Il diavolo in convento: esiste?Ecco una domanda alla quale è assai difficile dare una risposta. Certo, se esiste Dio deve esistere anche il diavolo perché altrimenti non si spiegherebbero i peccati degli uomini e delle donne. Ma il diavolo, secondo la religione, è qualcosa di astratto, una figura imprecisa, alcunché di puramente morale: è il Male, contrapposto al Bene, cioè alla Divinità. E il Male vive in ciascuno di noi, è più che altro una voce interna, non un’entità concreta, non qualcosa di esterno a noi. Almeno, così ho creduto fino a qualche tempo fa. Ripeto dunque la domanda: esiste il diavolo? Esiste, voglio dire, come creatura in carne e ossa, che vive in un certo luogo, dotata della capacità di intendere e di volere, di assumere forma corporea, magari quella delle immagini in cui lo si vede con le corna e la coda? E’ un interrogativo al quale non sapevo dare una risposta. Ma adesso… Perché io, madre badessa del convento di P., dovrei ormai saperne abbastanza in merito. Nel mio convento succedono infatti cose davvero strane. Accanto alla mia cella c’è quella di suor Letizia, una giovane contadina paffuta, con le guance rosse come mele, laboriosissima e molto pia. E nata in Inghilterra, nel Sussex, ed è capitata qui in Francia, dove sorge il mio convento, anni fa, inviata dalla casa madre, non ricordo più in quali circostanze. E stata sempre una prediletta tra le mie consorelle. Non ha mai avuto, che io sappia, pensieri meno che onesti. La sua castità è assoluta, la sua cella è sempre ordinatissima, suor Letizia non manca a un vespro, non impigrisce mai a letto, coltiva l’orto con dedizione e assiduità, e siccome ha il pollice verde, l’orto dà frutti sufficienti, non solo per la nostra mensa, ma anche per la gente del vicinato, alla quale vendiamo i nostri prodotti. Eppure, eppure… Da qualche tempo in qua, dalla cella di suor Letizia escono strani rumori. La parete che la divide dalla mia è sottile, e una notte, non molto tempo fa, ho cominciato a sentire sospiri, gemiti, rumori come di un corpo che si agitasse sul letto. Non sono nata ieri. Prima di farmi monaca sono stata donna di mondo, e ho conosciuto l’amore terreno prima di dedicarmi esclusivamente a quello di Dio, prima di diventare Sua sposa. E sapevo dunque che cosa significavano quei sospiri, quei cigolii. Tanto più che a quei suoni se ne mescolavano altri, inequivocabili: suoni di baci, quel rumore che producono due bocche che sì congiungono, due lingue che si cercano, che si annodano, che si accarezzano sensualmente nella cavità orale. Non potevo avere dubbi in proposito. Non ho detto niente, sono rimasta ad ascoltare: ascolta, ascolta, ascolta….e mi tornavano alla mente trascorsi ormai sopiti dal tempo ma non rimossi, che provocavano in me, man mano che l’affanno aumentava nella cella vicina, un languore e un desiderio di toccarmi tra le cosce già bagnate dagli umori che mi colavano dalla vagina per “simpatia” : sentii il clitoride turgido, eretto e sensibilissimo che si piegava ai voleri del mio indice e del mio medio che con movimenti circolari lo strapazzavano fino a quando, simultaneamente all’apice orgasmico della consorella esplosi anch’io in modo violento emettendo una quantità notevole di umori dovuta evidentemente al lungo tempo di astinenza. Il mattino dopo, suor Letizia è comparsa in coro alla solita ora ma con l’aria smarrita, gli occhi pesti, come appunto capita a chi ha trascorso una lunga notte d’amore. Ho deciso dunque di vederci chiaro. Nella parete tra la mia e la sua cella è scavata una nicchia proprio sopra il mio letto. Ci tengo la bottiglia dell’acqua e un bicchiere, un rosario, un piccolo crocifisso. E poiché sapevo che il fondo della nicchia era costituito da un semplice assito, vi ho praticato un buco. La notte dopo, i rumori dall’altra parte sono ricominciati. Ho avvicinato l’occhio al foro senza farmi udire. Nella cella di suor Letizia la luce era accesa, come prescrive la regola. Suor Letizia era sul letto, con la camicia da notte sollevata a scoprire il basso ventre soffuso di teneri peli biondi che contrastavano col color vermiglio delle vagina spalancata e sugosa tale un melograno appena addentato, e dominata dalla cuspide formata dalle ninfe da un clitoride di ragguardevoli proporzioni, indice evidente di forte eccitazione .mentre mani(?) invisibili tiravano più in su la camicia, mettendo a nudo i seni. Questi ultimi si vedevano chiaramente strizzati, lo notavo perfettamente, e una presenza, non