4^letteraMia cara Nellie, tengo fede alla promessa che ti ho fatto nella mia ultima lettera. Sappi dunque che la casa della signorina Flybum era a Edmonton; si trattava di un vasto caseggiato che un tempo era appartenuto a una famiglia nobile, ed era circondato da terreni a parco. I cosiddetti “giardini privati” nei pressi dell’edificio principale erano racchiusi tra alte mura, così alte da impedire qualsiasi tentativo di filarsela e solo lì ci era permesso passeggiare da sole. C’erano anche altri recinti dove la signorina Flybum teneva le vacche e le automobili; a noi pensionanti era lecito servirci delle biciclette solo la domenica, quando eravamo accompagnate regolarmente alla chiesa del villaggio distante un miglio e mezzo. Eravamo tre dozzine di allieve, e riempivamo la strada durante i nostri spostamenti viaggiando appaiate per tre, e c’era sempre una piccola folla a vederci arrivare o partire, nella speranza, come ci assicuravano le ragazze più grandi, che lasciassimo vedere le cosce magari qualcosa di più. Eravamo celebri per le nostre divise e i bellissimi stivaletti sempre alla moda, e col tempo umido, quando eravamo obbligate a sollevare le gonne per gli schizzi delle ruote, fischi di ammirazione si sentivano provenire dai ragazzi che si beavano dello spettacolo, presenziando a quella che chiamavamo la nostra “sfilata domenicale”. Non ci era permesso di fare passeggiate per conto nostro, al di fuori dei recinti che ho detto, ma a volte la nostra direttrice ci accompagnava alle radure di un bosco interamente circondato da una cancellata di ferro, dove ci dedicavamo a giochi di vario genere, lontane da sguardi indiscreti. L’ambiente scolastico era molto selezionato; venivano accolte solo le figlie di ricche famiglie o di ufficiali dell’esercito e della marina, e le figlie di professionisti. Prima di mettervi piede, avevo sempre pensato che posti simili fossero severissimi in fatto di morale ma, come mi affretterò a spiegarti, oggi credo che si tratti solo di una dimostrazione esteriore di decoro. La notte del mio arrivo alla scuola, mi ero appena messa a letto con la mia compagna (dormivamo, una mezza dozzina di noi, in una bella stanza ampia), quando cinque o sei altre ragazze irruppero in camera e mi tirarono giù dal letto: dovevo, così dissero, essere “iniziata”. Mi fecero stendere di traverso su un altro letto, mi imbavagliarono con un fazzoletto per impedirmi di gridare, mi sollevarono la camicia e ognuna mi sculacciò sul sedere nudo tre volte, alcune di loro con molta violenza, tanto che le mie povere natiche divennero rosse come dopo una bella frustata. Laura Sandon, la mia compagna di letto, era una bella ragazza dai modi gentili, che mi confortò dicendomi che tutte le ragazze al loro arrivo avevano subito lo stesso trattamento, e soggiunse che non di rado si faceva ricorso alla frusta. Baciandomi e accarezzando le mie rotondità doloranti, esclamò: “Come sono calde! Perché non gettiamo via le coperte in modo da rinfrescarle un tantino?” “Vogliamo dare anche noi un’occhiata a quel povero culetto,” intervenne a dire la signorina Louise Van Tromp, una bella olandese bionda. “Perché non facciamo il gioco degli schiaffi prima che arrivi mademoiselle Fosse, la governante francese, che dorme nella nostra stessa stanza?” Laura si dichiarò d’accordo, e volle anzi che svegliassimo anche la contessina Cecilia Deben e Lady Clara Wavering, anch’esse ospiti della nostra camerata. Balzammo giù dal letto, ci togliemmo le camicie e fummo tutte quante nude: Laura, bionda, con grandi, molli occhi azzurri, di quelli che sempre rivelano una chiara disposizione alla libidine; Cecilia, una castana dai capelli ondulati e dagli occhi color fiordaliso, anche lei graziosissima; Lady Clara, che di anni ne aveva più di tutte, era bruna, un po’ più alta della media, ben proporzionata, con languidi occhi pensosi; Louise Van Tromp era una formosa olandese , con gli occhi grigi e una splendida figura. Dovevamo essere un bello spettacolo: eravamo tutte molto carine e nessuna di noi mostrava vergogna. Le altre mi fecero capannello attorno, dandomi amorevoli sculacciatine e baciandomi il sedere. “Rosy,” commentò Cecilia, “sono felice che tu non abbia ancora pochi peli, questo mi trattiene un poco. Queste altre pensano solo alla loro fica, neanche fossero vecchie signore,” e intanto giocherellava con la soffice peluria della vagina di Laura Sandon. Disse Laura: “Smettila di toccarmi così, sciocca, vedrai come sarai orgogliosa quando i peli ti saranno cresciuti di più.” E Lady Clara: “Cara Cecilia, non hai che da strofinare il tuo ventre sul mio un po’ più di quanto tu non faccia di solito, e