sua figlia. Dovevo però sempre rimanere sulla soglia; per più di sei mesi restai a sospirare prima di potere attraversare quella porta che, per me, racchiudeva un delizioso mistero carnale. Immaginavo chissà quali vizi dovessero avvenire in quell’appartamento. Per togliermi la curiosità, e ogni dubbio, una sera avevo seguito da lontano un ricco commerciante che l’aveva accompagnate a casa. Il commerciante era entrato. Io restai di guardia fino alle quattro del mattino, ma non lo vidi ridiscendere. Ormai avevo capito abbastanza. Si sussurravano cose strane, al bar, nei riguardi della signora Adele e di Arianna; qualcuno diceva anche che la madre si facesse di coca. Una sera, stranamente, mi invitarono al cinema. In taxi, io sedetti fra loro due. La mia coscia destra premeva la coscia di Arianna. La mia coscia sinistra si strusciava contro quella della signora Adele. Per stare più comodo, avevo passato le braccia alla vita di tutte e due, e quasi mi auguravo che il viaggio non finisse più. Mi domandavo se dovevo baciare prima a sinistra o prima a destra: oppure se non dovevo baciare per niente. Mi davo dell’imbecille. Ero molto giovane e timido. Ma anche prudente, perchè in fondo capivo che non si trattava di donne onestissime. Avevo paura di rompere le uova nel paniere. Finalmente, con una certa titubanza, mi decisi di tentare con Arianna, che mi pareva avesse più voglia di essere mia complice. Non mi sbagliai. Ma non spinsi troppo in là il mio gioco, perchè pensavo ad altre dolcezze; quelle del buio del cinema, e pensavo anche al modo migliore per attraversare la soglia stregata di quel paradiso, di cui tanti sussurravano, ma di cui io non ne sapevo niente. E poi, ero a disagio, impacciato: un passo falso avrebbe potuto compromettere tutto. La vicenda del film mi aiutò meravigliosamente. Il lungo bacio dei due protagonisti piacque straordinariamente ad Arianna. Lo volle anche lei, proprio così: presa di fianco, con la testa rovesciata, le labbra premute sulle labbra, per cinque minuti, per un quarto d’ora… senza fine. E questo avvenne dietro il tendone rosso dell’ingresso in sala. Arianna era talmente entusiasta della sua scappatella, e orgogliosa del suo coraggio, che ai richiami preoccupati della madre ebbe la sfrontatezza di non rispondere. Quando la signora Adele insistette, Arianna rispose: “Uffa, non stare e seccarmi…”. A me però, con un’aria di beata congiura peccaminosa, disse: “Quella benedetta donna ha le idee del suo tempo..”. “E allora?” chiesi. “Ma sì..per mamma, se non hanno superato i cinquanta, gli uomini non sono persone serie. Però, siccome io non ho nessuna voglia di litigare, ma voglio soltanto spassarmela a mio gusto, ti consiglio di fare la persona seria anche tu… “. “E che cosa dovrei fare?” “Falle la corte, con tatto, con ipocrisia. Parla della necessità di salvare le convenienze, parla di sentimento, di rispetto della famiglia. Sono cose che fanno sempre un grande effetto. L’importante è che tu riesca a entrare in casa nostra. Poi, quando la porta è chiusa a chiave, lei diventa un’altra donna”. “E cioè?” domandai incuriosito. “Lontana dagli occhi del mondo, si sente autorizzata a fare il comodo suo, no? Allora diventa più mattacchiona di me, sapessi. Per adesso porta pazienza, fai la persona seria, mi raccomando. Ci vuole ancora un’oretta, e poi…….”.”Pensi che una cenetta ci stia bene?”