2^letteraMia cara Nellie,riprendo il racconto nel punto in cui l’ho lasciato. Jane e io tornammo sull’argomento il giorno dopo, ed eccoti la sintesi dei nostri discorsi. Rosy: “Allora, Jane, sei stata frustata, vero? E perché?” Jane: “La prima volta perché un tale mi aveva accompagnato dopo la messa. Il generale disse che non ero mai stata religiosa ma che fingevo solo di esserlo perché andare alla messa mi dava modo di sculettare in giro con i giovanotti, per cui dovevo essere punita per il mio bene.” Rosy: “E non ti sei indignata per un pretesto così palesemente finto?” Jane: “Certo, ma dimenticai tutto per il piacere che provai vedendo bistrattare Jemina che, vi assicuro, è forte e dura più del cuoio.” Rosy: “Anch’io ho la capacità di dimenticare e perdonare a questo modo, e ho l’intenzione di cominciare proprio con te. Ma ancora non ho un piano preciso.” Jane: “Ah, ma io so che voi odiate Jemina e a dire il vero preferirei vedere lei, anziché voi, sul cavalletto. Forse, unendo le nostre forze, riusciremmo ad avere la meglio su di lei.” Rosy: “Ah, bugiarda, non credere che io ti lasci andare, e non credere neppure che io intenda non dare agli altri quel che si meritano. Aspetta solo che mi senta meglio, così ti sistemo prima di loro. E le occasioni non mancheranno, visto che devi dormire in camera mia ogni notte. Non ho dimenticato quanto sei stata convincente, quando mi hai consigliato di abbigliarmi con cura per la cena, pur sapendo quello che mi aspettava.” Jane: “Ma signorina Rosy, non ho potuto evitarlo, è stata la signora Manseil a ordinarmi di venire a vestirvi. Il signor generale ama vedersi attorno persone eleganti, e quando punisce una di noi dobbiamo presentarci con gli abiti più fini, e se per caso ne vengono danneggiati, la signora Manseil provvede alle opportune riparazioni, e del resto Sir Eyre ha fornito vestiti ancora più eleganti a Jemina che era preoccupata per i suoi che erano rimasti stazzonati.” Rimasi dolorante per parecchi giorni, ma in segreto mi procurai una buona frusta, da utilizzare quando Jane meno se l’aspettasse. Lei però era molto più forte e grossa di me, sicché avrei dovuto neutralizzarla con uno stratagemma. Le lasciai credere che avevo dimenticato le mie minacce, ma una sera, mentre tutte e due eravamo svestite pronte per andare a letto, le chiesi: “Jane, è mai successo che la signora Mansell o Jemina ti abbiano frustato senza che il nonno lo sapesse?” E lei: “Eh, sì, signorina, e anche più di una volta.” Rosy: “E come hanno fatto?” Jane: “Oh, legandomi le mani ai piedi del letto.” Rosy: “Fammi vedere e lasciati legare, mi diverte immaginare la scena.” Jane: “Ma sì, se vi fa piacere, signorina.” Rosy: “E con che cosa ti posso legare? Sei forte come Sansone.” Jane: “Basteranno un paio di fazzoletti, e una sciarpetta per legarmi le gambe.” Seguendo le sue direttive, le legai le mani ai piedi del letto, e i piedi invece al comodino. Lei protestò perché, disse, avevo stretto troppo i nodi, ma io replicai: “Devi restare così, pronta alle mie brame.” E le sollevai la camicia da notte, méttendo in mostra le anche formose e il pube muschioso. “Sei una bellezza, Jane,” dissi baciandola. “Lo sai che ti voglio bene, ma le tue natiche devono essere punite. Guarda quant’è bella questa frustina!” conclusi mostrandole la verga. “Pietà, pietà!” gridò Jane. “Cara signorina, non picchiatemi, sono stata sempre gentile con voi.” “Non vorrei, ma debbo farlo, cara Jane. Facevi parte di quelli che me le hanno suonate, e sei la prima su cui riesco a mettere le mani. E può darsi che passino anni prima che possa farlo con gli altri.” La vista delle sue belle natiche mi riempì di voglia di esercitare il mio potere su di esse, e iniziai con qualche duro colpo, ognuno dei quali faceva arrossare sempre più le carni colpite. “Ahi, ahi! Voi siete cattiva come vostro nonno, siete una vera strega, mi avete colto di sorpresa!” “Non mi sembra che tu ne sia poi così dispiaciuta,” gridai. “Ma cercherò di smorzare la tua impudenza, perché comincio a credere che tu sia peggio degli altri, che tu sia un’ipocrita, con la tua finta compassione. Ma adesso è la mia volta. Ti piace, signorina Jane?” E, mentre parlavo, le infliggevo una frustata via l’altra, e continuai finché il suo culo non cominciò a sembrarmi assai interessante. E