La luce del mattino la colse mollemente adagiata sul ventre, le cosce aperte, con la mano destra posizionata in modo tale che l’indice e il pollice frizionassero con lentezza esasperata il clitoride turgido e sensibilissimo: l’azione era facilitata da un accumulo di muco vischioso prodotto dagli orgasmi della notte e dalle sborrate di Emory I ricordi le si accavallavano nella mente, procurandole quella strana sensazione di chi, svegliandosi, non distingue bene la realtà dal sogno. Di una cosa era però certa: erano anni che non godeva quanto la notte appena trascorsa: il nipote le aveva ridonato l’impeto, il trasporto e l’appetito sessuale veri , genuini, tali da ricordarle eventi passati che pensava di avere ormai cancellato dalla memoria. Emory s’era già alzato e questo la contrariò un poco ma presto se ne fece una ragione considerato il probabile imbarazzo del ragazzo, non abituato a ritrovarsi la nonna nuda nel letto e non volendo probabilmente confrontarsi con lei dopo la nottata . Indulgendo quindi nelle frizioni, avvertiva crescere un calore che la pervadeva tutta: percependo il sopraggiungere del piacere, si decise a chiamare la guardarobiera:”Emma , preparami la Jacuzzi” disse, congedandola però velocemente perché voleva rimanere sola, per rivivere ancora i momenti d’estasi della notte e portare a termine la lunga e piacevole masturbazione. Alzatasi con fatica, ancora sotto l’effetto dell’ultimo orgasmo, si immerse nella vasca piena d’acqua calda resa tumultuosa dalle bocche di uscita forzata per l’idromassaggio; godette delle “carezze” che in modo continuo le provocavano i mulinelli e i vortici ossigenati dell’acqua : era però pervasa da un senso di frustrazione dovuto alla consapevolezza che con il lavaggio se ne sarebbe andato anche l’odore intenso del nipote che aveva avvertito a letto fra le cosce. La riflessione la indusse inconsciamente a titillarsi tra le ninfe della vulva e il clitoride e ad immergere il dito medio in vagina sperando così di rivivere la foia che l’aveva assalita nella notte. Il calore dell’acqua unito al movimento vieppiù rapido della mano ebbero la meglio e Lady Corinna emise un suono gutturale di piacere tale da far sì che la guardarobiera bussasse chiedendo: “la signora si sente bene?” Ripresasi, nonostante lo stato di spossatezza che avvertiva, decise che era l’ora di vestirsi per scendere ed incontrare il nipote. Asciugatasi il corpo con un soffice accappatoio, si accinse al trucco sedendosi davanti alla specchiera: vide riflessa una donna diversa, plasmata nuovamente dall’amore: i seni presentavano un’areola distesa color rosato tendente al rosso ed erano tonici e ben sorretti: il viso mostrava i segni degli ardori notturni con una naturale ma leggera ombreggiatura bluastra attorno agli occhi; ciò valorizzava maggiormente l’intenso .azzurro dell’iride. Il ventre , ancora piatto e senza smagliature, finiva in basso con un cespuglio fulvo che la luce del giorno rendeva fortemente contrastato con la pelle chiarissima, producendo effetti ramati. Le sollecitazioni notturne e del risveglio avevano prodotto una metamorfosi straordinaria del sesso che, mantenendo il clitoride sporgente, permetteva alla vulva di mostrarsi in tutta la sua bellezza con le ninfe che debordavano le grandi labbra. La guardarobiera, entrando per vestire la padrona, rimase affascinata e attonita di fronte a tanto repentino cambiamento: lady Corinna se ne accorse e ne fu compiaciuta. Dispose per indossare un corsetto leggero che non mortificasse le sue forme rinate a nuova vita e si fece aiutare ad infilare le calze: mentre Emma le acconciava i capelli, rimirandosi, pensò che era molto soddisfatta di se stessa. Era pronta per incontrare Emory. Era passato un mese da quella prima notte, e ogni notte successiva Lady Corinna se la spassava allegramente con il nipotino e ormai non si lambiccava