. “Certamente. E con tanto vino… Mamma beve volentieri, e dopo diventa più trattabile, vedrai…”Dopo il film, io proposi con tutta serietà di andare a mangiare un boccone. La proposta fu accettata. A tavola, lasciai scegliere i vini alla mamma, che gradì vini corposi. Si rise molto, fra un piatto e l’altro. Io, sotto la tovaglia, toccavo di qua e di là, con noncuranza. Le cose andarono come volevo io. Alla fine, non ebbi nemmeno bisogno di troppa diplomazia. Le accompagnai a casa, come al solito, e sulla soglia di casa la mamma mi disse, con un tono dolce e cordiale: “Ci accompagni su. Le offriamo il bicchiere della staffa”. Non mi feci pregare. Era ormai notte fonda, circa le due del mattino. Mi comportai, all’inizio, come un anziano signore molto educato e compìto. Ne uscii il giorno dopo, alle undici e mezzo. Di quella notte straordinaria ho un doppio ricordo. Un ricordo di godimento compiuto, e un ricordo di saggezza. Anche la signora Adele, sulle prime, seppe comportarsi con molto senso morale, nonostante il Barbera che aveva bevuto. Conversava amabilmente, parlando del più e del meno. E per mezz’ora, dovetti sopportare la commedia che avevo previsto: il rispetto alle convenienze, il valore morale della famiglia e così via. Arianna mi aveva consigliato di tacere e di ubbidire. Infatti tacqui. Ma intanto, seduto sul divano a fianco di Arianna, mi andavo sempre più avvicinando alla ragazza, cominciai a toccarla, a passarle una mano sulle spalle come se fosse un semplice gesto di amicizia e di cordialità. Arianna, mezza sdraiata sul divano, lasciava fare in silenzio. Quando però cominciai a darle un bacetto sulla guancia, poi sul collo, la madre si interruppe e ci guardò con severità. Arianna si staccò da me. Evidentemente, non era ancora scoccato il momento giusto. Io cominciavo a bollire, a fremere. “Non cominciate a fare i ragazzini” disse la signora. “Tu, Ari, comincia ad andare a letto. E lei venga con me”. Ari mi spinse da dietro, e io mi alzai dal divano. Lei uscì dal tinello. La signora Adele chiuse la porta della camera, e senza che io me lo aspettassi mi si gettò fra le braccia con una furia fatta di implorazione e di passione: “No, no…” disse. “Lascia stare la bambina. Vedi, Ari non può ancora capire niente, è ancora così giovane, così acerba… Mentre io, invece…”.Rimasi stupito per l’improvviso voltafaccia. Dov’era dunque andata a finire tutta l’austerità, tutto il senso dell’onore e della moralità, “Ari, signora?” balbettai. Mi abbracciò con frenesia, premendo le mammelle contro il mio petto: “E poi…. e poi …..io ti voglio.., ti voglio! ” Era molto bella, tenera e rotondetta. Aveva gli occhi lucidi, i capelli scomposti, la faccia alterata in una splendida smorfia di desiderio e di piacere. Sembrava sconvolta da un ardore passionale e malato, come invasata davanti alla mia fresca giovinezza: io non ero che un ragazzo, ma evidentemente a lei piacevo proprio per questo. Una spallina dell’abito cadde, e scoprì la sua pelle liscia. Mi fece scivolare sul divano dove avevo tentato di sbaciucchiare sua figlia. In quel momento, dalla stanza da letto, Arianna chiamò la madre. La signora si rialzò, rossa e già sudata, e con voce sicura mi disse: “Senta, se lei vuole restare con noi, questa notte, venga pure in camera nostra. Dormirà sul divano. E soprattutto badi di non fare chiacchiere, dopo, perchè proprio non è il caso. Si ricordi poi che la tengo qui solo perchè mi farebbe troppa pena mandarla fuori, con questo freddo. Spero che ci siamo intesi”. “Certo, signora. Grazie”. “Venga di là, dopo. Ma senza fare storie. E aspetti che anch’io mi sia spogliata. Venga soltanto quando io la chiamo”. Aspettai. La signora Adele finalmente mi chiamò. Mi sdraiai sul divano, togliendomi solo scarpe e giacca. Dopo qualche secondo protestai: “Io ho freddo. E poi, il divano è duro”. La signora, però, parve irremovibile. Mi augurò la buonanotte. Allora io, con infinita precauzione spogliatomi del tutto, mi alzai e, approfittando del buio, mi avvicinai al letto, dalla parte di Arianna, trattenendo il respiro, con il sesso eretto