cresceranno più velocemente i peli a te, e anche a Laura, se farà lo stesso.” Intervenne a dire Louise: “Rosy, sfrega anche tu il ventre sul mio, in questo modo aiuterai la crescita dei peli,” e così dicendo mi baciava e mi accarezzava il monte di Venere con estrema dolcezza. Naturalmente oggi, col senno del poi mi rendo conto che erano tutte scuse che avevano l’unico scopo di darci piacere a vicenda, ma allora si prendevano questi discorsi sul serio. Intervenne Laura: “Ma guardate che occhi grigi e voluttuosi ha la Van Tromp! Ah, è molto bello dormire con lei! Rosy, comunque tu appartieni a me.” Continuammo il gioco degli schiaffi che era poi quello che chiamano “tocco e fuggo”. La stanza, che come ho detto era ampia, conteneva tre letti oltre al bagno, e al resto dell’arredamento, tutto sistemato lungo i lati, sicché al centro restava un abbondante spazio libero. Lady Clara prese posto nel mezzo della camera, mentre noi ci mettevamo accanto a un letto o un altro mobile, tutte lungo lo stesso lato della stanza. Clara ci volgeva il didietro e ognuna di noi doveva correre da lei, darle una manata sul culo e tornare al proprio posto; ma se lei fosse riuscita a restituire la sculacciata prima che lo si guadagnasse, si sarebbero scambiati i ruoli. Facevamo un gran chiasso, tanto che si potrebbe pensare che saremmo subito state scoperte dalla governante, ma la regola era di non interferire mai con i giochi delle ragazze quando erano in camera da letto. Proprio nel momento in cui il nostro divertimento era al culmine, la porta si spalancò e mademoiselle Fosse entrò esclamando: “Ma ragazze, vi state schiaffeggiando e senza spegnere le lampade! E’ poco delicato, signorine, esibirvi a quel modo, anche se alla signorina Flybum non piace certo scacciarvi dalla scuola, e del resto non è certo compito mio. Comunque, volete sculacciarvi, è vero. E vi piacerebbe essere colpita con questa, signorina Coote?” E così dicendo esibì una graziosissima frusta fatta di rami sottili legati assieme con lacci azzurri. “Questa vi solleticherebbe assai meglio dei colpi che vi date con le mani.” Le spiegai che avevo provato cose molto peggiori di quella gentile frusta: il mio povero vecchio nonno, il generale, soggiunsi, era un frustatore accanito, al che mademoiselle Fosse: “Io credevo che le ragazze venissero frustate solamente con un fiore. Mi dovete dire tutto di questa faccenda, signorina Rosy.” Le risposi che l’avrei fatto con grande piacere, e che avrei avuto da raccontarne di belle. La giovane francese intanto si era spogliata. Era una bellezza bruna, dal volto attraente e begli occhi vivaci con le ciglia foltissime. Si slacciò il reggiseno, esibendo un meraviglioso seno candido con i capezzoli scuri; la pelle, sebbene abbastanza chiara, faceva un piacevole contrasto con le nostre più pallide carnagioni anglosassoni. La persuademmo a partecipare al gioco e le sfilammo noi stesse le scrpe e le calze. Aveva circa ventisei anni, le anche e le natiche molto rotonde e pronunciate, una massa di capelli che le fluttuavano sulle spalle e sulla schiena, giungendo quasi a coprire il deretano, e il ventre ornato da una vera e propria foresta in miniatura: peli neri e ricciuti che salivano fino all’ombelico e scendevano di parecchi centimetri lungo le cosce. “Allora, signorina Rosy,” mi disse, sedendosi sul bordo di un letto e spalancando le gambe, “avete mai visto qualcuna pelosa come me? Sappiate che è il segno di una natura molto amorosa e calda,” e con queste parole mi attirò a sé, stringendomi forte. “Quanto amo accarezzarti” soggiunse passando al tu. “Devi dormire con me qualche volta. Laura sarà felice di sostituirti con la Van Tromp.” “Questo non lo permetteremo mai!” gridarono due o tre altre. “E per punirvi, mademoiselle, vuoi dire che vi colpiremo con la vostra stessa frusta.” E Laura: “Facciamola frustare da Rosy, lei la tratterà come una colpevole, e così ci darà l’idea di cosa sia una buona, onesta punizione. Forza, datti da fare!” E Louise: “Mademoiselle vuole Rosy come compagna diletto per questa notte? E va bene, ma tu stuzzicala con la frusta, e non risparmiarla, Rosy! E tu e io, Laura, godiamoci questa notte assieme.” Feci stendere mademoiselle sulla sponda del letto a gambe ben allargate, ordinando a Laura e Louise di tenerla per le braccia impedendole di alzarsi finché non avessi finito. Poi chiesi alla francese se intendeva chiedermi scusa. Rispose mademoiselle Fosse: “Eh, no, non ho nessunissima intenzione di farlo, gli animaletti implumi come te non mi fanno certo paura.” “Ah, mi chiami animaletto?” feci io, fingendomi indignata e passando anch’io al tu. “Ti insegnerò io ad avere un po’ più