più il cervello, non si poneva domande, preferiva ignorare che ben presto le vacanze estive sarebbero finite e il ragazzo sarebbe tornato a scuola e dalla madre. Un pomeriggio, forse per l’eccitazione procuratale da una lettura, Lady Corinna si aggirò invano per la vasta casa in cerca del nipote. Faceva caldo, le era venuta improvvisamente la voglia di denudarlo, di prendergli in bocca l’uccello, di carezzarlo a lungo, di odorare il suo profumo. Emory non era in camera sua, non era nella vasta biblioteca. Dove diavolo si era cacciato? Scese in cucina. Niente. Suonò il campanello e accorse il maggiordomo, e Lady Corinna gli chiese se avesse visto il nipote. “Sì, Milady,” rispose il vecchio maggiordomo col suo solito fare compìto. “Ho visto il signorino scendere nel parco. Credo sia andato a fare il bagno nel lago.” Il disappunto della donna si leggeva sul volto: non poter vedere il nipote secondo il suo desiderio la contrariava; e poi non capiva perchè Emory non fosse rimasto in casa: qui l’aria condizionata rendeva più sopportabile il vivere; però anche il bagno nel lago aveva la sua logica, pensò; non aveva ancora terminato di formulare quest’ultima ipotesi che un improvviso sospetto paralizzò la sua mente. “Hai visto Jane, George? Chiese al maggiordomo. “Non l’ho trovata in cucina, dove si sarà cacciata quella benedetta ragazza?” “Non lo so, Milady, rispose questo, non l’ho vista tutto il pomeriggio. Milady ha altri ordini?” “No, George, puoi andare, grazie.” Uscito il maggiordomo, Lady Corinna prese a passeggiare nervosamente per il salotto. Possibile che i suoi sospetti fossero fondati? E perché l’idea le riusciva tanto insopportabile? Perché quello stringimento allo stomaco, quell’improvviso senso di vuoto? Si sentiva la bocca secca, le labbra aride. Riandando con la memoria agli ultimi incontri con Emory si ricordò come, nonostante si prodigasse con tutte le malizie conosciute, il ragazzo ritardasse sempre di più l’ejaculazione lasciandola spesso sfinita a forza di succhiargli il membro. Con uno scatto improvviso si avviò all’uscio, scese i gradini che portavano al parco, imboccò il vialetto che portava al lago: questo si presentava come una vasta distesa d’acqua circondata da un fitto bosco, e alla quale si accedeva solo per un angusto sentiero, al termine del quale c’era il capanno che si usava per cambiarsi prima del bagno. L’uscio del capanno era chiuso. Lady Corinna si avvicinò in punta di piedi, si accostò alla porta ed origliò. Sentì qualche lieve trambusto ma soprattutto sospiri e gemiti. In preda ad un furore crescente si abbassò con lentezza, allungò il collo e sbirciò attraverso il buco della serratura. Jane era distesa sulla panca, le cosce lubricamente spalancate, e suo nipote Emory, quell’ingrato, il suo bambino, il ragazzo tanto corrotto da andare a letto con la nonna e da non vergognarsene affatto, la stava allegramente fottendo. E, peggio ancora, non glielo aveva messo nella fica, bensì nel culo, e quella puttana di Jane cosa faceva? Si masturbava con frenesia parossistica, e ogni tanto passava rapidamente la mano alla base dell’uccello del ragazzo per introdursi due dita in vagina ed estrattele fradice di umori le portava alla bocca di lui per fargliele succhiare dopo avergliele accostate alle narici affinché l’odore del suo calore gli innalzasse la potenza del coito; indi riprendeva la masturbazione roteando velocemente la mano, emettendo adesso gemiti che erano ormai rantoli. E così lady Corinna assistette allo spettacolo dei due amanti, mostri, maiali, travolti assieme dall’orgasmo. Nel mentre tutto ciò accadeva sotto i suoi occhi, il suo animo sentiva un’alternanza di rabbia ed esasperazione, foia e desiderio provocati dalla monta alla quale aveva appena assistito: senza quasi rendersene conto, la sua mano si era posizionata fra le cosce e andava titillando il clitoride