I RACCONTI DEL SALOTTODecise di andare a letto dopo aver bevuto un latte caldo con caffè ed una frutta , tanto per soddisfare il gusto di fresco .Si spogliò con distrazione, ripiegando i vestiti con cura e quasi pregustando il tepore di cui avrebbe goduto sotto le coperte.Indugiò per un attimo ad osservare la propria immagine riflessa dallo specchio dell’armadio che fronteggiava il letto e sorrise compiaciuta nell’osservarsi – per così dire – in piena forma e ..molto appetibile.Compiendo un gesto abituale e con apparente distrazione, portò le due mani, a mò di coppe, sotto i seni quasi a volerne sottolineare la perfezione delle forme ed indugiò con i pollici e gl’indici sui rispettivi capezzoli che si rigonfiarono con immediatezza, risaltando ancor più rispetto al biancore della pelle. Trasalì – forse per il piacere di quelle carezze o ancora per un sopravvento della mente – e di colpo si fermò, lasciando quasi cadere le braccia . Prese il pigiama dal cassetto di base dell’armadio ed imponendosi di non guardarsi allo specchio l’indossò.Una volta che fu buio, dopo aver dato uno sguardo al giornale e spento la lampada da comodino, recitò le sue preghiere e successivamente, senza neanche rendersene conto ,mentre era in attesa che si presentasse il messaggero del sonno, quel dolce torpore che pervade l’intero corpo e quasi rallenta il pensiero, si ritrovò a valutare perché avesse avuto un rapporto tanto difficile con "la confessione" pur nutrendo fede e voglia di fede.Riandò con la mente molto indietro negli anni per fermarsi a quella confessione che le era parsa quasi un’offesa o una violazione della sua intimità, forse ancora l’aveva avvertita come un processo o un vero e proprio rito di accusa più che un ricevere da parte del sacerdote lo spontaneo e dolente tormento di chi sente di aver peccato o solo ne dubita.Si era accostata a quell’atto con la sua semplicità e con il desiderio di liberarsi di quel peso che ciascun essere avverte nell’intimo, maturando la consapevolezza che – nel tempo – ha comunque trasgredito o avrebbe potuto.Seguì con gli occhi aperti il buio per poggiarli sul chiarore dell’angolo alto del vano della balconata ove un battente, attraverso una piccola fenditura, lasciava penetrare una flebile luce esterna.La mente cavalcò quel chiarore e la riportò a quel giorno dei suoi diciannove vent’anni che l’aveva vista nella chiesa che frequentava da bambina . Il chiarore delle volte, illuminate dai finestroni posti in alto, ad ogni intercalare delle pilastrature laterali, contrastava con la penombra che regnava sovrana nell’intero ambiente per essere più rada solo in vicinanza di qualche statua ai cui piedi brillavano, con la loro caratteristica danza, le fiammelle dei ceri posti a devozione.L’altare maggiore si stagliava sullo sfondo, quasi disegnato dalla luce che lo investiva dal finestrone posto al di sopra del portale d’ingresso.Un lieve mormorio di chi non riusciva a pregare in totale silenzio, lo strofinio di una sedia e qualche colpo di tosse interrompevano la continuità di quel silenzio che sembra avvolga le chiese in una soffice coltre , quasi proteggendole da ogni interferenza o disturbo che possa venire da tutto ciò che accade all’esterno.Accanto al confessionale era già inginocchiata una donna con il capo ricoperto da un velo e la tenda di quel rosso cardinalizio , così come solo gl’indumenti sacri si tingono di rosso, celava le sembianze del confessore.Pensò bene di riflettere sulle proprie mancanze e ricercare nella mente il ricordo di tutte, così da non compiere omissioni – sia pure non volute – come voleva l’insegnamento costante ricevuto nel corso di catechismo.Un rumore lieve le fece intendere ch’era giunto il suo turno.Dopo i consueti preliminari confessò di aver compiuti peccati di gola, di essersi lasciata andare a qualche pensiero malevolo, di aver disobbedito ai genitori, di aver celato qualche verità e fors’anche di essersi lasciata andare a qualche gesto di rabbia ; mentre faceva solo una piccola pausa di riflessione fu sorpresa dalla voce greve del confessore che bisbigliò in modo aspro " E poi?". Ricordò il suo smarrimento ed anche un senso di fastidio imprecisato che la pervasero, soprattutto al secondo " …e poi…?..", facendola restar muta. Sembrava che il suo interlocutore aspettasse di sentire ben altro e che tutto sommato quanto gli era stato confessato non lo interessasse punto."E poi?" ebbe ancora a dire il confessore con un bisbiglio ancor più stridulo e lontano.Seguì ancora un suo silenzio dovuto al fatto che non riusciva proprio a ripescare nulla di cui rimproverarsi.Ricordò come a quel punto, in un modo o nell’altro, veniva a galla il