di rispetto per quella che devi considerare la tua maestra di scuola, la quale ha tutto il diritto di frustarti a piacimento.” E così dicendo lasciai andare sulle belle natiche tonde un paio di colpi sibilanti che vi lasciarono lunghi segni rossi e la fecero strillare di dolore. “Ah, mi fai male, mi ferisci, piccolo diavolo!” gridava lei e, più si agitava e urlava, più forte io la colpivo. Mademoiselle faceva sforzi disperati per liberarsi, ma le altre quattro la tenevano ben stretta, evidentemente molto eccitate dalla vista delle sue natiche dalle quali ormai spicciava il sangue, e mi incitavano dicendo: “Brava, brava Rosy! Come è delizioso vederla piangere, sentirla urlare di dolore, com’è bello tenerla stretta così,” finché la vittima stremata chiese scusa, implorandoci di non tormentarla oltre. Quella notte, mademoiselle mi prese a dormire nel letto con sé. “Ah, mia cara,” esclamò non appena fu buio ed io mi ritrovai tra le sue braccia, “hai crudelmente riscaldato le mie povere natiche; davvero hai visto cose peggiori di queste, Rosy?” “Oh, di gran lunga peggiori, mademoiselle, ho visto il sangue scendere a rivoli da natiche e cosce ferite,” e intanto facevo scorrere la mano nella spessa peluria ricciuta del suo pube, mentre lei mi accarezzava la vagina. Aveva un clitoride che si ergeva dal bosco di pelo come un’asta e sussultava tutte le volte che lo strusciavo.”Così, così,” sussurrava guidando il mio dito. “Toccami lì, su quel pezzetto di carne,” e la sua mano faceva altrettanto tra le labbra della mia fichetta. “E stringimi come ho fatto io,” esortava, e devo dire che le sue carezze mi procuravano un intenso godimento: mai avevo sperimentato nulla del genere, tranne il fuoco che avevo avvertito in quelle stesse parti alla conclusione delle mie precedenti flagellazioni. Quei divertimenti continuarono tra noi per mesi, e io divenni ben presto un’allieva molto diligente, prontissima a partecipare ai giochi di mademoiselle come delle altre, mossa dal desiderio di esplorare con le dita tutto quanto ci fosse da scoprire in quei morbidi paradisi. Mademoiselle era bravissima a titillare e strofinare l’entrata della mia apertura, mi stringeva con forza contro il suo corpo nudo, mi baciava le labbra in maniera così lasciva e voluttuosa da mettermi un brivido di estasi in tutto il corpo, e le sue dita lavoravano freneticamente attorno alla mia apertura, finché io sentivo un fiotto prorompere da me e inumidirle le dita e le carezze di mademoiselle si facevano più frenetiche, e lei sospirava, smaniosa: “Oh, Rosy, forza, forza, toccami!” Poi all’improvviso si irrigidiva, restava immobile come morta, mentre la mia mano riceveva un fiotto di caldo e denso liquido. Dopo qualche istante di silenzio mi diceva: “Ascolta, senti? Tutte le altre stanno facendo la stessa cosa. Non senti i loro sospiri? Ah, non è bello, Rosy cara?” Si, si, sussurravo, mi piace da impazzire perché mi rendevo conto che stavamo facendo qualcosa di proibito. “Oh, mademoiselle,” chiedevo, “e lo fanno tutte le ragazze?” Un po’ alla volta, mademoiselle Fosse mi persuase a provare anche altre sensazioni. Si stendeva sulla schiena e mi faceva sdraiare accanto a lei, a testa in giù, e io affondavo la faccia nella splendida foresta muschiata del suo pube, e mademoiselle, il viso tra le mie cosce, accarezzava la mia apertura con la punta della lingua morbida e calda, passandola amorosamente lungo tutta la fessura, entrando a fondo nella cavità, mentre una delle sue dita invadeva il mio ano, e io agitavo sempre più scompostamente le anche. Per non essere da meno di lei, imitavo ogni suo movimento e i suoi sussulti si facevano disordinati e incontrollabili quando, forzandole il buco di dietro, glielo lavoravo con furia. Maneggiare quella vagina così folta, accarezzare e baciare quelle splendide natiche mi eccitava sempre dì più, e le carezze della sua lingua mi facevano arrivare a punti di godimento indescrivibili; le venivo in bocca, premendo la mia apertura contro le sue labbra. Ma non voglio tediarti, cara Nellie, con una ripetizione delle stesse scene. Sappi comunque che quello era l’andazzo della mia vita scolastica, e che queste attività avevano luogo quasi ogni notte e che di continuo cambiavamo compagna di letto. Posso anche dirti che questa è la causa del debole che nutro per il sesso femminile, soprattutto quando le sue rappresentanti siano state prima ben preparate e riscaldate da un buon lavoro di flagellazione. Potrei raccontarti molte di queste scene, e magari riprenderò il racconto in una prossima lettera. Per intanto, mia cara Nellie, abbiti un caldo abbraccio dalla tua Rosy Belinda Coote
Aggiungi ai Preferiti