dall’eccitazione. Stavo già per toccare il corpo della ragazza, quando sobbalzai. La madre, riaccendendo la luce, mi tolse ogni speranza: “Ragazzi, basta con le sciocchezze.., Via, via! Siamo ragionevoli! Lei, la finisca.., e anche tu, stupida, comportati bene se non vuoi farmi uscire dai gangheri.” Stavo per uscire dai gangheri anch’io; la commedia durava molto più del prevedibile. Ero nervoso, esasperato. Pensavo a tutti quei vecchi clienti del caffè che, forse, avevano trovato molte meno difficoltà di quante non ne trovassi io. Pagando, si capisce. Ma la recita dell’onestà a tutti i costi, da parte della signora Adele, mi sembrò più atroce delle orge erotiche che avevo immaginato succedessero spesso in quella camera. Ma il sorriso di Arianna mi fece portare ancora pazienza. Mi sussurrò all’orecchio: “Fai sempre come dice lei, vedrai che andrà tutto bene”. La madre sembrò impietosirsi di me, soprattutto guardava con rapacità fra le mie gambe:”Senta, se proprio non riesce a dormire sul divano, venga qua nel letto. Vicino a me. Però lasci stare la bambina, capito?”. Arianna mi pregò di continuare la commedia. Ubbidii. Mi infilai educatamente nel letto, e la signora spense di nuovo la luce. Probabilmente, le due avevano ripetuto decine di volte quello show. E con chissà quanti uomini. E magari erano sempre sincere, pur recitando. La signora pensava che quella estenuante resistenza passiva rendesse più sfolgorante la gioia della vittoria agli uomini. A meno che non si trattasse di un ritorno all’ipocrisia millenaria cui sono costrette le donne: quella di resistere al maschio fino a quando la caduta non sembrasse un’inevitabile fatalità. Ma io non potevo sapere. Rimasi buono buono, sull’orlo del letto. Poi ci furono dei sussurri strani e dei movimenti veloci. Una mano mi toccò il sesso, e una bocca calda improvvisamente mi baciò. Io mi lasciai andare, felice. Riconobbi la bocca dal profumo, dal sapore di giovinezza, dalla lingua piccola ma insistente: era quella di Arianna. La baciai con ingordigia, mentre la madre, con mano esperta mi trastullava l’arnese in modo da produrmi piacere ma stando ben attenta a non farmi venire. Trascorso un po’ di tempo in questi preamboli che servirono ad innalzare la temperatura delle brame di ciascuno, Arianna lasciò la mia bocca, e girandosi si sistemò con la sua vagina sul mio viso, mentre, di sotto, alternava con la madre le cure al mio glande che, per queste attenzioni, si era ingrossato tanto da farmi quasi male. I sughi di Arianna erano un potente afrodisiaco: più ne emetteva più mi accanivo sulla sua vulva e sul suo clitoride bevendo, leccando, affondando con forza il mio viso in quella deliziosa e delicata polpa che sapeva di mare. Ben presto non fui più in grado di resistere e, col cuore a mille e le tempie che mi pulsavano, eiaculai in modo parossistico non so quante volte ma ogni volta, pronta, c’era una bocca ad accogliere la mia semenza. Ansante e appagato, non ebbi però tregua: anche Arianna e sua madre volevano godere di mazza non accontentandosi solo del sugo. Succhiandomi abilmente mi riportarono in condizioni tali che, appena pronto, la madre si erse su di me a mo’ d’amazzone, infilandosi il sesso in vagina e iniziando a darsi e dami piacere alzando ed abbassando il bacino mentre io le avevo preso i capezzoli erti e duri come il marmo e li strizzavo assieme alle tette. Arianna intanto mi leccava i testicoli prendendone in bocca or l’uno or l’altro, non tralasciando di leccare l’asta ogni volta che il deretano della madre la lasciava libera e l’ano, provocandomi forti scosse di piacere. La signora Adele ebbe un orgasmo violento anche perché la sua mano non aveva mai smesso di strusciarsi il clitoride mentre mi cavalcava e