non vi dico il mio piacere quando vidi il primo sangue spicciare. Jane sospirava e si dimenava tra lamenti e gemiti soffocati, ma sembrava solo che lo facesse per provocarmi e irritarmi. E la mia eccitazione crebbe, la mia furia divenne sconsiderata tanto che il sedere della poverina era ormai ridotto in uno stato deplorevole. Alla fine, però, mi sentii talmente sfinita che a stento riuscivo a impugnare la frusta, e poi la rabbia s’era mescolata all’amore e alla pietà e allora gettai l’ormai inutile strumento di tortura e, baciandola teneramente, dissi: “Jane, cara Jane, ti amo e ti perdono, e sarò per te tenera e dolce come fosti tu con me dopo la mia punizione.” Le liberai mani e piedi e con mia grande meraviglia lei mi gettò le braccia al collo dicendo, con occhi scintillanti e con un dolce bacio: “Anch’io vi perdono, signorina Rosy, perché non sapete che piacere mi avete procurato, e gli ultimi colpi sono stati per me una vera benedizione.” Le sue parole in quel momento mi riuscirono enigmatiche, ma in seguito ne avrei afferrato fin troppo bene il significato. Jane non si curò del suo culo straziato e mi spiegò: “Se la punizione inflittavi dal signor generale è stata terribile per voi, questa per me non lo è stata affatto, signorina. Ho molti più anni di voi e sono assai forte, e poi la prima volta è sempre la peggiore. Ricordatevi che è stata la vostra ostinazione a indurre Sir Eyre a un’eccessiva brutalità. Ma vedrete che in seguito vi piacerà, come piace a me.” Le cose continuarono allo stesso modo per un paio di giorni. La punizione che avevo subito era stata troppo severa perché osassi sfidare ancora mio nonno, il quale tuttavia spesso mi avvertiva di stare attenta per non offrirgli un’ulteriore occasione di darmi prova della sua severità. Un pomeriggio, però, mentre ero in giardino con la governante, le dissi: “Quasi quasi mi dispiace che il nonno abbia sospeso le punizioni.” “Mia cara,” replicò la signora Manseil, “un paio di punizioni ancora, e ne sarai schiava.” Il giorno dopo, prima di cena, il generale ci sorprese a chiacchierare insieme in salotto e affrontò irato la signora Manseil: “Possibile che io non possa lasciare le chiavi nella serratura senza che qualcuno vada ad assaggiare il mio brandy? E da molto tempo che l’ho notato, e sappiate che ho fatto un segno con il mio brjllante sulla bottiglia, e da allora ho bevuto soltanto rum. Venite qui, Rosy, signora Manseil e Jane,” ordinò, annusandoci una alla volta l’alito. “Jemina,” disse poi a questa, “dunque sei stata tu, e sei così sciocca da pensare che, se avessi voluto un po’ di liquore, la signora Manseil te l’avrebbe negato. Sei in questa casa da qualche anno e sai che non amo cambiamenti, così domani sarai punita per i tuoi furti. Avrei preferito farlo subito, ma stasera c’è un amico a cena, e ti farà bene aspettare e meditare su quello che ti accadrà. Vai ora, e fa’ in modo che la cena sia servita a dovere.” L’ospite era un vecchio colonnello amante della caccia alla volpe, un nostro vicino, e io ero così eccitata alla prospettiva della punizione di Jemina, che quella mi sembrò la serata più piacevole che avessi mai trascorso. Il nonno passò tutto il giorno seguente a curare il giardino, e un presentimento mi disse che le cose non sarebbero andate esattamente come aveva detto il giorno prima. Infatti, a un certo punto la governante, che stava tagliando un mazzolino di fiori per la vittima designata, venne apostrofata dai nonno in questi termini: “Signora Manseil, fareste meglio a raccogliere un altro bouquet giacché siete al lavoro. Qualcuno dev’essere punito. Ne sai niente, tu, Rosy?” “Oh, nonno,” risposi con l’aria più innocente del mondo, “lo sapete che mi è stato severamente proibito di toccare la frutta.” “Signora Manseil, lei ne sa nulla, visto che Rosy non mi vuoi dare una risposta diretta?” fece, guardandomi severamente. E allora alla signora Manseli non restò che confessare che mi aveva visto cogliere delle albicocche: quelle che mio nonno aveva notato che mancavano da un albero. “Parola mia, siete dei bei tipi tutte quante. Signora Manseli, mi meraviglio dì voi, che avreste dovuto informarmi subito del furto, e pertanto sarete punita. Quanto a Rosy, però, è una bugiarda e una ladra, ma sistemeremo Jemina per prima, e poi penserò al