Cara sorella, devo raccontarti una cosa straordinaria che mi è accaduta nei giorni scorsi. Sappi dunque che, sul pullman che mi portava a R., ho conosciuto una donna d’eccezione. Si chiamava Carolina, e abbiamo cominciato a parlare del più e del meno mentre il mezzo traballava sulle malandate strade del nostro Appennino. Come tu forse sai, il movimento della corriera, al pari di quello del treno, è quanto di più favorevole all’eccitazione ci sia. Avvertivo una strana sensazione al basso ventre, mi sentivo inumidire tra le cosce, e la voce carezzevole di Carolina, unita agli sguardi di fuoco che mi lanciava, ai discorsi di sesso che mi propinava, mi facevano andare in sollucchero mentre stringevo le cosce accavallate sempre più forte quasi da giungere poco meno che al godimento. Giungemmo finalmente a P. dove avremmo pernottato in albergo, e io andai nella mia stanza a riposarmi e cambiarmi; mi sentivo uno strano fuoco addosso e, anziché distendermi sul letto, mi misi a passeggiare nervosamente per la camera; era quasi l’ora di cena quando udii bussare alla porta. Era Carolina, venuta a prendermi per andare a tavola. Mi guardò, mi si avvicinò, mi strinse tra le braccia, per il momento accontentandosi di questo, perché proprio in quel momento sentimmo risuonare il gong che avvertiva che la cena era servita. Scendemmo nella sala da pranzo dove ci venne offerto come aperitivo del prosecco freddo in lunghi calici di cristallo, e lei levò il suo alla mia salute, poi se lo portò alle labbra guardandomj da sopra l’orlo con occhi in cui c’era una luce inequivocabile. Ancora a tavola, abbandonò ogni residuo riserbo e mi raccontò in lungo e in largo di sé, accennando alle sue preferenze in materia erotica. Non ho mai gustato un pasto così delizioso: le carni erano squisite, i vini impareggiabili. E Carolina mi spronò a mangiare abbondantemente, inducendomi a vuotare un bicchiere dopo l’altro, con l’invito e con l’esempio. A servirci erano due ragazze molto belle, e la loro presenza non impediva a Carolina di accarezzarmi le mani e di fissarmi sempre più intensamente. E devo dire che le due ragazze, che evidentemente avevano capito come stavano le cose, non se ne mostravano affatto scandalizzate, ma ci servivano un piatto dopo l’altro con un’allegria e una rapidità davvero straordinarie. Del resto, nella stanza da pranzo eravamo in pochi. A un certo punto, pur attraverso l’ebbrezza del vino che si faceva sentire, avvertii un piede infilarsi tra le mie gambe, sollevare la gonna e procedere in avanti, tra le mie cosce, appoggiandosi sulla mia micia. Qui, quel piedino malizioso cominciò a muoversi, ad agitare le dita, mettendomj addosso un calore che mi bruciava in maniera irresistibile. Con l’alluce strofinava con metodo sopra gli slip muovendolo sul bozzo del mio clitoride che mi trasmetteva scosse elettriche fino al cervello: tutto si faceva più facile, se tu solo sapessi quanto sugo passato attraverso la leggera stoffa delle mutandine, aveva reso il percorso viscido e sdrucciolevole.”Ah, cara la mia Giulia,” disse Carolina, “lascia che io ti faccia lo stesso con le mie mani, con i miei occhi. Ormai la cena è finita; perché non saliamo di sopra, a liberarci di questi abiti che ci rubano il piacere?” Non potei resistere all’invito e, presami per mano, Carolina mi condusse su per le scale, nella mia stanza; subito chiuse l’uscio e, guardandomi fissamente, prese a svestirsi, e io la imitai. Nuda che fu, Carolina cominciò ad accarezzarsi tra le gambe, e io, come se fossi la sua immagine speculare, feci lo stesso. Intanto, andava impercettibilmente accostandosi a me, e alla fine mi strinse tra le braccia, e con un grido di ammirazione cominciò a vagare con le mani per tutto il mio corpo. Mi condusse poi al divano e mi fece mettere con il ginocchio destro alzato, la gamba sinistra pendente dall’orlo; poi si inginocchiò ai miei piedi e lentamente prese a passarmi la lingua sui seni e sul ventre, mordicchiandomi l’interno delle cosce, sfiorandomi con un dito l’apertura della vagina, giocherellando con il mio clitoride, e ogni tanto levando il viso a contemplare l’oggetto dei suoi desideri. Poi, ecco che con mano delicata mi apre la fica ed esclama, in preda a un trasporto di gioia indescrivibile: “Ma sei ancora vergine! Buon Dio, che piacere, non l’avrei mai immaginato.” Confesso che non avrei mai pensato che questa scoperta potesse avere tanto valore per lei: vergine o no, che differenza poteva fare? Ma chi potrebbe spiegare l’eccentricità delle passioni, la più singolare delle quali è indubbiamente quella di una donna in preda al desiderio per