saprei come meglio definirla, quasi un corpo trasparente, si infilò tra le cosce di suor Letizia, e notai che qualcosa entrò in lei, qualcosa che suor Letizia afferrò con la mano e si portò alle labbra della vagina: con quel qualcosa andava strofinandosele prima di cacciarsi dentro quello spettrale arnese, e i gemiti e i sospiri non era soltanto lei a emetterli, ma uscivano anche da un’altra bocca, la bocca di qualcuno o qualcosa che le stava sopra, scuotendola con un movimento frenetico, qualcuno o qualcosa che le succhiava le labbra, attenuava per qualche istante il proprio movimento e poi lo riprendeva con maggior vigore e violenza di prima, e dalla fica di suor Letizia uscivano quei rumori inconfondibili, quei risucchi che sono prodotti dall’ingresso dell’aria premutavi dentro con forza, quelli che i greci chiamavano, rammentando i miei studi dei classici, poppismata.. “Ciò che gli incubi introducono negli uteri non è un qualsivoglia seme, bensì un seme abbondantissimo, molto spesso, molto caldo, carico di spiriti e privo di sierosità,” affermava Vallesius. Sì, suor Letizia era posseduta da un incubo, quei singolari esseri della cui esistenza avevo la prova sotto i miei occhi, che in volgare qualcuno chiama folletti, e che secondo certi teologi sono creature intermedie tra gli uomini , gli angeli o i diavoli. O sono loro stessi demoni? Perché ci sono teologi i quali sostengono anche che non sono poi esseri perfidi e infidi, e che ci sono anche succubi femmine, diavolesse di stupefacente bellezza che, con carezze, baci, sollecitazioni di ogni sorta, inducono anche gli uomini più casti, anche i più severi anacoreti, a congiungersi con loro. E incubi e succubi sono ugualmente invisibili – invisibili, voglio dire, a occhi umani. Ma loro vedono noi, uomini e donne, loro ci desiderano, loro possiedono le donne o si fanno possedere dagli uomini, e a volte si manifestano alle une e agli altri in forma visibile. Che cosa potevo fare? Affrontare suor Letizia? Sarebbe stato inutile: ho preferito parlarne con il nostro padre confessore, il buon abate Xavier. Il quale mi ha consigliato di rivolgermi a un esorcista, e me l’ha indicato lui stesso. Padre Antonio giunse di lì a pochi giorni in macchina, proveniente da Arles. Era un uomo alto, ben portante, di una quarantina d’anni. Bello, devo dire. Troppo bello per essere un prete. Ma, m’aveva detto l’abate Xavier, era dotato di straordinarie qualità, e soprattutto era un uomo di una rettitudine e di una castità irreprensibili. Gli ho riferito quello che avevo udito e visto, e padre Antonio m’ha detto: “Non c’è da sorprendersi reverenda madre. Gli incubi e i succubi esistono davvero Esistono i demoni, e sono di varie specie. Noi esorcisti ne sappiamo qualcosa. Noi esorcisti siamo sempre alle prese con queste creature perfide, insolenti e imprevedibili. C’è, in seno alla Santa Chiesa, chi sostiene che incubi e succubi siano creature intermedie tra gli uomini e gli angeli……” “Questo lo so,” gli ho detto. “Ma voi, padre, evidentemente siete di tutt’altro avviso.” “Sì,” ha risposto lui. “E tuttavia… Tuttavia devo dirvi che a volte sono stato preso da dubbi. Perché quando una donna o un uomo sono posseduti da un demone, questo li tormenta, si rifiuta di uscire dal loro corpo obbedendo alle nostre ingiunzioni, e la lotta che dobbiamo ingaggiare con il demone è dura, lunga, e coronata da vittoria solo dopo molto tempo. Dobbiamo spruzzare a lungo l’indemoniato d’acqua benedetta, subire le sue offese, e non di rado venirne aggrediti a calci, a pugni, a sputi, tra orrende bestemmie, ruggiti e urla disumane, e l’indemoniato arrota i denti, si agita, freme, urla di rabbia e dolore di fronte al crocifisso, mostrando tutti i segni della paura. “Invece, quando un incubo si è impadronito di una donna, e magari le compare davanti in figura umana – e lo stesso accade nel caso della succuba – basta pronunciare il nome di Gesù o Maria, recitare qualche versetto delle Sacre Scritture, imporre reliquie, soprattutto il legno raffigurante la Santa Croce, accostare alla posseduta o al posseduto le immagini sante, perché l’incubo o la succuba evidentemente se ne vadano, tant’è che quegli accessi notturni di cui voi, madre, m’avete parlato, più non si ripetono. La donna è liberata, e torna nel grembo della Santa Chiesa.” “E ditemi, padre, succede sempre così?” “Non sempre, madre. A volte la resistenza dell’incubo è tenace, l’incubo ride, lo si sente perfettamente, dei nostri