resto.” In preda all’ansia, corsi da Jane per farmi coraggio e lei mi assicurò che era buona cosa che toccasse per prima a Jemina: le forze del generale si sarebbero esaurite e forse Sir Eyre mi avrebbe punita meno duramente se avessi urlato e chiesto perdono. Ne restai incoraggiata, mangiai abbondantemente e bevvi di nascosto un bicchiere di vino in più (me n’era concesso uno solo). Così tonificata, mi avviai alla stanza in cui avevano luogo gli esercizi di punizione, rallegrata soprattutto dal fatto di veder percuotere Jemina. Trovai il nonno seduto in poltrona, frusta in mano, con Jemina che gli stava a capo chino davanti. La giovane era di altezza superiore alla media, capelli rame scuro, colorito chiaro, splendidi occhi azzurri dello stesso colore dell’abito di seta, molto corto, tanto da rivelare a mezzo lo splendore delle natiche ben tornite; calzava scarpe di raso con tacco alto d’argento, aveva le maniche corte, ma guanti di capretto lunghi fino ai gomiti. “Preparatela immediatamente,” ordinò il generale. “Tu, Rosy, passami quella grossa frusta, questa piccola è inutile, per una cicciona come lei. Ah, questa sì che va bene!” disse facendola sibilare nell’aria. Intanto Jane e la governante avevano spogliato la vittima designata che era rimasta col solo reggiseno, e che magnifico spettacolo erano lo splendido collo bianco e le candide natiche, e com’erano belle le gambe ben tornite, inguainate in calze di seta rosa e sorrette da deliziose giarrettiere! Il generale era molto rigoroso per quanto riguardava l’abbigliamento delle sue penitenti. La legarono, Jane le sfilò le calze, la signora Manseil le tolse il reggiseno, e il candore delle sue carni nude sembrò illuminare ulteriormente la stanza in cui pure tutte le lampade erano accese. Ne approfittai per affibbiarle qualche sculacciata, sì da farle sapere che non avevo dimenticato i suoi colpi, e poi mi tirai da parte, a fare da spettatrice. E che spettacolo affascinante fu quello! Tale da farmi dimenticare che poi sarebbe toccato a me. Una dozzina di colpi, e il bel culo di Jemina fu tutto striato di sangue, e i colpi continuavano a piovere, e pezzetti di verga volavano per tutta la stanza. “Ahi, ahi, ohi, ohi,” badava a urlare Jemina, “abbiate pietà, signore, non riesco più a sopportare il dolore. Ahi, ahì, vi chiedo pietà.” “Tu, piccola ladra infingarda, non pensare che ti lasci andare se prima non ti vedo mezzo morta! Se non ti curassi ora, correrei il rischio di perdere una buona collaboratrice,” esclamava Sir Eyre, colpendo ancora e ancora. Quanto a me, provavo una piacevolissima eccitazione e, giovane e crudele com’ero, e sapevo di esserlo, non provavo nessuna pietà per la vittima. Le mie erano le sensazioni che solo gli amanti della frusta sanno riconoscere. Il vecchio generale era ormai ai limiti dello sfinimento, e fu la signora Mansell a prenderne il posto, e lo fece con tanto accanimento, con i capelli castano chiari scompigliati e gli occhi scintillanti, e un tale slancio nella figura perfetta, da farmela sembrare una dea della vendetta. La povera Jemina gemeva, singhiozzava, implorava perdono mentre il sangue le colava abbondantemente tra le cosce, ma la governante non se ne dava per intesa e Sir Eyre se ne stava in poltrona, in estatica ammirazione. Il tormento non poteva durare a lungo. Jemina svenne e dovemmo spruzzarle dell’acqua in viso per farla tornare in sé. Poi le fu gettato addosso un lenzuolo, e venne congedata. “Ora a te, Rosy,” disse il generale dando di piglio a una nuova frusta di rametti verdi. “Bacia questo strumento e preparati a tua volta.” Mia cara Nellie, non voglio farla lunga. Ti basti sapere che fui frustata a mia volta ben bene e ne uscii con il mio povero sedere dolorante, e che piansi e implorai perdono e promisi di essere sincera in futuro. E parve che le mie lacrime avessero effetto sul generale che dopo una ventina di colpi se ne uscì a dire: “Per questa volta basta così,” e mi diede un’ultima frustata che mi scosse da cima a fondo e che mi fece, unica fra tutte, sanguinare – ma devo dirti che ne provai anche una tenera felicità. Nella mia prossima lettera ti racconterò il resto. Intanto, mia cara adepta della verga, abbiti un abbraccio dalla tua amica fedele Rosa Belinda Coote
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