crollò su di me con tutto il suo peso senza darmi il modo di godere appieno. Quando si accasciò di lato, avevo pertanto il sesso ancora in tiro e bagnato fradicio: sentendomi al tocco in queste condizioni la figlia non si fece pregare e s’infilzo anch’essa come prima aveva fatto la madre. Riempitasi che fu della mia verga, si abbassò a baciarmi con immensa dolcezza e fui io, quindi, che iniziai a sbatterla con potenti colpi di reni mentre si teneva leggermente sollevata poggiando sulle ginocchia. La sua vagina stretta e fasciante produsse l’effetto di farmi godere quasi subito e, anche lei, avvertendo la profusione di liquido, aggiunse il suo esalando un profondo sospiro. Le donne si prodigarono tutta notte e oltre per farmi godere fino al massimo della mia resistenza, sollevando in me sensazioni indicibili, di estenuante dolcezza mentre il godimento cresceva sempre di più e furono con me un ansito unico. Mi addormentai all’alba. La mattina dopo, alle undici, la signora Adele si alzò per preparare il caffè. Fu a colazione che parlò liberamente e dovetti sorbirmi il pistolotto moraleggiante. “Già…, disse, succede sempre così, quasi tutte le sere…..sa? Un po’ la voglia sua, di Ari, un po’ la mia…… Come avrei potuto impedirle di fare il comodo suo? L’ha fatto fin da bambina, io non ho mai capito chi sia stato il primo. Del resto, fin da ragazzina, me la spassavo anch’io alla meglio. Perchè farsi illusioni? Siamo tutte così, almeno quelle che non hanno il sangue di pesce. La tentazione è troppo forte, e poi l’esperienza degli altri non è mai servita a nessuno. Ma insomma, questo è l’unico piacere della vita. Noi ci vestiamo bene per piacere. E gli uomini studiano, lavorano, si muovono così e colà, solo per piacere a noi. E’ una legge di natura, che la civiltà non ha ancora potuto cancellare. Le ipocrisie fanno più male che bene e impediscono, a volte, delle gioie più che naturali e legittime… Quante sofferenze hanno creato gli ipocriti! Ma il mondo vuole così”. Pareva un torrente in piena e continuò, forse con l’intento di scaricarsi la coscienza: “Un giorno, poi, torno a casa e la trovo a letto con un compagno di scuola… . Mandai lui a spasso e misi Arianna sottochiave per una settimana, dopo averla picchiata. Ma, il terzo giorno, trovai la stanza vuota, era scappata dalla finestra. Per sei mesi non ne seppi più niente, poi venni a sapere che viveva con uno conosciuto in spiaggia. Ci andai. Quella notte dormimmo insieme. Di notte venne il suo ganzo, e io non potevo certo proibirglielo. Ormai ero in casa di mia figlia. In tre si stava stretti, ma d’inverno si stava caldi. Arianna non era gelosa, e così ci si intese. E il ganzo ci trovava più gusto. Io, che ero più pratica della mia figliola, mi convinsi che la faccenda poteva rendere molto di più fra la gente per bene. In fondo, l’amante di Arianna non ci dava niente. E così, dopo un anno, lo lasciammo… Dopo ci siamo sempre arrangiate alla meglio, così… Non vedo che cosa ci sia di male. E poi io so che la gente per bene, la gente morale, è disposta a pagare molto di più… in questa maniera. Insomma, se facessi i fatti miei da sola, mi darebbero forse una manciata d’euro. L’Arianna può darsi che ne guadagnerebbe di più. In due, invece, i moralisti pagano….o se pagano. E’ così che mi son fatta il bar. Oh, attento però che non si sappia, basta che non si sappia… mai. Bada, acqua in bocca, mi fido di te”. Si zittì e non disse più nulla.Continuai a vederle ancora per qualche tempo fin quando i miei non si trasferirono in un’altra città. Con gli amici del biliardo continuai a dire che le chiacchiere erano chiacchiere, e che con la madre e la figlia non c’era niente da fare.
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