esorcismi. E non sempre capìtola, anzi a volte l’ha vinta lui. E io mi chiedo: questo il buon Dio lo permette? E allora… “Sappiate dunque che una ventina d’anni fa dalle parti di Arles viveva una donna sposata, di costumi ineccepibili, di cui i monaci dei dintorni dicevano un gran bene. Un giorno costei, aveva preparato in casa sua una torta che poi era andata a consegnare al fornaio per farla cuocere in quanto era necessaria una temperatura alta e costante. E il fornaio le riportò la torta cotta e in pari tempo una focaccia di forma molto strana, tenera e burrosa, che la donna non voleva accettare, sostenendo che non era di sua spettanza. “Ma il fornaio insistette, disse che non aveva avuto altro da cuocere oltre le cose sue, e che evidentemente la memoria ingannava la signora. La buona donna si lasciò convincere, e mangiò la focaccia con suo marito, la figlioletta di un anno e la domestica. La notte successiva, mentre dormiva accanto al marito, fu risvegliata dal suono di una voce sottilissima, una specie di mormorio, dapprima vago, ma un po’ alla volta distinse perfettamente le parole che pronunciava. E quella voce le chiedeva: ‘La focaccia è stata di tuo gusto?’ “Spaventata, la donna cominciò a farsi segni di croce e a invocare il nome di Gesù e di Maria. ‘Non temere,’ le disse allora la voce. ‘Non voglio farti del male; al contrario, voglio farti solo cose piacevoli, sono attratto dalla tua bellezza e il mio più grande desiderio è di godere dei tuoi abbracci.’ In pari tempo, Ella sentì che due labbra estranee le sfioravano la guancia, ma così leggermente da farle sembrare che a toccarla fossero piume di uccello finissime. Lei resistette, ripetendo più e più volte il nome dei Santi e facendosi il segno della croce. La tentazione durò una mezz’ora, poi il tentatore scomparve. “Il mattino dopo, andò dal suo confessore, uomo anziano e saggio, il quale la esortò a continuare la vigorosa resistenza che aveva opposto al tentatore. Le notti successive i fatti si ripeterono: le stesse tentazioni, con parole e baci. Altrettanta costanza da parte della donna, e questa volta il confessore le consigliò di ricorrere a un esorcista. Lei lo fece, ma gli esorcisti non trovarono nulla che indicasse la presenza di spiriti maligni; benedissero la casa, la camera da letto e il letto nuziale, e ingiunsero all’incubo di smetterla di importunare la povera donna. “Ma non era così facile! La tentazione continuò, .e questa volta il corteggiatore fece ricorso a un altro metodo: finse di struggersi d’amore, piangeva, gemeva, rivolgeva dolcissime parole alla dama la quale tuttavia tenne duro. “L’incubo allora ricorse a un nuovo sistema: si materializzò sotto forma di un giovane di straordinaria bellezza, con i capelli biondi e ricci, un filo di barba anch’essa bionda , gli occhi azzurri come il fior di lino e, per completare il suo fascino, sobriamente ma elegantemente vestito. E le compariva innanzi ovunque, anche se lei era in compagnia, e si lamentava … come fanno gli amanti, le mandava baci, le scriveva persino lettere ardenti che la donna non aveva il coraggio di mostrare al marito e tanto meno di conservare, ma bruciava subito. Bruciava però anche il suo cuore, e tuttavia, fedele al legame nuziale, e buona credente com’era, continuò a opporre tenace resistenza. “E allora l’incubo ricorse ad un altro espediente ancora. Prese a battere crudelmente la povera donna, a schiaffeggiarla, a frustarla con verghe invisibili, lasciandole dappertutto ematomi che duravano un giorno o due e poi all’improvviso scomparivano, al contrario di quanto avviene con le contusioni naturali che si riassorbono solo un poco per volta. E a volte, quando la dama allattava sua figlia, gliela strappava dalle ginocchia, andava a metterla sul tavolo, sull’orlo del letto, oppure la nascondeva da qualche parte, senza però mai farle del male, e la povera donna, disperata, doveva mettersi a cercarla e la ritrovava perchè attratta dai pianti della piccola. “E una notte che Daniela, questo era il suo nome, giaceva accanto al marito, l’incubo le apparve nella sua solita forma di bel giovane e la pregò di lasciarlo fare. Ma avendo lei opposto l’ennesimo diniego, l’incubo digrignò i denti, scomparve e riapparve poco dopo con un gran mucchio di pietre, con le quali costruì attorno al talamo nuziale un muro. Scesa che fu dal letto, Daniela si accorse che il muro era scomparso. “L’incubo ne combinò a Daniela anche altre, come quella di farle trovare in tavola cibi