un’altra? Carolina dunque si alza affascinata, mi stringe tra le braccia, mi dà mille baci, poi, sedendosi questa volta sul divano accanto a me, torna a contemplare il mio sesso. “Sì,” esclama, “questo fiore è intatto. Che colore! Che freschezza! Come un’ape ne berrò il nettare, mi inebrierò della sua squisita ambrosia con voluttà sino all’ultima goccia.” Quindi, con mezzi che sarebbe inutile descrivere ma che mi hanno procurato deliziosissime sensazioni, Carolina mi ha fatto giungere al diapason della felicità. Ti basti sapere che si è servita delle dita, infilandomene due nella vagina e una nell’ano, e muovendole piano avanti e indietro, fino a farmi raggiungere il vertice del godimento, e a questo punto, accortasene, si è chinata su di me e la sua lasciva lingua ha fatto pagare all’amore il mio tributo d’ambrosia, titillando e suggendo in modo così intenso, che il suo volto era quasi annegato dalla mia impetuosa eruzione, mentre io cadevo in uno stato di semiletargo. Ma anch’io volevo vedere, anch’io volevo toccare; e, non appena riscossami dallo stupore in cui ero sprofondata, mi alzai dal divano, presi Carolina per mano e la portai al letto. Qui mi distesi e la pregai dì mettersi sopra di me, divaricando le cosce e presentandomi la vagina e l’ano, e anch’io cominciai a succhiare e a leccare, infilando le dita nei due fori tanto attraenti. Invano cercherei di ridarti, a parole, un’idea dell’eccitazione di Carolina che sembrava aver perso la ragione ed emetteva frasi incoerenti, non meno stravaganti della sua condotta. Ma che dico? Non diverso doveva essere il mio comportamento, perché anch’io ero fuori di me, anch’io non sapevo esattamente quello che facevo. Eppure, mai due donne sono state più sensate: tutto quanto dicevamo e facevamo, infatti, tendeva solo ad aumentare la nostra ebbrezza e ad accrescere la nostra furia. Carolina, i cui desideri non conoscevano più limite, per soddisfarmi mi fece passare attraverso tutte le gradazioni del piacere, e io ho gustato, nella stessa sera, tutti quegli indescrivibili godimenti che non avrei mai potuto conoscere, se non a patto di un lungo noviziato, non fosse stato per la straordinaria passione che la ispirava e che la indusse subito ai misteri più segreti. Devo dirti che una delle sensazioni più deliziose che mi ha procurato è stata quando, distesasi sopra di me, ha preso a strofinare il suo pube contro il mio, dandomi dei rapidi colpetti, come se fosse un uomo intento a un coito. Lo faceva senza toccarmi con le dita, e quello strofinio, quegli urti ripetuti hanno finito per portarmi a uno stato di godimento tale che mi sono messa a urlare. Finalmente sfinite dalla goduria e dalle libagioni piombammo in un sonno ristoratore.La mia immaginazione, esaltata da questi incantevoli ricordi, desidererebbe rintracciare l’immagine vivente ma, ahimè, al mattino, quando mi sono svegliata, una spiacevole sorpresa mi aspettava. Ho allungato la mano a tastare il letto dove Carolina s’era addormentata al mio fianco, e l’ho trovato vuoto. Sono balzata in piedi, mi sono vestita in fretta, in preda a un’improvvisa preoccupazione. I miei gioielli erano spariti, la borsa con il mio denaro anche. Mi sono precipitata da basso, e ho chiesto al portiere se aveva visto la mia compagna della sera prima. “La signora,” mi sono sentita rispondere, “è partita questa mattina all’alba, prendendo il pullman con cui siete arrivate ieri sera. Ha detto di porgervi i suoi saluti, e di ringraziarvi tantissimo per l’invito e la piacevole compagnia.” Così dicendo mi rifilò il conto per 2 persone che aveva preparato.Cara sorella mia, non ti dico le difficoltà che ho dovuto superare per convincere quel maledetto portiere della mia buona fede. Sappi solo che ho dovuto lasciargli in pegno il mio prezioso anello di fidanzamento con diamante che portavo al dito:- quello, la perfida Carolina, non me l’aveva sfilato – e così, piangente e delusa, ho potuto tornare a casa . Ti chiederai se dopo tutto quanto capitatomi io senta un sentimento d’odio per Carolina: non direi proprio. Nonostante il male che mi ha fatto, conservo di lei un ricordo forse destinato a essere imperituro. Guardo il mio fidanzato, quel buon uomo di Giovanni, l’avvocato, e penso agli anni che mi aspettano, accanto a lui, buona moglie, probabilmente ottima madre. Sì, saranno anni di gioia ma pure di noia, con il ricordo bruciante e incancellabile di una notte senza pari e, per le condizioni, irripetibile. Inutile che ti preghi di tenere per te queste mio sfogo. Un tenero abbraccio da tua sorella Giulia
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