diventato, nel mentre, grosso e lungo come il suo mignolo: ciò le provocò un piacere intensissimo ed una copiosa emissione di muco. Finito che ebbe di godere, prima che la scoprissero, Lady Corinna fuggì. Tornò a casa, si chiuse in camera sua, si gettò sul letto singhiozzando disperatamente e mentalmente pronunciando l’anatema “Gliela farò pagare, caccerò subito quella vipera, e lui lo rispedirò da sua madre. Non lo sopporto, non lo sopporto…” gemeva. Finalmente riuscì a riprendere il controllo di sé. Si chiuse in bagno, si lavò il viso, cancellando ogni traccia di pianto, e suonò il campanello. Comparve George, compìto e ossequioso come sempre. “Milady desidera qualche cosa?” Com’era bello avere ai propri ordini servitori fedeli, da poter comandare a bacchetta, dai quali non ci fosse da aspettarsi tradimenti! “Sì, George, fa’ venire mio nipote, ti prego, non appena rientra” Di lì a poco, il ragazzo bussò ed entrò. Lady Corinna stava seduta sul letto, diritta sul busto, immobile, le labbra serrate. “Emory”, esordì con voce incrinata dalla rabbia, “spogliati e mostrami l’uccello,” ordinò al ragazzo. “Che c’è, nonna?” chiese lui, subito in allarme. “Spogliati, ho detto.” Il ragazzo obbedì, lasciò cadere gli abiti, rimase nudo di fronte alla nonna. E allora Lady Corinna si alzò dal letto, lentamente prese a spogliarsi a sua volta, tenendosi solo giarrettiera e calze. E così, nuda, rimase davanti al nipote, a fissargli l’uccello. “Non ti si rizza,” constatò. “Strano, eh? E di’ un po’, sono meglio io o è meglio Jane?” chiese brusca. Emory arrossì, aprì la bocca per dire qualcosa ma poi la richiuse, abbassò il capo. Rimase muto per un istante, quindi rialzò il viso, fissò diritto negli occhi la nonna e disse, parlando con voce ferma: “Cara nonna, tu mi piaci, ma mi piace anche Jane. E’ da un pezzo che la scopo. E se credi di potermi imporre la tua volontà, ti sbagli. Ho intenzione di fare quello che mi pare e piace, e se non ti va, riferirò a mia madre che tu mi hai sedotto, che mi hai portato a letto, che ci siamo sollazzati per più di un mese: a te la scelta, cara nonna. Adesso il coltello dalla parte del manico ce l’ho io.” Lady Corinna restò immobile, muta, sentendosi all’improvviso più vecchia dei suoi anni. Era svanita la gioia che aveva provato quella prima e ormai lontana notte, quando si era sentita così giovane, tornata ragazza solo perché il membro di un adolescente era penetrato nella sua vagina! E d’un tratto si lasciò cadere sul letto, prendendosi il volto tra le mani. “Che fai, nonna? piangi?” chiese Emory. “Sì, piango perché sei un cattivo ragazzo,” singhiozzò Lady Corinna che adesso si sentiva solo una povera donna, delusa e tradita. Emory le si sedette accanto, le mise una mano sulle spalle, la strinse a sé. Le tolse le mani dal volto, la prese per il mento, la costrinse a guardarlo. E Lady Corinna s’avvide, stupefatta, indignata, eccitata ed oscenamente turbata, che il ragazzo sorrideva e che l’uccello gli era diventato enorme, eretto e con il glande completamente scoperto, di intenso colore viola sulla cui cuspide occhieggiava dal meato una goccia di liquor libidinis. Spostava lo sguardo dagli occhi del nipote al suo cazzo, e dalle labbra le uscì un sospiro, un gemito: “Ma Emory…” “Sì, nonna, vedere piangere una donna mi ha sempre eccitato”; evidentemente perchè il pensiero di consolarla ben si coniugava con quello di poterla poi fottere.” “Oh, Emory,” esalò lei, e intanto con la mano, irresistibilmente, lo toccava, lo accarezzava, gli palpava i testicoli. “Nonna, perché non chiamiamo Jane?” propose il perfido, il ragazzaccio, il mascalzone, quel caro, quell’adorabile dio d’amore che aveva vinto la superbia dell’imperiosa nonna. “E va bene, come vuoi tu,” rispose Lady Corinna. Fu così che le vacanze di Emory, quell’estate, ebbero una conclusione doppiamente gloriosa e soddisfacente.