tema degli atti impuri, che la imbarazzavano non tanto per il disagio di un’intimità comunque violata ma soprattutto per quell’interesse del confessore che più di una volta le aveva trasmesso il senso di un "ascolto" indifferente ma anche morboso.Sentiva con chiarezza che non era quello ciò che si attendeva dalla confessione e lentamente se ne allontanò, sia pure con dolore. Considerò che nel corso degli anni pochissime volte aveva ritrovato conforto e fiducia nella confessione grazie a sacerdoti che non le erano apparsi sterili e disinteressati "ascoltatori", ma esseri partecipi della pena che si accompagnava alla sua vicenda.All’improvviso, così come accade nella condizione di dormiveglia, fu assalita da un senso di disagio e di sgradevole sorpresa che si accompagnò ad un’immagine confusa che le risaliva da lontano.Risentì, quasi come se la scena si ripetesse, il ritmico rumore delle rotaie e le sembrò di riavvertire quel piede che s’insinuava tra le sue cosce, che nel tentativo d’impedirlo vi si stringevano intorno, producendo probabilmente – ora lo comprendeva – il non voluto effetto di eccitare ancor più quell’uomo che le sedeva di fronte, forse fingendo di dormire.Risentì il senso di disgusto che l’assalì quasi nuovamente come se si ripetesse quella violenza che aveva dovuto subire per diverso tempo in silenzio, mentre i pensieri più contrastanti e disperati attraversavano la sua giovane ed impreparata mente.Ripensò alla "terza mano" di quando si rifugiava nell’angolo preferito del salotto e si chiese se nei ricordi di alcuni episodi non vi fosse anche il velo di "allegorie" che non le consentivano di riviverli nella loro realtà, nascondendole anche eventuali spiegazioni di comportamenti che non sapeva spiegarsi o che avrebbe voluto comprendere meglio.Si chiese fino a che punto quel piede e quella gamba risalirono le sue ………ed il ricordo sembrò proiettare una foto ,quasi a squarciare il buio della mente.Quella cabina del treno, con i suoi marroni dominanti e gli strani sedili dell’epoca, più simili a delle panche che non a delle poltroncine e che sembravano favorire con l’inclinazione che avevano quell’intrusione, si rappresentò alla sua mente con lo stesso peso angosciante di quel momento.Tentò quasi di seguire con occhi esterni la scena, di vincere il senso di rigetto che provò allora e che si riproponeva ora con un potere di censura estremamente potente.Ed i "forse" iniziarono a girovagare nella sua mente in una danza disordinata, che li poggiava ora in un punto ed ora in un altro del filo del ricordo, che subiva inesorabilmente una sorta di risucchio nell’attività di mera ricostruzione, che, ovviamente, non può mai definirsi rispetto alla realtà dell’accadimento.Ricordò lo spavento e l’angoscia che le furono determinati dalla preoccupazione che chi l’accompagnava, e le si era assopito affianco, potesse improvvisamente risvegliarsi e sorprenderla ritenendola complice e compiacente.E le appariva evidente che, mentre era quasi paralizzata da tale stato d’animo, quel maledetto piede, che avvertiva come una lurida ed inanimata cosa, certamente le si era poggiato all’incrocio dell’inguine e la comprimeva in un goffo tentativo di carezza, mentre istintivamente le sue cosce continuavano ad avvolgersi intorno al corpo estraneo solo nel tentativo di bloccarlo.Udì, forse, anche il respiro dello sconosciuto, che doveva evidentemente trarre piacere da quella situazione nella quale veniva dominata perché – e questo l’addebitava alla devianza dell’educazione ricevuta – il solo pensiero che le potesse venire addossata una qualche colpa la induceva a tacere e a non chiedere aiuto o a svegliare la persona con cui si accompagnava.Non aveva più importanza sapere se quella situazione durò tutto il tempo utile all’anonimo a trarre un piacere completo o solo qualche tempo.Non ricordava se, nonostante il rigetto ed il rifiuto, quella che solo poi aveva compreso essere la sessualità immanente ne fosse stata in un qualche modo stimolata, segnando in lei un senso di colpa dovuto all’ovvia immaturità di quell’epoca.Nel mentre il pensiero rincorreva questa serie d’interrogativi, quasi come se avesse bisogno di una compensazione di dolcezza, riandò con la mente ad altra epoca, altre penombre e ad altro luogo: risentì, quasi come se accadesse in quell’istante, il contatto delle labbra sulle sue, il piacere di avvertirle, di sentirle succhiate e la contestuale totalità dell’abbandono alle mani di quell’uomo che, dischiudendole le cosce, le carezzava l’inguine, che s’inumidiva per il piacere, aprendo quel tenero e spasmodico ma intenso tempo di attesa.
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