squisiti, e spesso, mentre lei mangiava una minestra qualsiasi, ecco che nel suo piatto comparivano vivande di gran cucina, ovviamente visibili solo a lei, che Daniela mangiava per non insospettire il marito e che le sembravano squisite. E certamente quei cibi dovevano contenere qualche sostanza inebriante, perché un pomeriggio che era sola, e l’incubo le ricomparve davanti, Ella non seppe resistere alla tentazione, e in quattro e quattr’otto l’incubo le fu sopra: per dovere di verità, Daniela qualche tentativo di resistenza lo fece, ma avendo ormai preso confidenza e mai avendole egli fatto del male, pensò che la santa confessione era stata istituita per poter peccare, e così si diede un gran da fare per facilitare le cose: era un pezzo che non portava mutande per cui la fica era facilmente raggiungibile; afferrò l’arnese enorme che sentiva e non vedeva e se l’infilò in vagina dando inizio a un godimento ormai dimenticato perché il marito più non si peritava di soddisfarla. E’ così che fu posseduta . E da quel giorno, addio fedeltà coniugale! Daniela non poteva ormai fare a meno dell’incubo, e si congiungeva con lui approfittando di ogni momento di solitudine. Finché il marito se ne avvide perché l’incubo si era fatto imprudente, andando a visitarla anche nottetempo, e il marito si trovava accanto, nel letto, non già la casta sposa di sempre, ma una menade scatenata che bramiva, ululava, pronunciava oscenità, invitando con crescente furia la creatura a possederla. E fu il marito che alla fine ricorse ai servigi del benedetto Domenico di Aix-en-Provence, un sant’uomo al quale nessun demone o altro che fosse, sapeva resistere, nella speranza che questi riuscisse a liberare la donna dalla persecuzione dell’incubo, restituendogli la sua cara sposa. “Il beato Domenico venne, vide e vinse: caricò la donna in macchina, se la portò al convento, e tre giorni dopo la riportò, cambiata, finalmente serena e distesa. L’incubo se n’era andato, l’aveva liberata della sua presenza.” Ma a questo punto mi coglie un dubbio: e se si fosse semplicemente stancato di lei e si fosse dato ad altre seduzioni? La madre badessa avrebbe dato qualsiasi cosa pur di sapere come i fatti si fossero svolti, ma padre Antonio scosse il capo: “Non Io so, madre. Non lo so, e anche se lo sapessi non potrei dirvelo. Questi sono i segreti degli esorcisti, segreti che non si possono rivelare.” La Badessa e padre Antonio,continuando la conversazione, convenirono che la sera, egli si sarebbe chiuso nella cella della superiora così che anche lui avrebbe assistito ai congiungimenti di suor Letizia con l’incubo. E così si fece. La sera padre Antonio fece finta di accomiatarsi, uscendo effettivamente dal convento solo per rientrarne poco dopo da una porticina segreta. Senza esser visto si portò presso la cella della Badessa dove si rinchiusero. Aspettarono in silenzio ciascuno con i propri pensieri. Verso mezzanotte cominciarono i soliti rumori nella cella accanto: prontamente la Badessa si precipitò al pertugio scavato nel tramezzo per poter mirare suor Letizia sul letto, con le cosce oscenamente spalancate. Alzava le anche protendendo la fica per ricevere in estasi i colpi dell’incubo che parevano ritmati e continui e, dagli occhi stralunati della consorella , enormemente sollazzevoli. A mano a mano che tutto questo avveniva qualche cosa andava materializzandosi sopra di lei: dapprima un’ombra vaga, che divenne membra e muscoli del corpo asciutto di un giovane di straordinaria bellezza, con i capelli biondi e ricci, un filo di barba anch’essa bionda , gli occhi azzurri come il fior di lino che si stava ciulando ben bene la cara consorella. Un cazzo enorme e stupendo la penetrava fino alle palle, ne usciva quasi del tutto per rientrarvi con affondi che parevano sempre più possenti. Suor Letizia si scuoteva tutta, si agitava, lo teneva per le chiappe, gli sfrugugliava le palle e gli ficcava un dito nel buco del culo. Quanta energia si sorprese a pensare la Badessa. E mentre era lì con l’occhio attaccato al buco incapace di distaccarsi dallo spettacolo, sentì una mano alzarle la tonaca e un’altra accarezzarle le natiche, e prima che potesse reagire, affascinata com’era da ciò che avevo sotto gli occhi, un bigolo caldo,lungo, duro, le penetrò nelle viscere dal didietro. Ebbe un momento di resipiscenza. Voltandosi a mezzo, parlando con voce roca, mormorò: “Ma che cosa fate, padre Antonio?” E lui: “Sono il tuo incubo, cara. Sta’ zitta e scopa.”

